Ti sposo ma non troppo: Recensione in Anteprima
L’amore al tempo dei nickname funesti. Gabriele Pignotta, al suo primo film, si cimenta in una commedia leggera all’insegna di equivoci e fraintendimenti
Vuoi tu prendere come tuo legitti… Sì. No. Ti sposo ma non troppo parla di questa illusione nella disillusione, di una tappa importante nella vita come il matrimonio che in realtà è contorno al cosiddetto amore. Come se sull’altare il prete o il delegato del sindaco chiedessero ai pretendenti: «ma voi vi amate?». Eppure è da qui, da questo accento inevitabilmente un po’ mieloso, che Gabriele Pignotta trae l’aggancio per questo suo primo film, che è una commedia giusto un po’ romantica. Ma non troppo.
Andrea (Vanessa Incontrada) viene scaricata sull’altare dal marito che risponde no, l’articolo per ora non m’interessa. Luca (Pignotta), invece, porta a cena fuori la sua conturbante e riccioluta fidanzata per la grande proposta: siamo alla torta, lei tenta di fermarlo. «Sì ok, dopo me lo dici. Intanto mangia la torta che è buona». Lei insiste. Lui pure. Arriva il piatto e cosa c’è sopra quella fetta di dolce così invitante? Esatto. Un anello. Ma anziché indossarlo lei, dispiaciuta, fa notare di non essere più innamorata. Anche in questo caso, dunque non se ne fa nulla.
Altra location. Andrea (Fabio Avaro) e Carlotta (Chiara Francini) sono una coppia che sta insieme da una vita, e che da un po’ di questa convivono. Che dirsi ancora? Giusto per ravvivare l’atmosfera, lui propone di convolare a nozze poco prima di mettersi sotto le coperte; così, a ‘sto punto. Fervono i preparativi, la madre di lei pare che stia organizzando il suo di matrimonio, mentre il padre maledice il momento in cui si è fatto chiudere in quella gabbia. Tranquilli, non è tutto, perché in realtà il film è qui che comincia.
Luca e Andrea (la donna), che non si conoscono ancora, decidono di rivolgersi ad uno psicologo anche se in periodi diversi. Andrea (la donna) si è appena trasferita nello stesso stabile di Andrea (l’uomo) e Carlotta. Andrea (l’uomo) è un caro amico di Luca. Fate con calma. Ad ogni modo, l’intreccio è servito. Pignotta tenta una sorta di L’amore al tempo delle chat: e qui s’incorre nel primo, effettivamente sormontabile, equivoco. Stando alle dichiarazioni del regista, quest’ultimo ha «cercato di raccontare l’Amore 2.0 ai tempi dei social network con una commedia degli equivoci che avesse tra le pieghe del divertimento una traccia emotiva riconoscibile e un romanticismo mai sdolcinato». Dove sta l’equivoco? Beh, più che social si tratta di chat, o al massimo siti d’incontri. E allora? Beh, allora involontariamente si scoprono le carte. Spieghiamo.
In Ti sposo ma non troppo troviamo buona parte del repertorio di limiti e difetti di un certo tipo di fare commedia tipicamente (sic) italiana: corna (presunte o meno), equivoci amorosi, costruzione posticcia della vicenda, profili che vanno oltre i cliché e via discorrendo. Ma non volgare, che è in fondo l’unica deriva che questo film evita pienamente. Anzi, il registro è quello dai toni a suo modo delicati, che alterna situazioni costruite per divertire ad altre più seriose laddove non romantiche. Tuttavia è la prima indole ad avere il sopravvento, perché a quanto pare Pignotta vuole anzitutto far ridere o per lo meno sorridere. Perciò non fare differenza tra una piattaforma e un’altra, da peccato veniale qual è, diventa indice di un vizio: quello di essere rimasti dieci anni indietro, se non pure qualcosina di più. Di non voler minimamente prendersi alcun rischio, privilegiando progetti “facili” anziché tentare di anche solo di integrare qualcosa a format così rigidi. Che poi la mancata “innovazione” non è nemmeno il problema principale.
A mancare è proprio una precisa direzione che conferisca al prodotto un indirizzo cinematografico. Anche qui si ha l’impressione di una commedia strappata al teatro, con quegli intrecci così forzati, calcolati al millimetro e che puntano allo stomaco di uno spettatore che ha già visto tante e tante volte la stessa storia, ma soprattutto raccontata allo stesso modo. Ecco, il lavoro di Ti sposo ma non troppo si limita proprio ad assecondare questo schema ricostruendolo in maniera chirurgica, cercando sì di non scadere nel più banale e classico dei cinepanettoni; riuscendo però a non discostarsi troppo dalla cinecolomba (dato il periodo) – a differenza dell’omologo natalizio, il secondo tipo non fa ricorso a brani di repertorio ma a discutibili motivetti che compongono una colonna sonora per lo più insulsa.
Probabilmente non siamo dalle parti della commedia seriale, rigidamente riproposta ogni dodici mesi. Ok. Eppure ultimamente alcuni autori sembrano avvertire la necessità di raccontare favole, il che di per sé non è affatto un crimine, anzi. Solo manca un’idea chiara in merito a come tutto ciò possa funzionare sul grande schermo, un contesto che tende per natura a punire simili operazioni: perché tra stare davanti a una macchina da presa e sopra un palco c’è un po’ di differenza, anche per gli attori, ai quali va illustrato come eludere il pericolo di non cedere a tale malinteso. Ti sposo ma non troppo: si ispirava alla commedia brillante velatamente sentimentale a là Hitch – Lui sì che capisce le donne, giusto per citarne una americana; finisce col porsi a metà strada tra (per rifarci a questo periodo) tra un Ti ricordi di me? e un Maldamore. Da Hitch, peraltro, copia alla grande i titoli di coda: qualora non fosse abbastanza chiaro, insomma.
Voto di Antonio: 3
Ti sposo ma non troppo (Italia, 2014) di Gabriele Pignotta. Con Gabriele Pignotta, Vanessa Incontrada, Chiara Francini, Fabio Avaro, Paola Tiziana Cruciani, Paolo Triestino, Michela Andreozzi, Francesco Foti, Federico Pacifici e Catherine Spaak. Nelle nostre sale da giovedì 17 aprile.