Hunger Games: le recensioni dall’Italia e dall’Estero
La critica si è divisa sul film: c’è chi lo giudica ben fatto e chi parla di pellicola insoddisfacente. Voi cosa ne pensate del film di Gary Ross?
Allora, avete visto Hunger Games? Oggi dedichiamo al film un post con alcuni stralci di recensioni straniere ed italiane. Nel ricordarvi la nostra recensione vi rimando però anche al vostro giudizio. E vi segnalo che (mentre scrivo) la percentuale del tomatometer su RottenTomatoes è dell’84%.
– Roger Moore – McClatchy-Tribune News Service: Gary Ross, che ha diretto Seabiscuit, riesce ad arrivare al traguardo senza grandi errori, ma senza molti termini di ispirazione.
– Peter Rainer – Christian Science Monitor: il regista riesce a mantenere il ritmo molto veloce.
– Amy Biancolli – San Francisco Chronicle: Il film è dotato di un’immaginazione creativa. La sua stella, Jennifer Lawrence, porta la sua solita durezza e la trasparenza emotiva all’arciere-eroina Katniss.
– Wesley Lovell – Oscar Guy: Un blockbuster che ha qualcosa da dire sul mondo. A differenza di Twilight questo film ha in realtà un significato più profondo e filosofico.
– Rob Humanick – Projection Booth: Per chi non conosce il romanzo, il film è narrativamente insoddisfacente; per non parlare dell’aspetto visivamente statico.
– Paul Chambers – CNNRadio: Ciò che funziona sulla pagina non si può tradurre sullo schermo. Questo è sempre stata la sfida di portare la visione di uno scrittore al cinema. Tutto torna alla “sospensione dell’incredulità”.
– Michael Dequina – TheMovieReport.com: Nonostante le difficoltà e le carenze di questo primo film è, che alla fine ero davvero interessato a vedere cosa succede.
– Matt Singer – ScreenCrush: Se non avete mai letto i romanzi della Collins, le probabilità di godersi il film non sono a vostro favore.
– Neil Pond – American Profile: Lawrence è un modello forte per le ragazze giovani: viene mostrato il sacrificio e il coraggio del suo personaggio in un mondo che ha perso la volontà di lottare per ciò che è giusto, anche se ciò significa sacrificare la propria vita o innescare una rivoluzione.
– Jeff Bayer – The Scorecard Review: Non ho letto il libro. Il film è abbastanza divertente ma non mi sono sentito attratto per questo nuovo mondo.
– Keith Cohen – Entertainment Spectrum: Lawrence è fantastica nel ruolo della protagonista e noi facciamo il tifo per qualcuno che cerca di sopravvivere a questa terribile prova. Gli interpreti si ritagliano personaggi memorabili. La colonna sonora, i costumi e il trucco sono gli altri punti di forza.
– Anthony Quinn – The Independent: C’è un messaggio ironico al centro di Hunger games, futuristica favola satirica su un macabro talent show televisivo creato dallo stato. Come dice la protagonista del film Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence), “se nessuno lo guarda, non c’è nessun gioco”. Ma tutti lo guardano, compreso il pubblico del film, che ha affollato le sale statunitensi.
– Maurizio Acerbi – il Giornale: (…) Dopo Twilight ecco il nuovo cult adolescenziale che rispetto al rivale è meno banale, meglio diretto e, soprattutto, ottimamente recitato.
– Gabriella Gallozzi – l’Unità: (…) Tratto da primo episodio della fortunatissima saga di Suzanne Collins, il film è un mix di deja vu confezionati in abiti da blockbuster.
– Fabio Ferzetti – Il Messaggero: Dalla società dello spettacolo allo spettacolo della morte. Dai ricatti dei reality alla realtà del ricatto, mascherato per giunta da riscatto (…) Hunger games colpisce basso ma forte mixando satira, metafora, reality, videogame in un cockta più nuovo dei suoi ingredienti dove più che la violenza dello spettacolo (manipolato, quindi doppiamente immorale) colpisce il divertimento degli spettatori, le loro mises decadenti, il rito officiato con zelo e entusiasmo da servi, imbonitori ed esperti vari, felici di stare dalla parte giusta.
– Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa: Negli Usa la trilogia Hunger Games di Suzanne Collins (Mondadori) è un bestseller che vanta illustri estimatori quali Stephen King (…) Sceneggiato dalla scrittrice stessa, il film di Gary Ross edulcora alcuni aspetti del racconto, ma la prefigurazione di una società ventura anti-utopica, dove i valori sono capovolti e (come scriveva G.Orwell in 84) «la pace è la guerra, la libertà è la schiavitù», resta cupa e angosciosa quale deve essere. Premiato da un botteghino planetario di 400 milioni di dollari, lo spettacolo è imbastito con efficacia sui contrasti scenografici fra i ghetti dei poveri, il regno del privilegio e la foresta-set che funge da arena. In questo habitat si muove vigile e determinata Jennifer Lawrence, che già in Un gelido inverno si era dimostrata convincente, combattiva eroina senza macchia.
