Venezia 2010: con Noi Credevamo Mario Martone il napoletano a Torino torna a Sud per l’Unità d’Italia
Noi credevamo di Mario Martone in concorso con il suo che esce a pochi mesi dal 2011, a mezzo secolo e mezzo dall’Unità del nostro paese. Strano paese l’Italia. Gli anniversari servono per mettere in moto un po’ tutto, compresi cinema e soprattutto tv. Si spera nella Olimpiadi per il 2020, poco fa si è
Noi credevamo di Mario Martone in concorso con il suo che esce a pochi mesi dal 2011, a mezzo secolo e mezzo dall’Unità del nostro paese. Strano paese l’Italia. Gli anniversari servono per mettere in moto un po’ tutto, compresi cinema e soprattutto tv. Si spera nella Olimpiadi per il 2020, poco fa si è sperato negli Europei che ci sono stati portati via, si continua a sperare nella Expo di Milano, in vista del prossimo Giubileo lontano ancora anche se gli sguardi sono già puntati. Le iniziative per ricordare e celebrare l’Unità, nate tra polemiche e tagli finanziari (dimissionario l’ex presidente Ciampi che era capo del comitato), vanno avanti.
Martone, napoletano, regista di teatro e cinema, e direttore dello Stabile di Torino, è riuscito a passare indenne tra gli scogli e ha portato al Lido un filmone di 204’ con volti poco conosciuti ma anche con Toni Servillo (nel ruolo di Giuseppe Mazzini), Luca Zingaretti, Luigi Lo Cascio e tanti altri, un cast di tutto rispetto.
A cinquantun anni, il regista di tanta avanguardia scenica e di opere, si è ispirato a un libro di Anna Banti, e ha deciso di puntare su racconto imperniato su Mazzini, i carbonari, i repubblicani, quindi gli antimonarchici, i Savoia; giovani che nel Sud coltivavano una inattesa unitaria contro i Borboni e che si recavano a Parigi per intraprendere alleanze e avere finanziamenti (con lo scopo di assassinare Napoleone III per mano di Orsini poi preso e ghigliottinato).
Non ci sono le Cinque Giornate di Milano, la Repubblica Romana e gli altri luoghi attraverso i quali si è svolta la storia patria prima del 1861, l’anno della proclamazione, e oltre. Una precisa scelta scandita in tre momenti organizzati sulle vicende di altrettanti personaggi-chiave tra la realtà e l’invenzione. Di Garibaldi si parla ma lo si vede poco, a cavallo in mezzo alle fiaccole. Si vedono le repressioni dei bersaglieri scesi nel Sud per annientare i briganti ma che, sono cose note oggi quanto mai tornate di attualità, commisero sbrigativamente incendi e uccisioni, pagine rosse di sangue.
Il film è lungo, pochi esterni, molti interni, forse troppi. Domina un’atmosfera tanto drammatica da diventare persino tetra. Nessuno sorride. Le labbra e gli occhi dei personaggi sono tesi, preoccupati. Solo un canto, alla fine, per Garibaldi e i garibaldini. I patrioti vivono nella paura di essere trovati dalla polizia borbonica e soprattutto di essere traditi al loro stesso interno.
Più che uno spettacolo, Martone ha fatto una lezione senza tentennamenti e concessioni sulla difficoltà dei “nuovi”italiani di capirsi, specie fra nordisti e sudisti, tra borghesi e contadini. Poca luce. Poco, pochissimo entusiasmo, prospettive sorvegliate e guardinghe. Il che conferisce al film una certa freddezza e, a metà del percorso, zone di eccessive situazioni date alla sola parola, ai dialoghi. Per fortuna, l’ultima parte- la più amara, per via della delusione di patrioti di fronte alle repressioni nelle campagne, contro i cosiddetti briganti ma anche contro gente senza colpe-, si riprende, solleva appunto il tema delle repressioni, e delle incomprensioni fra i “nuovi” italiani. Volutamente non spettacolare, saltando passaggi che al grande pubblico sarebbero serviti per meglio entrare nelle storie della storia unitaria, il film è professionalmente senza peccati, con scene incisive, con un tono sobrio. Ma è “poco sentito”, come dire, dal regista che si muove con misura, giocando i toni bassi.
Sarà interessante ora riscontrare le reazioni del pubblico nelle sale. Molti andranno a cercare i motivi dello scarso entusiasmo, come stile e modi narrativo, in quello che pure vorrebbe essere uno spettacolo non celebrativo ma appassionante, e che non sembra avere però la forza (nelle proiezioni alla Mostra) di appassionare. La stagione delle memorie risorgimentale è appena cominciata e andrà avanti. La speranza è in una pluralità di proposte, occasioni, riflessioni e, perché no, intrattenimento di qualità. Altrimenti…