Dylan Dog – Il film: le recensioni della carta stampata
Sono una grande lettrice di Dylan Dog e non ho ancora visto il film (ho un po’ paura di cosa potrei trovarmi davanti). Forse avrete letto la nostra recensione (assolutamente negativa) e oggi vogliamo sapere cosa dicono i critici della carta stampata. Voi che avete visto il film: che ne pensate di questi commenti?Maurizio Acerbi
Sono una grande lettrice di Dylan Dog e non ho ancora visto il film (ho un po’ paura di cosa potrei trovarmi davanti). Forse avrete letto la nostra recensione (assolutamente negativa) e oggi vogliamo sapere cosa dicono i critici della carta stampata. Voi che avete visto il film: che ne pensate di questi commenti?
Maurizio Acerbi – il Giornale: (…) Non scherziamo. Questo film poteva intitolarsi in qualsiasi altro modo: sarebbe stata la stessa cosa. Del Dylan Dog a fumetti qui trovate brandelli, a partire dal protagonista, Brandon Routh, che di emaciato non ha nulla. Non c’è Groucho, non c’è Londra. È tutto un palliativo; anzi, un vero mistero.
Roberto Nepoti – La Repubblica: I fan incondizionati del fumetto erano stati facili profeti; del detective di Tiziano Sclavi il Dylan Dog che arriva sullo schermo ha conservato solo il costume d’ ordinanza. Tutto il resto è sparito: teatro dell’azione (da Londra a New Orléans), comprimari (l’ irrinunciabile Groucho), ma soprattutto l’eroe eponimo, che ha dismesso i tratti di Rupert Everett per prendere quelli del vitaminico Brandon Routh. […]
Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano: AAA cercasi Rupert Everett. E disperatamente. Perché se Superman diventa Dylan Dog (…) si può ufficializzare il degrado del cinema mutante in bluff. Qui non si tratta di un paludato giudizio preventivo all’operazione che sposta le coordinate del cult nei territori a stelle e strisce (da Londra a New Orleans) e sintetizza le atmosfere dark generate da Sclavi in schermaglie tra vampiri, licantropi e zombie: il guaio scende negli abissi della superficialità narrativa, registica e creativa nel complesso, in cui non si giustifica il voler “esportare” il nostro leggendario eroe in USA. Che pure potrebbe esser nobil gesto. Con il body builder Brandon Routh (attore di “Superman Returns”, appunto) sostituto dell’emaciato signor Everett-Dellamorte (ridateci anche quel film di Soavi!) è come assistere alla trasformazione di una collezione Armani in American Apparel. Certe cripte è meglio non toccarle. Da evitare con cura.
Boris Sollazzo – Liberazione: Venticinque anni d’attesa. Fin dai primi numeri editi dalla Bonelli, il fenomeno fumettistico e di costume Dylan Dog sembrava tagliato per il cinema. Tiziano Sclavi l’aveva pensato sulle fattezze di Rupert Everett – che non a caso interpretò il “suo” Dellamorte Dellamore, diretto da Michele Soavi -, i 294 numeri finora usciti sono spesso debitori di citazioni e ispirazioni della Settima Arte, il suo maggiordomo è addirittura il sosia di Groucho Marx. E, volendo esagerare, pure il suo maggiolino è abbastanza matto. […]
Paola Casella – Europa: Chissà se un giorno il Quentin Tarantino o il Marco Giusti del futuro riabiliteranno questo film come cult trash? Gli elementi ci sono tutti: un lungometraggio basato su un fumetto di culto italiano ma girato da un canadese e interpretato da attori americani, con una nuova ambientazione (la Londra di Dylan Dog diventa New Orleans) e meno personaggi di contorno e il ruolo principale affidato a un bisteccone yankee. Sono da cult anche i risibili effetti speciali, il trucco fai da te dei mostri, le scene che sembrano colorate col pennarello, il nuovo personaggio dell’amico zombie (Sam Hungtington, l’unico attore degno di menzione, almeno fino a quando la regia non lo costringe a ripetere all’infinito le stesse smorfie). Alla fine, se si riesce a vedere il film nella sua dimensione camp artigianale e nella sua totale mancanza di pretese, è anche divertente (…) Ma bisogna dimenticarsi del tutto la fonte, fare finta che Dylan Dog non sia mai esistito come personaggio amato da milioni di lettori, e considerare questo film come il divertissement di un autore un po’ infantile.
