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Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick: recensione del film di Ron Howard

L’epica che si fa spettacolo puro, prendere o lasciare. Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick non è un film sul celeberrimo romanzo di Herman Melville, e Ron Howard adotta il solito approccio, asciutto e rispettoso quanto ai contenuti, magniloquente quanto alla forma, di stampo fortemente hollywoodiana

pubblicato 3 Dicembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 10:36

[quote layout=”big”]La tragedia della Essex è la storia di due uomini: il capitano George Pollard e il suo primo ufficiale Owen Chase.[/quote]

Nathaniel Hawthorne definì Moby Dick la perfetta epica americana, elevando Herman Melville a novello Omero. Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick però non si concentra su quel fortunato romanzo, bensì sulla storia che lo ha ispirato. Vera, quella della Essex, una baleniera letteralmente affondata da una balena divenuta leggendaria. Il film di Ron Howard è perciò anche un film su quell’equipaggio, e sulle sfide che ha dovuto affrontare per sopravvivere. Chi c’è l’ha fatta, a sopravvivere.

Film come questi si pongono a priori come lavori multi-strato, tali e tante sono le implicazioni, e a più livelli. Melville si presenta presso l’abitazione dell’ultimo superstite dell’Essex, che al tempo era appena un ragazzino. Burbero, quest’ultimo, vive con la moglie covando un dolore che da quell’evento non l’ha più abbandonato. Si narrano leggende su quel naufragio, ma la verità fu da subito occultata per ragioni di cui si saprà alla fine del film. Ora però lo scrittore vuole la verità, ed è disposto ad impegnare il proprio patrimonio pur di ottenerla. E malgrado l’ostinata ritrosia del padrone di casa, Melville quella storia la otterrà; certo che la otterrà.

Heart of the Sea fa propri dei toni avventureschi che francamente mancavano ad Hollywood. Le implicazioni di cui sopra vengono schiacciate da tanta magnificenza visiva, che c’è e che a conti fatti rappresenta il fulcro. Malgrado il potenziale, infatti, in quest’ultima fatica di Howard non vanno cercate tutte quelle tematiche che eppure giacciono al cuore di una storia del genere: la convivenza forzata, il binomio uomo/natura, la frenesia di un’epoca e via discorrendo. Tanto che, in quei frangenti in cui si riprende fiato, i personaggi se ne escono con ragionamenti per lo più banali, tali da un lato perché nessuno di loro è un filosofo, perciò questo dovette essere il livello, dall’altro perché troppa speculazione avrebbe effettivamente stonato.

La direzione intrapresa è quella dello spettacolo puro, prendere o lasciare. In un contesto da film d’avventura, che è altra cosa rispetto a certi action sgangherati, smaccatamente hollywoodiani; perché questa è una macchina che quando viene fatta funzionare funziona per davvero. La prima metà del film in tal senso si comporta in maniera pressoché impeccabile: da quando Chase s’imbarca sulla Essex ed ha inizio il suo braccio di ferro “morale” col capitano Pollard, passando per i lunghi mesi di traversata, le prime balene catturate e via dicendo. Poi arriva lei, La balena, quella che già, si apprende, ha devastato un’imbarcazione spagnola.

Questa è la parte più “meditabonda”, se vogliamo, dove il ritmo si abbassa salvo un passaggio specifico di cui ovviamente non vi diciamo. D’altronde, a ben pensarci, ci pare sinceramente dura riuscire a mantenere l’asticella così alta per così tanto tempo. Ammettiamo peraltro che certe misure, proprio in termini visivi, non le riteniamo esattamente “aggraziate”, come la patina verdognola che copre buona parte delle immagini, col risultato di enfatizzare la presenza già massiccia di computer grafica. Tuttavia ha un suo perché, sebbene vada riconosciuto al montaggio un ruolo determinante.

Ad un certo punto abbiamo realizzato che una delle componenti che più mancano ad Heart of the Sea è proprio un non meglio precisato senso delle profondità, qualcosa di simile a quanto avvenuto in Titanic per esempio, ovvero quella paura matta delle acque e di ciò che “nascondono” nel loro ventre. Il che fa riflettere, visto e considerato che l’acqua è l’ambiente della balena, il suo elemento, lo stesso che lo copre e le dà manforte. Probabilmente tutto ciò deriva dalla precisa scelta fotografica di Howard, che centellina panoramiche e campi lunghi in genere, privilegiando nella stragrande maggioranza dei casi inquadrature strette o addirittura strettissime. Si tratta di compromessi, perché se da un lato perdiamo questo senso del mare aperto come ostile, fagocitante, dall’altro ne guadagniamo in “vicinanza” a coloro che quell’esperienza la stanno vivendo.

Si ha infatti l’impressione, sebbene a tratti, di essere proprio lì, sulla Essex, bagnati, sballottati, fottutamente impauriti. E si è finanche mossi dalla stessa curiosità, mossi dal desiderio di scoprire cosa viene dopo, cosa ci aspetta nella prossima caccia, meno ovviamente l’avidità, che lo spettatore coglie per lo più verbalmente, dato che, specie all’inizio, è tutto un parlare dell’olio di balena come di oro liquido sebbene puzzolente. Mi pare che questo sia di per sé un traguardo, perché Heart of the Sea riesce a dare ragione a quanto Hawthorne disse del romanzo di Melville in capo all’epicità del racconto.

Sì, il film di Howard raggiunge quei momenti lì, epici, e lo fa in maniera eminentemente cinematografica. Non ci riesce sempre, è vero, né forse attinge fino in fondo a questo carattere dell’opera di riferimento. Qualcuno potrebbe addirittura lamentarsi del fatto che la balena leggendaria sia meno presente di quanto sia lecito supporre, anche se da tale appunto intendiamo prendere preventivamente le distanze: Heart of the Sea non è un film sulla balena leggendaria, bensì su un gruppo di uomini, uno in particolare, a differenza di quanto riportiamo a inizio recensione. Il percorso di questa storia è infatti cucito su misura al personaggio di Chase (Chris Hemsworth), che è colui che più di tutti risente di questa incredibile avventura.

Trattandosi inoltre di un’epica di stampo marinaresco, si è ancora di più ben disposti, perché certe produzioni latitano, malgrado si tratti di una materia che ha sempre avuto un folto pubblico pronto all’ascolto. Certo, Howard, come sempre, asciuga all’inverosimile pur di rendere accessibile il contesto a chiunque, concentrandosi sulla vicenda e cercando di ricavarne un onesto spettacolo (non a caso consigliamo caldamente di vederlo in una sala quantomeno dignitosa; in IMAX sarebbe il top, anche perché trattasi di un buon 3D). Salvo disprezzare a priori un simile approccio, non si può certo dire che, rispetto agli obiettivi prefissati, Heart of the Sea non riesca nel suo compito.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]

Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (In the Heart of the Sea, USA, 2015) di Ron Howard. Con Chris Hemsworth, Benjamin Walker, Cillian Murphy, Tom Holland, Ben Whishaw, Brendan Gleeson, Michelle Fairley, Paul Anderson, Charlotte Riley, Jordi Mollà, Joseph Mawle, Jamie Sives, Donald Sumpter, Frank Dilane e Sam Keeley. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 3 dicembre.