Io Sono Leggenda: recensioni del web e della stampa
Non ho ancora visto Io Sono Leggenda ma domenica mi sono rivista con piacere immenso L’ultimo uomo sulla terra firmato Ubaldo Ragona con Vincent Price, meravigliosa trasposizione del romanzo di Richard Matheson.Qua a Cineblog il film con Will Smith ha ricevuto commenti discordanti, vediamo cosa hanno scritto i critici della stampa e del web riportando
Non ho ancora visto Io Sono Leggenda ma domenica mi sono rivista con piacere immenso L’ultimo uomo sulla terra firmato Ubaldo Ragona con Vincent Price, meravigliosa trasposizione del romanzo di Richard Matheson.
Qua a Cineblog il film con Will Smith ha ricevuto commenti discordanti, vediamo cosa hanno scritto i critici della stampa e del web riportando una sorta di gallery di pareri.
Mariarosa Mancuso Il Foglio:
L’attore – solitamente capace di trasformare in oro tutto quel che tocca (ne sa qualcosa Gabriele Muccino, scelto per dirigere sotto stretta sorveglianza “La ricerca della felicità”) stavolta sembra aver perso il tocco. Nella classifica degli incassi americani, “Io sono leggenda” figura questa settimana al terzo posto, mentre “Juno” di Jason Reitman (con Ellen Page sedicenne incinta) è balzato al secondo. Colpa dei troppi flashback – uno ogni notte, per raccontare come siamo arrivati alla metropoli deserta. Colpa di una costosissima fuga da New York, con migliaia di comparse e un vero esercito, che sullo schermo non rende come dovrebbe.
Gianluca Arnone di Cinematografo: Un’ora di grande cinema. (…) Il lavoro sulle scenografie (di Naomi Shohan) è una delle cose più interessanti di questo Io sono Leggenda diretto da Francis Lawrence, terza versione per il cinema del famoso romanzo di Matheson. Ma non l’unica. Prima di riconsegnarsi nel finale alla più scontata cornice di genere – un horror con zombie inferociti che bruciano al sole come vampiri, situazioni banali e incongruenze di sceneggiatura – il film aveva già ripagato abbondantemente il prezzo del biglietto. Non tanto per come riesce a costruire uno stato d’angoscia permanente giocando sulla duplice dialettica Luce/Buio, Silenzio/Rumore; non solo in virtù dell’ottima performance di Will Smith (e del cane), o per come riesce a intercettare gli umori dell’odierna pastorale americana di una conciliazione tra Fede e Ragione, Dio e Scienza. Ma soprattutto perchè, operando un felice sincretismo di diverse produzioni recenti – da 28 giorni dopo a I figli degli uomini-, si pone come potente dispositivo simbolico, di ossessioni e paure contemporanee. Un tempo, il nostro, “che persegue consapevolmente la salute ma in effetti crede solo nella realtà della malattia” scrive Ugo Volli. E allora ecco l’epidemia, rappresentante metonimico dell’avvento apocalittico; ecco il virus, incubo dell’invisibile infiltrazione terroristica nel “corpo” sociale. Ed ecco infine l’infetto, metafora dell’individuo privo di una sua integrità psico-fisica, che più non dispone di sé, prigioniero in qualche misura della sua infermità. Dunque, niente di buono sul fronte Occidentale? Non proprio. Perchè, ci vuol dire lo script, “finchè c’è qualcuno disposto a morire c’è speranza”. L’importante è non confondere le bombe a mano con le leggende, i kamikaze con i martiri.
Mattia Nicoletti di MyMovies: Will Smith sa il fatto suo. È nato come rapper, è diventato una star della televisione, e da tempo ha affrontato il cinema. Sempre da protagonista. Dopo il film diretto da Muccino dove recitava con suo figlio, adesso si confronta con se stesso e con una metropoli spettrale che mette in evidenza ogni suo movimento. Forse non sarà candidato all’Oscar, ma la sua interpretazione è degna di nota. Passando al film, il “one man show” di Smith è supportato da una scenografia incredibilmente convincente, e da una regia di mestiere. Non è facile costruire un film su un solo attore (se si escludono il cane, i vampiri, qualche flashback e due superstiti), e il day by day del protagonista è scandito con lentezza, quasi a voler fare respirare allo spettatore il senso di solitudine. A dispetto della necessità di includere la componente horror (le scene d’azione sono presenti per coinvolgere il target giovane), a parte la mezz’ora finale, Io sono leggenda, si concentra sul singolo, sull’uomo che poteva cambiare il mondo, su chi ha la consapevolezza che è molto semplice distruggere ciò che si ha per le mani tutti i giorni. L’11 Settembre è lì, è l’origine delle cose, e Richard Matheson che nel 1954 scrisse il romanzo omonimo, non avrebbe potuto immaginarselo così reale. Ma alla fine, la convinzione ultima, è che solo l’umanità può decidere le sorti del mondo.
