Kingsman – Secret Service: recensione in anteprima
Irriverente e sopra le righe, peccato che nell’insieme Kingsman – Secret Service non riesca ad essere all’altezza delle sue migliori scene, davvero indovinate
A Savile Row, patria londinese degli abiti su misura, con le sue blasonate sartorie, ve n’è una più particolare delle altre. Kingsman difatti non confeziona solo completi impeccabili, bensì alleva anche una classe super-addestrata di agenti segreti. La loro missione? Da secoli la stessa: evitare il caos nel mondo. Combattere i cattivi insomma.
Cattivo è Valentine, una sorta di guru tecnologico à la Steve Jobs, laureato al MIT e pieno di soldi e contatti. Il piano di Valentine (che ah, per la cronaca, è un zeppola-dotato Samuel L. Jackson) è il solito: la Terra è sovrappopolata, perciò o scompare l’uomo o scompare il pianeta. Inutile dire da che parte stia il nostro. L’arma di distruzione di massa è rappresentata da delle onde che agiscono a livello neuronale sulle persone, rendendole estremamente violente. Basta diffondere aggratis dei cellulari di ultima generazione, far sì che la maggior parte delle persone ne abbia uno ed il gioco è fatto.
Torniamo indietro. Dicevamo dei Kingsman. Ebbene, il film comincia con un’operazione non andata a buon fine; uno dei papabili, un giovane promettente, muore a causa dell’imperizia dell’agente Galahad, nome in codice di Harry Hart (Colin Firth). Seguono dolorose e sentite scuse alla famiglia, con la promessa al figlio Gary che l’agenzia si sarebbe occupato di lui non appena quest’ultimo ne avrebbe avuto bisogno. Un po’ come per la parabola degli Skywalker, il prescelto salta una generazione e sarà proprio Gary ad incarnare la risposta alla salvezza del mondo/galassia.
Perché inevitabilmente Kingsman è un contenitore di rimandi, dato che a Matthew Vaughn piace così, e pure a noi. Abbiamo citato Star Wars, sebbene il più evidente sia 007; ma in generale il film è disseminato di piccole o grandi citazioni che non vogliamo svelare e privarvi del gusto di scovarle da voi. Un’operazione analoga a Kick-Ass questa: non a caso Kick-Ass sta ai comics (o meglio, ai film sui comics) come Kingsman sta alle spy-story. Con la consueta carica ironica, talvolta dissacrante, senza dubbio spettacolare.
Ma c’è un “ma”. Sì, purtroppo c’è. Andando a ritroso e vagliando il già citato Kick-Ass, è facile rievocare quello che probabilmente è il passaggio più riuscito, ovvero l’adrenalinica scena in cui Hit-Girl si sbarazza degli scagnozzi del boss D’Amico nel suo ufficio. Ritmo euforico, brano ineccepibile, coreografia esaltante. Ebbene, di scene così, sebbene diverse (per fortuna) se ne contano almeno due: la prima è un massacro all’interno di una chiesa di una denominazione protestante a caso, che si risolve in una carneficina dall’alto tasso scenografico, cruda e senza esclusione di colpi. Il secondo, solo apparentemente meno “cruento”, è la pirotecnica esplosione in sequenza di non vi diciamo cosa, scena quasi liberatoria nella sua irriverenza, oltre che di sicuro impatto nel suo solleticare con dolcezza lo spettatore.
Entrambe le scene summenzionate brillano e a livello visivo e in termini di scelta del sonoro; perché oramai si è capito che Vaughn è un maestro nello scegliere i pezzi giusti in fasi del genere. Alla fine, però, tirando le somme, viene da chiedersi: il film è all’altezza di almeno una di queste due, eccezionali sequenze? Francamente la risposta che ci siamo dati sino ad ora è no. No perché al di là di qualche battuta efficace, qualche situazione un po’ più simpatica, manca la verve mostrata nell’imbastire il discorso di Kick-Ass; come già detto, le due operazioni sono analoghe, ma mentre nel comics Vaughn è riuscito in qualche strano modo a scardinare le serrature che andavano scardinate, l’impressione è che in ambito di spionaggio si fermi a metà la strada.
La sua è un’onesta commedia applicata al genere, molto brillante a sprazzi, ma che nell’insieme non appaga come c’era riuscito in precedenza questo regista, con una prima parte che arranca per poi riprendersi più in là – il film dura più di due ore. Ci si diverte, è evidente, ma anche a costo di risultare noiosi, il discorso approntato in Kick-Ass, nella sua sarcastica semplicità, era più articolato oltre che incisivo. Ora che Vaughn comincia ad accumulare opere apparirà sempre più spontaneo optare per dei paralleli, fermo restando l’opportuno giudizio sull’opera singola, presa a sé stante. Ecco, porre sullo stesso piano due film specifici del regista britannico spero più che altro possa contribuire a farsi un’idea in merito a come rapportarsi a questo suo ultimo, che è comunque valido sebbene non fino in fondo.
Prima di concludere, allora, gettiamo sul tavolo un ulteriore ricorso. Edgar Wright è un altro che porta avanti operazioni analoghe a questa, applicandole all’horror (Shaun of the Dead), alla fantascienza (The World’s End) o ai fumetti (il sottovalutato Scott Pilgrim vs. the World). Ebbene, in tutti e tre i casi Wright riesce a mantenere un tenore ed una freschezza che sì, si può anche preferire uno o due tra questi rispetto agli altri, non importa; ciò che non si può negare è che in tutti si tratta di una cifra distinguibile, forte, che funziona senza riserve. Kingsman, al contrario, pur nella sua folle ed apprezzabile corsa, ci pare un pelo più debole. Quantomeno, per il momento è questa l’impressione.
Voto di Antonio: 6
Voto di Federico: 8
Kingsman – Secret Service (Kingsman: The Secret Service, USA, 2015) di Matthew Vaughn. Con Colin Firth, Michael Caine, Taron Egerton, Mark Strong, Sofia Boutella, Samuel L. Jackson, Sophie Cookson, Jack Davenport, Corey Johnson, Jorge Leon Martinez, Neve Gachev, Lee Nicholas Harris, Velibor Topic, Samantha Womack, Morgan Watkins, Edward Holcroft, Matthew William Jones, Jaymes Butler, James Michael Rankin, Christian Brassington, Joe Kennard, Allistair McNab e Paulina Boneva. Nelle nostre sale da mercoledì 25 febbraio.