11° Far East Film Festival – Prima Giornata
La prima vera e propria giornata del Far East di Udine versione 2009 è in archivio e sembra già possibile intravedere le prime tendenze che caratterizzeranno quest’undicesima edizione. Due cose soprattutto: la quantità impressionante di gente che ha letteralmente intasato i locali del Teatro Nuovo Giovanni da Udine e l’alta qualità, con le immancabili e
La prima vera e propria giornata del Far East di Udine versione 2009 è in archivio e sembra già possibile intravedere le prime tendenze che caratterizzeranno quest’undicesima edizione. Due cose soprattutto: la quantità impressionante di gente che ha letteralmente intasato i locali del Teatro Nuovo Giovanni da Udine e l’alta qualità, con le immancabili e inevitabili eccezioni, dei film proiettati.
La prima mattinata, però, ha assunto sin da subito un aspetto poco invitante anche agli occhi degli stoici più fondamentalisti. Prima Chants of Lotus, film indonesiano a episodi incentrati sul tema della deflorazione e dell’aborto e che alle nove del mattino potrebbe risultare vagamente indigesto, quindi il taiwanese Cape No. 7, classico ibrido orientale di comedy e romance che con i facili toni televisivi ha distrutto ogni record storico ai botteghini di Taipei.
In linea di massima nel primo pomeriggio si dovrebbe migliorare, e non di poco, con la proiezione dell’ultimo film di uno dei nomi storicamente più importanti del cinema di Hong Kong e dell’Asia in generale. Si tratta della commedia All About Women di Tsui Hark, prodotta con soldi cinesi e scritta dal maestro della commediola al femminile sudcoreana Kwak Jae-yong (My Sassy Girl, WindStruck). Il risultato è un film che, come dice il titolo, compie la sua rivoluzione attorno a un cast di personaggi principali totalmente femminili sfruttando i toni della classica commedia honkonghese, ritmata e incalzante, brillante e innocua. Nonostante l’ottima accoglienza del pubblica, rimane il dubbio che il lavoro di Tsui Hark sia fuori tempo massimo: la sensazione è quella di un distinto signore che a ghette, redingote e tuba abbia voluto associare un paio di colorate scarpe da ginnastica.
Il pomeriggio, la serata e la nottata, poi, hanno visto susseguirsi in successione quattro ottimi film seppur molto diversi tra loro eppure. Per primo il debutto della regista giapponese Tanada Yuki, già sceneggiatrice di un certo successo in patria (Sakura), qui presentata come la versione orientale di Sofia Coppola; Tanada, con il suo One Million Yen Girl, presenta un bildungsroman di rara levità e sensibilità, incentrato su un’esile ragazza, in fuga da Tokyo dopo un periodo passato in prigione a causa di una disputa fra coinquilini. Il connazionale Hanabusa Tsutomo, al contrario, riporta in auge al FEFF la commedia caciarona che a noi ci piace tanto (sic) con il suo The Handsome Suit, storia del bruttissimo cuoco Takuro che vive la sua condizione estetica come un handicap che gli impedisce di vivere serenamente. Così, quando viene avvicinato da un elegante uomo che gli promette un vestito in grado di renderlo bellissimo, Takuro accetta e inizia una vita parallela nei panni di Annin, strepitoso super modello venerato dal genere femminile. Fra grasse e continue risate lo spettatore accompagna Takuro verso la tanto agognata maturazione sentimentale.
Gli ultimi due film della giornata hanno certamente riportato il Festival sui vecchi binari, quando ancora era una rassegna di cinema honkonghese d’azione. Da Hong Kong Dante Lam (Beast Cops) porta il suo Beast Stalker, classico, potente e solidissimo poliziesco tipico della tradizione cinematografica dell’ex dominion britannico che si fregia, nei panni del cattivone, di un immenso Nick Cheung.
In chiusura, infine, la classica ciliegina sulla torta: in anteprima italiana è stato presentato, infatti, l’atteso Chocolate firmato dal thailandese Prachya Pinkaew (Ong Bak e The Protector) e interpretato dall’incredibile Jeeja Yanin, uno scricciolo di ragazza che le dà di santa ragione. La storia è quella di Zen, figlia autistica di una gangster thailandese e uno yakuza, il cui amore viene ostacolato fermamente dal boss di lei, tanto da costringere il padre a ritornare in Giappone. La bimba cresce molto bene, nonostante il problema dell’autismo, e impara presto i rudimenti del muay thai abbeverandosi all’infinita fonte dei film di genere. Quando la madre di Zen scopre di essere malata, la piccola va in cerca di denaro con un amico. I due, che teneri, trovano il vecchio quaderno della riscossione del pizzo della madre e si adoperano per riscuotere gli arretrati. Tutto questo non fa piacere allo spietato boss thai, che sguinzaglia la sua banda di killer trans. La resa dei conti è dietro l’angolo. Chocolate è un film decisamente sorprendente: incredibilmente valido a livello di pulizia tecnica e di rigore formale, si avvale anche di una sceneggiatura sorprendentemente solida e coerente. Il tutto, ovviamente, unito alla sovrumana abilità nelle arte marziali di Jeeja Yanin. Ora come ora la vera sorpresa di questo festival.