Matteo Servili di LaTelaNera: Un’ipotetica recensione del film I Am Legend dovrebbe o non dovrebbe tener conto del materiale originale da cui la pellicola in questione è stata tratta? Se la risposta è sì allora potete smettere di leggere questa recensione adesso, dimenticarvi di I Am Legend film e andarvi a ri-leggere (con grande soddisfazione) I Am Legend libro. Questo perchè il I Am Legend ricorda a mala pena il magnifico romanzo horror a cui si è spirato. Svuotato dei suoi contenuti più profondi, alleggeriti i toni da un minutaggio da commedia, radicalmente modificato per ambientazione e “avversari”, e completamente stravolto il finale, di Io Sono Leggenda libro resta molto poco in Io Sono Leggenda film. Ma se la risposta alla domanda di sopra è no, ovvero se per voi è giusto che una recensione del film I Am Legend debba considerare “solo” il film in sé, allora potete continuare a leggere, e a scoprire che di elementi di cui essere soddisfatti in I Am Legend ce ne sono. A partire dallo stesso Will Smith, che qui sorprenderà anche i suoi maggiori detrattori con quella che è la sua migliore interpretazione di sempre. Ridotte al minimo le espressioni e i gesti “tipici” che i fans del Fresh Prince hanno imparato a conoscere in anni di TV e roboanti pellicole stra-commerciali, la recitazione di Smith abbandona le esagerazioni di sempre per abbracciare invece toni e tempi più quieti e riflessivi, mirati all’approfondimento psicologico del suo personaggio e alla costruzione e al mantenimento della tensione attraverso lunghi momenti di introspezione. (…) I Am Legend non è quindi il marcio miele commerciale “alla Michael Bay” che tutti temevano sarebbe stato, ma a conti fatti non va oltre l’essere un discreto prodotto di intrattenimento dalle fondamenta leggermente scricchiolanti. Un vero peccato.
Marco Spagnoli di Fantascienza.com: Io sono Leggenda è un capolavoro mancato. Per quattro quinti della sua durata, Io sono Leggenda è uno dei più grandi film della storia del cinema di fantascienza e non solo. Le sequenze in una New York desolata comunicano allo spettatore in maniera fedelissima al romanzo, il senso di solitudine e disperazione del protagonista interpretato da uno straordinario Will Smith. Per più di un’ora il pubblico è terrorizzato non soltanto dalle violente schiere di Zombies che provano ad uccidere l’ultimo uomo sulla terra, ma — soprattutto — dal silenzio e dal vuoto che pervade la New York del 2012 quando c’è il sole. (…) Poi, però, il film inizia a distaccarsi dal libro e — soprattutto — comincia a prendere un tono differente anche rispetto al resto della pellicola. Gli ultimi dieci minuti di Io sono Leggenda, costituiscono uno dei più gravi atti d’accusa nei confronti del sistema produttivo hollywoodiano che in nome di non si sa bene cosa, ‘disintegra’ letteralmente un capolavoro, lasciando spazio a qualcosa di poco comprensibile. Se questo film fosse terminato così come era iniziato questa recensione avrebbe cinque stelline a anziché tre, media ponderata e generosa dei quattro quinti di un film strepitoso, costretti ad un risultato pessimo per un quinto finale in cui tutte le più grandi banalità del cinema americano inteso in senso deteriore si scatenano contro lo spettatore. Detto questo noi rivedremo più volte Io sono Leggenda. Sapendo bene sia quando uscire dalla sala per immaginarci il nostro finale nello stile del resto della pellicola, sia quando stoppare il Dvd. In attesa, ovviamente, che un eventuale, ma poco probabile Director’s Cut del domani ci porti a vedere questo film con l’unico finale possibile: quello scritto da Matheson che renderebbe onore non solo al libro, ma anche al film stesso.
Io sono Leggenda è un capolavoro mancato. Uno di quelli cui fa male ripensare, perché dispiace vedere finire così una pellicola altrimenti memorabile.
Alessandra Levantesi – La Stampa:
Un film dove per quasi tutto il tempo abbiamo davanti un solo protagonista e il suo cane poteva rappresentare una scommessa arrischiata, ma un box office miliardario ha già premiato Io sono leggenda e non c’è da stupirsi. Intanto la pellicola, ispirata (è la terza volta) a un bellissimo quanto angoscioso classico di fantascienza firmato nel ’54 da Richard Matheson (Fanucci Editore), è stata attualizzata e riambientata con estremo rigore dal regista Francis Lawrence; ed è destinato a rimanere nelle antologie del cinema il colpo d’occhio iniziale di una New York abbandonata e degradata tre anni dopo che un virus mortale ha trasformato i suoi abitanti in zombi vampiri.
Poi c’è la presenza carismatica del divo hollyoodiano Will Smith, che ricopre il ruolo dell’unico sopravissuto della città con un’intensità drammatica non priva di sfumature umoristiche, confermandosi un bravissimo attore.
