Mondo movie: un libro ci illustra genesi e sviluppo di un genere tutto italiano
Uno dei cineasti più fraintesi ed avversati nella storia del nostro cinema, l’opera di Gualtiero Jacopetti rivive attraverso l’occhio analitico di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione. “Jacopetti Files – Biografia di un genere cinematografico italiano” rappresenta un ulteriore tassello utile alla ricostruzione di un fenomeno che non ne vuole proprio sapere di finire nel dimenticatoio
[quote layout=”big” cite=”Tratto da ‘Storia del Cinema Italiano’ di Gian Piero Brunetta]Un grande successo hanno i film di Gualtiero Jacopetti (il primo è Mondo cane del 1962), a cui si deve riconoscere il merito di aver scoperto e contribuito a diffondere, spacciandolo per documentario realistico, il gusto sado-masochista per lo spargimento di sangue, la brutalità, la violenza, la morbosità e ogni situazione cruenta.[/quote]
Odiato, censurato, ostracizzato, emarginato. Tutti aggettivi che si attagliano benissimo alla condizione di Gualtiero Jacopetti, uno dei cineasti più controversi nella storia del nostro cinema. Al di là però di qualsivoglia (pre)giudizio, tranchant o meno, quel che è certo è che a Jacopetti ed al compagno d’avventura Prosperi si deve un genere, nato e morto con loro ma poi sopravvissuto in tanti altri registi e autori, sebbene in forme completamente diverse: i cosiddetti mondo movie.
Genere nel genere, è più corretto dire, scheggia impazzita del ben più ampio documentario. Come giustamente sottolinea Fabrizio Fogliato, autore insieme a Fabio Francione di Jacopetti Files – Biografia di un genere cinematografico italiano, volente o nolente da Mondo Cane non si torna più indietro. Qualcosa allora cambiò, per alcuni in male per altri in bene, senonché si avvertì una scossa, il cinema fu messo a dura prova e, per certi versi, se ne testò la tenuta anche attraverso quell’opera così estrema (o forse no).
Ad oggi pare arduo ogni tentativo di un giudizio, se non obiettivo, quantomeno sereno rispetto al lavoro di Jacopetti, che rischiò addirittura di essere il protagonista de La dolce vita, con Fellini che, così pare, lo voleva fortemente. Prima del buen retiro, per così dire, il nostro colleziona una serie di film che faranno il giro del mondo, tanto avversati in Patria quanto apprezzati all’estero, tra problemi di traduzione, rimaneggiamenti e quant’altro, roba con cui Jacopetti ha avuto a che fare per tutta la sua carriera.
Il libro di Fogliato e Francione si colloca peraltro all’interno di uno specchio storico ben preciso, con un tempismo evidentemente involontario che però, nella sua casualità, ci dice qualcosina pure sull’epoca che stiamo attraversando, sui mesi e forse anni di profondi mutamenti, sociali anzitutto. Sine ira et studio, i due catalogano e tentano di sistematizzare un piccolo zibaldone, per sua natura incompleto, al di là dei risvolti ossimorici. Non è un caso se il prologo del libro è affidato ad un altro cineasta che oggi fa tanto incazzare parte della critica, sebbene per motivi ben diversi, ovvero Nicolas Winding Refn, il quale, al di là dei giudizi di merito sull’evoluzione del suo percorso, è molto attento alla contemporaneità anche in riferimento al suo amore pressoché morboso per il cinema (si pensi alla recente collaborazione con Dario Argento per il restauro di Zombi di Romero).
A questo punto però meglio lasciar spazio a Fabrizio Fogliato, da noi intervistato in merito a questa sua ultima fatica.
Intervista a Fabrizio Fogliato
Fabrizio, anzitutto perché un libro su Jacopetti?
In realtà non è un libro su Jacopetti, bensì, direi, su cosa ha prodotto Jacopetti. Inizi anni’60 un gruppo di persone e professionalità eterogenee si radunano attorno ad un progetto che ha solo un titolo “Mondo cane” e un’idea “un cinegiornale lungo”. Sono Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, Paolo Cavara, Stanis Nievo e Antonio Climati (cui poi si aggiungerà anche Mario Morra). Dopo quel film le strade si dividono, ognuno va per conto suo ma continua fare quel tipo di film seguendo sensibilità personali e sfruttabiltà commerciali. Mondo cane fu una factory (l’unica in Italia?) da cui sono gemmate ben 18 pellicole (quelle che noi prendiamo in considerazione) che definiscono i contorni del genere mondo movie. Il libro è il tentativo, audace e creativo, dunque, di biografare un genere le cui tracce ed eredità emergono praticamente in ogni pellicola che si è prodotta da allora in poi..
Come mai l’astio profondo e l’emarginazione della critica italiana? Davvero si è trattato solo di ideologia o c’era anche dell’altro?
