Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno: Recensione in Anteprima
Dopo quattro anni, ecco finalmente il terzo ed ultimo capitolo della trilogia di Batman secondo Nolan. A voi la recensione in anteprima de Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. The Dark Knight Rises
Il fuoco divampa. Le fiamme si sollevano.
Bruce Wayne, eccentrico milionario di Gotham City. Ora più che mai, è lui il protagonista della propria storia. Eppure abbiamo preferito partire dalle parole di Bane. Non un semplice comprimario, bensì uno la cui sola immagine ha tenuto col fiato sospeso fino all’inverosimile. Uno a cui è toccato un compito che è un’impresa: uscire a testa alta dall’inevitabile confronto con Joker. Quel Joker.
Bruce Wayne, colui che convive da sempre con una radicale solitudine eppure non è mai solo. Sì perché, lo sappiamo, il registro adottato da Christopher Nolan è di tipo corale, quello al quale ti sottometti volontariamente nello stesso istante in cui decidi di gestire così tanti personaggi di estremo interesse. E questa è già una sfida decisamente ardua alla quale tener testa.
Bruce Wayne, Batman. Non soltanto una maschera, bensì un simbolo, qualcosa attraverso cui valga la pena lottare. Non un semplice ed in fondo comodo escamotage per evadere, per delegare a lei quanto manca a chi la indossa. Perché quel costume, quella maschera, non rappresentano affatto una fuga, anzi. E’ esattamente il contrario. Quella maschera, avvolta da un mantello, è un ritorno. Il Ritorno.
Gotham City. Sono trascorsi ben otto anni dalla morte di Harvey Dent. Quel Dent il cui lascito tiene ancora incrollabilmente in vita la sua memoria. Memoria che è un pretesto, al meglio un comodo espediente. Un ombrello sotto cui ripararsi fingendo che attorno non stia piovendo a dirotto. The Dark Knight Rises non fa altro che ribaltare la celebre frase con cui il commissario Gordon ci aveva lasciato quattro anni fa. Perché Batman non è “l’eroe che Gotham merita ma di cui non ha bisogno ora“. Viceversa, è l’eroe che Gotham non merita ma di cui ha disperatamente bisogno. Adesso.
Ad alcuni dispiacerà che si parli di questo film come di un’opera ad ampio respiro, ma è così. Facciamocene una ragione. Gli abitanti di Gotham siamo noi. Noi che diamo tutto per scontato, compresa la libertà. Noi che ci accontentiamo di facili verità perché non abbiamo il coraggio di immergerci nelle viscere della nostra persona, indagando sulle nostre paure. Quelle che più ci affliggono.
Così Nolan costruisce il primo dei tre atti di questa sua ultima fatica, lavorando su tre piani differenti. Il primo, quello che attiene alla figura di un Bruce Wayne pressoché irriconoscibile, recluso nella sua stessa abitazione. Il secondo, manco a dirlo, coinvolge la figura di Bane, la nuova minaccia. L’altro riguarda proprio Gotham, la sua indolenza e la sua fittizia prosperità di facciata. Un terreno impervio, questo, all’interno del quale il regista britannico e suo fratello si muovono bene, affidando la resa dell’intero frammento a non pochi dialoghi.
Da ciò ne deriva una prima parte lenta. Verbosa, se vogliamo. Ma proprio per questo, esattamente funzionale. Attenzione alle conversazioni che Bruce intrattiene in questa fase con Alfred ed il giovane agente Blake. Dei monologhi, a dire il vero, dove sono gli interlocutori del ricco ereditiere ad avere la preziosa ultima parola.
In tale contesto le peculiarità di ognuno dei tre elementi sopracitati emergono quasi interamente per trasmissione orale. Si parla tanto per quasi la prima metà della pellicola, ma in maniera bilanciata. Oltre a rappresentare l’opzione più logica, la scelta di modellare la storia affidando alla parola un ruolo così importante appare rivelatrice anche del profondo legame che unisce The Dark Knight Rises al romanzo di Dickens, Racconto di due città. Due città che, in quest’ultimo capitolo della trilogia come nel romanzo del celebre scrittore inglese, sono due mondi. Pianeti che non si toccano nemmeno. Finché qualcuno (Bane), non intende mescolarli. Ma una fusione del genere, oltre che improponibile, è altamente instabile.