– Paolo Mereghetti – Il corriere della sera: Travolti da una montagna di incassi (359 milioni di dollari negli Usa fino al weekend scorso, 272 milioni in euro. E non è finita), sommersi da «spiegazioni» e «informazioni» di ogni tipo (…) si rischia l’overdose (…) Diciamolo subito: i riferimenti alla storia di Roma antica sono da fumetti, in linea coi centurioni a pagamento con cui i turisti si fanno fotografare davanti al Colosseo; i rimandi alle divisione tra «poveri» e «ricchi» (che di scontro di classe non si può proprio parlare) sono talmente schematici da sfidare il ridicolo; e le allusioni alla dittatura dei media sono così superficiali e folcloristiche da giustificare l’idea che siano state messe lì per «imbrogliare» un po’ le carte, furbesco tributo allo spirito dei tempi. Questo non vuol dire che il film non funzioni come giocattolone adolescenziale, ma il suo posto è più tra i videogame e i gioco di ruolo che tra i titoli che segnano la storia del cinema (…)
– Curzio Maltese – la Repubblica: Al confronto di Hunger games, il fenomeno che in America ha polverizzato tutti i record d’incasso, la saga di Harry Potter sembra scritta da Shakespeare. È difficile trovare perfino fra i blockbuster una sceneggiatura così banale, con un finale prevedibile fin dal primo minuto, una scrittura dei personaggi altrettanto univoca, con i buoni garantiti al limone e i cattivi ridotti a una maschera di crudeltà. Non bastasse, mentre l’inglese Rowling s’inventa un mondo letterario intorno al suo maghetto, la Collins, autrice del bestseller americano, si limita a copiare e assemblare un’infinita serie di miti classici, a cuocerli nel grasso della sottocultura televisiva e a distribuirli come tanti pacchetti di pop corn all’ingresso delle sale. (…) L’oggettiva miseria artistica di Hunger games, non emendata dal talento del regista Gary Ross (Pleasantville, Seabiscuit) e neppure dal genio di due attori formidabili come Donald Sutherland e Stanley Tucci, nei ruoli del vecchio dittatore e del cinico presentatore televisivo, rende naturalmente ancora più avvincente il mistero dello straordinario successo. All’impero americano piace rappresentarsi certo con le metafore dell’antichità, che qui sono sparse a piene mani, dal mito del Minotauro alla lotta dei gladiatori, agli stessi nomi del regno, Panem («i circenses sono scontati», ha scritto Vittorio Zucconi), e della città, Capitol. Da sociologi da strada, si può citare anche la paura per la fine della democrazia e l’angoscia per il futuro delle giovani generazioni, vampirizzate da una società egoista e gerontocratica. Due elementi che non mancano in nessuna delle saghe popolari di questi ultimi vent’anni. Ma la vera ragione del successo del film è probabilmente la più deprimente: il gelido calcolo commerciale dell’operazione, il grado zero di scrittura e invenzione, la totale aderenza agli stilemi televisivi. Hunger games è uguale alla televisione, ma portata all’estremo dagli effetti speciali del grande schermo. Per dirla con le immortali parole di Macbeth, Hunger games è come la vita di tutti i giorni, una favola è raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla.
– Roberto Escobar – L’espresso: Se non li guardassimo, i loro giochi finirebbero, dice pressappoco un personaggio di “Hunger Games”. E intende che solo l’audience consente al governo dispotico di Panem – una nazione immaginaria in una immaginaria America del Nord – di ripetere ogni anno un rito cruento che ne legittima il potere. (…) Fanno sul serio, il regista Gary Ross, la scrittrice Suzanne Collins e il cosceneggiatore Billy Ray. O almeno così sembra nella prima metà del film. Il mondo che iniziano a descrivere è quello di una distopia, di un’utopia negativa che ricorda da vicino il nostro mondo reale. Quando Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) viene portata nella capitale di Panem, e quando con gli altri 23 partecipa alla prima puntata del talk show che presto diventerà una guerra mortale, la sceneggiatura pare decisa a evocare la mitologia televisiva che da decenni nutre di miseri sogni il nostro pensiero diffuso e il nostro comportamento. Si tratta della mitoideologia del “numero uno”, che afferma la propria superiorità mostrandosi in televisione mentre elimina (non materialmente, ma con una netta violenza simbolica) i suoi avversari in quel gioco stupido e crudele che sono i cosiddetti reality show. E più d’una volta, a sottolineare la portata politica totalitaria di questa mitoideologia, un cinico Presidente Snow (Donald Sutherland) interviene nel racconto con frasi definitive e parafilosofiche sulla dura realtà del potere o sui vantaggi che gli vengono dalla speranza illusoria concessa ai sudditi. E però, quando dovrebbero raccogliere le fila della vicenda, dando dignità narrativa alla distopia, Ross, Collins e Ray preferiscono giocare a loro volta con la violenza e con la morte. Nel gioco si perde così ogni velleità critica, mentre i caratteri dei personaggi si moltiplicano inutilmente, si slabbrano, si banalizzano. E alla fine resta solo una vuota preoccupazione di audience, come se “Hunger Games” fosse stato scritto (male) dal cinico Presidente Snow.
Hunger Games (U.S.A. 2012 – 142′) di Gary Ross con Stanley Tucci, Wes Bentley, Jennifer Lawrence, Willow Shields, Liam Hemsworth, Elizabeth Banks, Woody Harrelson, Donald Sutherland, Leven Rambin, Jacqueline Emerson, Isabelle Fuhrman, Alexander Ludwig, Toby Jones, Latarsha Rose, Lenny Kravitz.