L’ideologia è il punto di partenza. Poi ha contribuito l’esercizio di un sentimento cui gli italiani sono molto allenati: l’invidia. Autori cinici, spregiudicati e maledettamente coerenti (anche nell’immoralità), politicamente scorretti ma tecnicamente e creativamente straordinariamente capaci, Jacopetti & Co. hanno guadagnato cifre irraggiungibili da qualunque altro cineasta italiano. Il loro nome e Mondo cane sono conosciuti ad ogni latitudine e longitudine, dall’intellettuale più raffinato al più isolato aborigeno di un villaggio sperduto.
Hai posto l’accento sul fatto che il tuo è un libro sull’opera di Jacopetti più che sul personaggio. Fino a che punto è possibile scindere le due cose nel caso di questo cineasta?
Il libro prende le mosse dall’opera di Jacopetti per, poi, allargare il suo discorso ad ampio raggio anche su esperienze poco indagate (e degne di grande attenzione e interesse) come la filmografia di Angelo ed Alfredo Castiglioni. Per quanto riguarda Gualtiero Jacopetti è fondamentale slegare il personaggio dalla sua opera artistica. Quest’ultima – seppur certamente influenzata dal carattere e dalla personalità di Jacopetti – deve essere valutata in termini tecnico-artistici (i cui tratti sono grandiosi e sbalorditivi) senza essere influenzati dal giudizio (quasi sempre pregiudizio) sull’uomo.
Cinematograficamente parlando, per così dire, come si forma Jacopetti? Qual è a tuo parere il film che segna il passaggio al cineasta odiato ed invidiato che si è poi imposto all’attenzione di “tutti”? Oppure il suo è stato un processo organico, contraddistinto da più tappe (posto che qualunque regista “esce fuori” tendenzialmente alla lunga)?
Il fatto è che Jacopetti proviene dal giornalismo e la sua unica formazione in ambito filmico è quella acquisita alla direzione dei cinegiornali e dall’incontro con Alessandro Blasetti per il commento di Europa di notte. Un po’ come Walt Disney egli è stato un grande organizzatore, catalizzatore di capitali e capace di circondarsi – riconoscendone la professionalità – di persone capaci di assecondare il suo delirio di onnipotenza: uno su tutti, il suo braccio “armato”, l’operatore Antonio Climati.
Che ne pensi del film di Paolo Cavara (su cui peraltro hai scritto un libro), L’occhio selvaggio, ovviamente in relazione alla sua verosimiglianza rispetto al profilo e al modus operandi di Jacopetti?
Non posso negare – ne L’occhio selvaggio – rimandi alla figura di Jacopetti e al suo modus operandi, ma come argomento ampiamente nella seconda edizione di Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo (Edizioni Il Foglio 2016) ritengo il film una sorta di autoanalisi e un’indagine autobiografica che riflette sui meccanismi della visione. Un film di sconcertante attualità.
Un cinema come quello di Jacopetti sarebbe oggi possibile o addirittura “necessario”?
No, perché quel cinema trasuda da ogni pellicola che vediamo. Basta grattare un po’ sotto la pellicola e lo jacopettismo salta fuori: da Bud Spencer a Coppola, da Seidl o Haneke a Thomas Anderson, da Ettore Scola a Michelangelo Antonioni… e si potrebbe continuare all’infinito…
Insomma, per concludere, Gualtiero Jacopetti è o non è il cineasta più controverso nella storia del cinema italiano?
Diciamo che è tipicamente italiano nel senso antropologico del termine. E’ stato un uomo che – come nessun altro in ambito cinematografico – è stato in grado di dividere in maniera netta, ideologica e preconcetta. Ha “imperato” proprio perchè ha diviso e lo ha fatto con grande consapevolezza e sagacia tattica. Ha colto – prima di tutti – che la provocazione (non solo quella verso il basso) in questo paese è garanzia di successo, perchè da un parte c’è chi prende le cose sul serio (tutto e, maledettamente, troppo) e dall’altra chi se ne frega arbitrariamente con qualunquismo e superficialità. In assenza di sfumature intermedie la sua personalità ha sguazzato come un pesce nel mare prendendosi gioco di critici, intellettuali e moralisti. Ha solleticato gli istinti più bassi e ha fatto godere un pubblico sterminato e trasversale. Ha avuto successo senza mai piacere a nessuno di “quelli che contano” e questo l’ha pagato come il conto più salato della sua carriera. Poi, come da copione, ad un certo punto ha semplicemente detto basta e ha scelto l’esilio volontario e l’oblio per godersi il frutto del suo lavoro. Ha, comunque, vinto lui come dimostra l’attenzione per la “pancia” di questi anni e il linguaggio televisivo trasversale alla moderna televisione. Anche oggi, forse più che allora, è difficile trovare qualcuno – io e Fabio siamo tra i pochi – a cui non freghi niente dell’aspetto ideologico o della sua vita privata. Per noi è stato fondamentale indagare il suo lavoro artistico, il resto sono chiacchiere. E’ controverso? Sì, forse, oppure no. Non è importante, quello che conta è che il cinema da quel lontano 1962 non può fare a meno – esplicitamente o implicitamente – delle sue intuizioni.
Jacopetti Files: Biografia di un genere cinematografico italiano
di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione (Mimesis Edizioni, 2016).