Ricorre qui la tematica della crisi globale, con Occupy Wall Street e quant’altro. Non solo. Perché Nolan, sostanzialmente, ci pone intelligentemente dinanzi a una storia già avvenuta. Quella Rivoluzione Francese che fu una bomba non solo per il Paese che la ospitò, bensì per l’epoca a venire tutta, fino ai giorni nostri. Un avvenimento storicamente vichiano, il cui ricorso non fa che presentarsi tale a quale al passato. Una categoria di persone che non tollerano più le angherie del cosiddetto “ceto alto”, un tempo legato a privilegi nobiliari, oggi a quelli garantiti dalla finanza.
Ed è qui che viene prepotentemente fuori la maestria di Nolan. Anche a cavallo tra il ‘700 e l’800 gli ideali di quel moto rivoluzionario finirono oscurati da una profonda sete di rivalsa. La stessa che pose dei politicanti dalla dubbia integrità morale al posto di certi altrettanto deprecabili esponenti della monarchia – fate caso a chi verrà scelto come giudice della “nuova corte marziale”. Ciò che veniva spacciato per ardente desiderio di libertà, fraternità e uguaglianza, si risolse con un semplice avvicendamento. Sì, nelle poltrone che contano.
Così anche a Gotham riecheggia l’illustre slogan di quella rivoluzione, al quale il villain di turno si adegua in toto: Liberté, Égalité, Fraternité… ou la Mort! Perché anche in questa metropoli dei nostri giorni, come nelle strade parigine di circa due secoli fa, a regnare è l’odio.
In tal senso, l’autore si guarda bene dal circoscrivere esclusivamente il proprio discorso alla stantia retorica del ricco e del povero. E lo fa con un colpo di genio, ossia caricando tutto il peso di queste istanze sulle spalle di Bane. Uno straordinario Tom Hardy, che si produce in un cattivo durissimo, eppure profondamente umano. Un personaggio gestito a nostro parere meglio da chi l’ha interpretato anziché da colui che l’ha plasmato. E capirete il perché solo alla fine dei conti.
Un male necessario, come si dice nel film, che il Cavaliere Oscuro non può che contrastare con una forza di segno opposto. Tuttavia l’umanità che traspare da entrambi i due “contendenti” è così vivida e pronunciata da metterci in difficoltà. Ad un certo punto si arriva quasi a parteggiare per Bane, sentendosi attraversati da un senso di disagio che solo la sua crudeltà riesce a spiegare.
Questo il paradosso creato da Nolan: e se i due, buono e cattivo, fossero dalla stessa parte senza nemmeno saperlo? Se entrambi combattessero, in ultima analisi, per lo stesso motivo… solo in modi differenti?
Quesiti affascinanti, a cui una mezza risposta viene data. Ciò che accomuna tutti i personaggi principali di The Dark Knight Rises è una ed una cosa soltanto: la sofferenza. Ma un conto è la sofferenza di John Blake (eccezionale Joseph Gordon-Levitt), altro è quella di Bane. Così come quella di Bruce Wayne differisce da tutte altre. Nondimeno è proprio in questa dimensione che tutti i protagonisti di quest’opera si trovano, scoprendosi profondamente diversi tra loro. Ed è dalle risposte che ognuno di loro fornisce in merito alla propria condizione che tutto dipende.
Vedete come il lavoro di Nolan riesce ad essere così trasversale? Dalla sociologia alla filosofia, passando per l’attualità. Il tutto cercando di dar voce a quel mistero duramente sondabile che è l’uomo. Mostrando come quest’ultimo, in fondo, sia sempre lo stesso. Anche oggi, con il cupo scoraggiamento che lo pervade.
Una riflessione che, arrivati ad un certo punto, si schiude. Perché non appena le fondamenta appaiono abbastanza solide, gli eventi non fanno che conformarsi ad una progressione sempre più crescente. Nolan dimostra oramai una familiarità con le scene d’azione che fino a qualche anno fa non saremmo stati disposti a riconoscergli. Prima di The Dark Knight non rientrava certo nella sue prerogative questo genere di momenti. Ora, invece – dopo un Inception di mezzo, tra l’altro – il diretto interessato dimostra di aver acquisito un’encomiabile confidenza. Misurate le virate action di The Dark Knight Rises, nonché saggiamente condotte – come nel caso del primo scontro tra Batman e Bane, privo di alcuna traccia musicale. Ma laddove la musica c’è, e ricorre spesso, Hans Zimmer ci offre l’ennesima colonna sonora da urlo. Per la prima volta dal primo Batman senza l’assistenza di James Newton Howard, è col compositore tedesco che Nolan dovrà spartirsi gli inevitabili consensi. Detto in parole povere, questo resterà anche il Batman di Zimmer.