Dario Zonta – L’Unità: Quando si mette mano a una icona del fumetto come il Dylan Dog di Tiziano Sclavi, con più di 300 numeri all’attivo e una schiera di lettori che ha permesso a Bonelli editore di toccare il milione di copie, non si può «fare a meno» del giudizio critico dei fan, non si può dire «quelli sono di parte e il cinema è un’altra cosa», anche perché è anche a quell’uditorio che il film si rivolge. Ora, chi scrive non è stato né fan né lettore accanito degli annali di Dylan Dog, anche se la sua generazione è proprio quella che ne ha decretato il successo, ed è andato a vedere il film in sala scevro – nel limite del possibile – da preconcetti e pregiudizi. […]
Maurizio Porro – Il corriere della sera: Che la razza umana sia in decadenza, come dice il vampiro, è evidente dal film di Munroe, emanazione spuria, violenta (non vietata!), noiosa del fumetto di Sclavi. Il detective si trova tra zombi (l’assistente mangia burger ai vermi) e clan di licantropi (equiparati alla mafia) in lotta a New Orleans (…). Spunti humour (l’outlet dei ricambi per vampiri, Dante che alza il gomito) affogano tristi tra le viscere nel pestifero horror mimato più che recitato, da Brandon Routh che ha l’espressività di un sasso palestrato.
Francesco Alò – Il Messaggero: Uuaarrrgghh! «Giuda ballerino! Chi sarà mai? Groucho, vai ad aprire!». Questo era il fumetto. Nel Dylan Dog hollywoodiano di Kevin Munroe non esistono campanello urlante e assistente Groucho Marx (problemi di diritti) che lanciava pistole e sparava freddure. «Giuda ballerino» si dice solo una volta. Mancano Londra piovosa, il commissario Bloch che non crede a niente dal ’46, il bianco e nero scarno di Stano, la penna del creatore Sclavi e il “nostro” Dylan Dog, investigatore dell’incubo caustico e sciupafemmine sosia di Rupert Everett. […]
Alessio Guzzano – City: Un ex cacciatore di mostri se la tira da detective vissuto (alla Marlowe, con voce off), ma finisce risucchiato nella solita lotta tra licantropi e vampiri, con il solito talismano che resuscita il solito demone. Il tutto girato maluccio da un regista tardo(gotico) che viene dai videogiochi e ambientato a New Orleans, dove è più facile credere che gli umani siano in minoranza, ma soprattutto dove girare costa meno. Kevin Munroe e i suoi sceneggiatori bolliti hard riescono a disgustare gli aficionados della creatura di Tiziano Sclavi (e di Xabaras) senza riuscire a raccattare l’attenzione dei fan mannari di “Twilight” (le suorine devote sono soprattutto femmine…). Dylan Dog suona il clarinetto, prende 250 dollari al giorno più le spese, abita in Rue Craven, ha un modellino di vascello (non in bottiglia) e paga il pieno del datato Maggiolino con la carta di credito (sigh). Groucho compare solo in foto: i saggi eredi hanno negato i diritti d’immagine, quindi la parte dell’aiutante ‘comico’ tocca all’aspirante detective giuggiolone Sam Huntington e agli zombie cacasotto che si rifanno il look all’outlet notturno (presto i ruoli coincidono). Già in “Superman Returns” faceva da spalla a Brandon Routh: inutilmente belloccio e senza spigoli soprannaturali. Horror ballerino, film giuda.