Ma quale che sia la componente presa in esame, non si può fare a meno di evidenziare le prove sopra le righe praticamente di tutti gli attori. Anne Hathaway è una più che convincente Catwoman, sarcastica e al tempo stesso discreta – anche se dal suo abbigliamento non si direbbe. A dire il vero, un po’ meccanica la sua presenza, è bene sottolinearlo. A conti fatti finisce quasi col sovrapporsi a Batman in certe occasioni, senza però speculazione alcuna su un retaggio al quale non si fa nemmeno un cenno. Ed ecco la porta spalancata al potenziale spin-off.
Tom Hardy, a dispetto di un doppiaggio italiano che farà molto discutere, ci è parso l’antidoto migliore che Nolan potesse sperimentare in qualità di “anti-Joker”. Una malvagità decisamente più ordinata la sua, ma non per questo meno devastante. Ripetiamo, quello che ci dispiace è “solo” l’epilogo, di cui non si può certo incolpare Hardy. Pronto, risponde alla chiamata come e meglio di quanto ci si sarebbe aspettati. Non dimentichiamoci che la sua di maschera, lungi dall’esaltarne i tratti, come accade col Joker, comporta una difficoltà recitativa non da poco. Eppure l’idea è che l’attore britannico riesca in ogni caso a conferire un’espressione potente al proprio alter-ego.
Nota di assoluto merito pure per Gordon-Levitt, meravigliosamente nel ruolo, che lo conferma ai vertici della sua categoria. Sguinzagliato sin da subito, il suo Blake non perde tempo a mettersi in gioco. Ed è un gran bel giocare. Di Gary Oldman si è già detto tutto: trovare un Gordon che valga anche solo la metà di lui è una missione che non invidieremo affatto a chi dovrà portarla a termine. Poliedrico come sempre, anche disteso in un letto d’ospedale riesce a manifestare una presenza scenica di notevolissimo spessore.
Non benissimo, purtroppo, la Cotillard, probabilmente limitata da una sceneggiatura che effettivamente tende a vincolarla. A noi ci ha dato l’impressione di una fiamma accesa troppo all’improvviso e bruciata altrettanto in fretta. Michael Caine offre invece quella che a nostro dire è la sua migliore interpretazione nell’ambito della trilogia. Prestazione ispirata la sua, che conclude più che dignitosamente un discorso partito col piede giusto già col Begins. Più in ombra Morgan Freeman, sebbene il suo resti il solito, riuscito Lucius Fox; ironico e brillante.
Ed infine c’è lui, Christian Bale, oscurato nel capitolo precedente da un Ledger in stato di grazia, ma che in questa sede si rifà con tanto di interessi. Il suo non è solo il miglior Batman dell’era Nolan, bensì di sempre. Una performance che meriterebbe un articolo a parte, pregna com’è di significati. Proviamo ad elencarne giusto qualcuno.
E’ un Wayne in totale disfacimento quello che ci viene proposto in apertura. Provato, stanco, arreso. Un Wayne che difficilmente riusciamo ad immaginarci per otto anni segregato nella sua magione – non a caso non sarebbe stato male approfondire di più tale lasso di tempo. Sta di fatto che la sua condizione di partenza ci dice tutto su ciò che significa essere un eroe. Nel suo caso, un supereoe.
Affranto come non lo era dai tempi del percorso che lo portò a diventare Batman, lo vediamo trascinarsi zoppicante con un bastone in mano. Stop. Non vi diciamo altro. Ma da qui emerge il carattere pregnante di questo personaggio. Il Cavaliere Oscuro non è un dato acquisito. Non ha nessun potere, o almeno, niente che ecceda la sua natura umana. Ed è proprio quella che deve superare. Ed in questo non viene certo aiutato da Nolan, che spoglia il povero Wayne di tutto, con una violenza inaudita. Quella di Batman non può che essere, ancora una volta, la vittoria dello spirito sulla natura. Laddove non ha più nulla su cui contare, nemmeno sul proprio stesso corpo, è allora che attinge da una forza che lo sorpassa. E’ l’amore.
Quell’amore che, come accennavamo sopra, è l’unica vera arma che può opporre all’odio frenetico dei suoi rivali. Disinteressato, eppure così profondamente radicato in lui, l’amore rappresenta la molla che fa di Batman ciò che è. Non solo un eroe, ma un esempio. Per tutti. Specie per quelli che gli stanno vicino e che non in lui, ma nella sua radicale dedizione riconoscono l’unico motore valido all’azione. La sola speranza. Ecco perché l’intera opera è impregnata di simboli.
E la simbologia gioca certamente un ruolo fondamentale in The Dark Knight Rises. Ricordate cosa Bruce disse ad Alfred nel Begins?
Come uomo non sono che ossa e carne. Posso essere ignorato. Posso essere distrutto. Ma come simbolo… come simbolo posso essere incorruttibile. Posso essere immortale.
A tal fine non possiamo esimerci dal far ricorso a quello che è il suo simbolo per eccellenza, ossia il pipistrello stilizzato. Ed in particolare al faro. Quel faro che Gordon sparava verso il cielo (a mo’ di preghiera: altro simbolo) ogni qualvolta aveva bisogno di Batman, e andato irrimediabilmente distrutto alla fine di The Dark Knight. Ma in una delle scene più evocative del film, eccolo saltar fuori di nuovo, in un modo che non ti aspetti. Fortemente teatrale, certo, ma di sicuro impatto e di agevole significato.
Perché in fin dei conti è questo ciò di cui abbiamo bisogno: significato, senso. Senza, qualsiasi battaglia è già persa in partenza. Bruce Wayne ha trovato la propria vocazione, l’unica che gli appartiene in quanto essere irripetibile. Ma è precisamente questo che il film sembra dirci. Non a tutti viene chiesto di indossare una maschera e caricare su di sé un fardello così grande. Ad ognuno di noi viene piuttosto richiesto di fare la propria parte, chi in un modo chi in un altro. Perché “anche solo mettere un cappotto addosso ad un bambino, facendogli capire che il mondo non è finito” (cit.) può essere il gesto di un eroe.
Uno sguardo estremamente coinvolgente, quello di Nolan, che riesce a produrre immagini talvolta al confine con la visione. Dense, cariche di quell’atmosfera che oramai contraddistingue questo cineasta. Fredde, in linea col tenore imposto a questa sua rivisitazione di Batman. Non solo. La sua ultima fatica ci sembra anche quella che più di tutte tende una mano verso il fumetto. Certi contenuti stanno lì a suggerircelo, riconducibili come sono ad un contesto di quel tipo.
Insomma, un’opera davvero complessa questa, forse la più complessa delle tre di Nolan. Di sicuro molto più di quanto la sua natura fortemente mainstream lascerebbe supporre. Fino a quella serrata, risolutiva, ultima mezz’ora (o giù di lì). Epica, malgrado tutto. Non totalmente esente da difetti in ogni sua minima parte, ma che tiene immancabilmente incollati alla poltrona come capita una volta su non sappiamo quante. Una perla di rara fattura, appena un po’ minata da alcune piccole discrepanze (i cosiddetti buchi) e scelte in sede di sceneggiatura. Alcune di queste apparentemente dettate da una “fretta” di andare avanti che lascia lievemente perplessi. Perplessi perché il valore di questa pellicola è assoluto, e tanto più lo sarà fra una decina d’anni, quando (si spera) avremo magari una cognizione di causa più veritiera in merito a ciò che sta accadendo in questo periodo.
Ed è infatti un peccato che determinati, per quanto pochi passaggi risultino quasi tirati a forza. Ne avremmo almeno due/tre da sottoporre così su due piedi, ma si tratta di un lavoro che per il momento eccede le nostre competenze. Rimane la ferma convinzione che quello con Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno resti realmente l’appuntamento dell’anno. E sia chiaro, si tratta di un gran film. Ma a guardare chi sta dietro alla sua realizzazione, poteva probabilmente essere ancora più grande.
Puntuale, provocatorio, per certi aspetti necessario. Nolan rimesta nel torbido, fornendo a nome del Cinema la doverosa risposta alla pressante ed ineludibile attualità. Una cosa è certa: dopo averlo visto, difficilmente non ne verrete scossi, per un motivo o per un altro. Molti, siamo pronti a scommetterlo, ne verranno addirittura travolti. Almeno su questo, i dubbi sono pochi.
Voto di Antonio: 8,5
Voto di Federico: 8
Voto di Gabriele: 8
Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno (The Dark Knight Rises, Azione/Thriller, USA – Regno Unito, 2012). Di Christopher Nolan, con Christian Bale, Gary Oldman, Morgan Freeman, Michael Caine, Anne Hathaway, Tom Hardy, Christopher Judge, Adam Rodriguez, Massi Furlan, Rob Brown, Liam Neeson, Marion Cotillard, Juno Temple, Joseph Gordon-Levitt, Matthew Modine, Tom Conti, Joey King, Brett Cullen, Chris Ellis, Josh Stewart, Daniel Sunjata, Diego Klattenhoff e Burn Gorman. Qui il trailer italiano. L’uscita nelle nostre sale avverrà il 29 Agosto.