Boris Sollazzo – Liberazione:
Di lui Ray Bradbury ha detto che è uno dei maggiori scrittori del XX secolo. Stephen King si è limitato a sottolineare come la sua scrittura sia quella che più lo ha influenzato. Parliamo di quel geniaccio anarchico di Richard Matheson, classe 1926, che nel 1954 consegnò alla storia della letteratura uno dei capolavori della fantascienza distopica, “Io sono leggenda”. (…) Capolavoro sul mito dei non morti, Matheson nel suo romanzo gioca sui ruoli di preda e cacciatore, su chi è mostro e chi è normale, ribaltando di continuo la prospettiva. (…) Lo spunto del film è lo stesso del romanzo, lo sviluppo molto diverso. E’ apprezzabile, per 80 minuti, la visione intimistica del regista Francis Lawrence (mago dei videoclip e discreto in Constantine ) e dello sceneggiatore- produttore (pessimo abbinamento) Akiva Goldsman. Nessuna scorciatoia, poca azione e molta tensione, seguiamo un uomo che resiste a stento alla follia e all’isolamento grazie a una vita metodica e a Sam, cane straordinario. Niente male per un blockbuster: pur rinunciando alla geniale intuizione dell’ambigua dicotomia mostruosità-normalità, la macchina da presa si muove bene e Smith dà la solita prova maiuscola. Poi, però, arriva il finale, disastroso. Ci mette la mano il produttore e forse persino Scientology. Sopraggiunge un’altra donna (Alice Braga), che ha visioni mistiche ma anche distrazioni imperdonabili. Tralasciando il sottotesto maschilista (qui due donne fan più danni della peste stessa), si scatena quello creazionista. Scienza e darwinismo vengono insultati e poi buttati nella spazzatura, la Fede schiaccia la Ragione, persino il marziale scienziato si inchina al disegno intelligente di Dio. Will Smith, fervido sostenitore di Barack Obama qui diventa alfiere (involontario?) di Huckabee. In più ci piazzano anche il lieto fine. Tradimento insopportabile al libro, rispetto al resto della pellicola: Matheson conclude il suo romanzo con cinismo feroce e cupo, segnando l’uguaglianza tra mostri e presunti normali. Ottanta minuti di buon cinema, però, sono funzionali per recuperare due gemme: usciti dalla sala morirete dalla voglia di comprare il libro e di leggerlo accompagnati dalla calzante e commovente colonna sonora della pellicola, per musica e parole. Quale? “Legend”, ovviamente, di Bob Marley.
Paolo D’Agostini La Repubblica:
Impossibile non restare ammirati davanti a Will Smith che in Io sono leggenda (salvo la compagnia del fedele cane lupo, comunque destinata a non durare) sostiene solitario sulle proprie spalle un’ora intera di film. In mezzo alla devastazione di una New York “dopo la catastrofe” che, dal vero, è diventata l’impressionante scenografia del film di Francis Lawrence dal romanzo di Richard Matheson già più volte portato sullo schermo. Però la stessa ragione di ammirazione non impedisce al film di rischiare la monotonia. (…) Il venir meno del clima da guerra fredda che stava all’origine del romanzo nel 1954, potrebbe aver sottratto alla storia appeal e potenziale appassionante?
Fabio Ferzetti – Il Messaggero:
Io sono leggenda è la terza versione del celebre romanzo di Richard Matheson (ora riedito da Fanucci) già portato sullo schermo nel 1963 (L’ultimo uomo della Terra di Sidney Salkow e Ubaldo Ragona, con Vincent Price) e nel 1971 (1975: occhi bianchi sul pianeta Terra di Boris Sagal, con Charlton Heston). Il film italo-americano, di gran lunga il migliore, era un piccolo e imitatissimo gioiello concettuale a basso budget, tutto girato all’Eur. (…) Io sono leggenda invece si adegua al roboante cinema d’azione d’oggi, troppo schiavo dei videogame e degli effetti più o meno speciali per dare un’anima oltre che un corpo ai suoi incubi. Così, dopo un prologo suggestivo con Will Smith e il suo cane a caccia di cervi fra Times Square e Downtown (ma era più bella la Manhattan assediata dai ghiacci di The Day After Tomorrow, e mille volte più emozionante il Robinson di Tom Hanks che parla col pallone in Castaway), il film inizia a girare in tondo e imbocca la strada del crescendo obbligato. Ogni scena deve far salire l’adrenalina più della precedente. Ogni volta dunque gli incontri con i vampiri saranno più ravvicinati (ci sono anche cani-zombie davvero terrificanti). Non mancano sorprese e incidenti, ma il film non sfrutta fino in fondo le sue carte. E se è bella l’idea di costringere Will Smith, mai così atletico, nei panni contraddittori del medico e del killer che ora cattura i vampiri e cerca un vaccino, ora li stermina rabbiosamente, il dibattito parareligioso in sottofinale (può esistere un Dio in una situazione simile?) è abbastanza appiccicato. Come del resto l’ovvia morale sui rischi della scienza. Fatale anche creare un esercito di zombie tutti uguali. Bob Marley, qui testimonial involontario del Padreterno, meritava di meglio.
Valerio Caprara – Il Mattino:
La conferma più importante la offre Will Smith, trasformista di classe qui in grado di sorreggere da solo la scena per oltre un’ora. Segue anche quella del romanzo ispiratore di Richard Matheson, uscito nel 1954 e diventato di culto per la sua originale e magistrale cifra espressiva. (…) Il remake attuale cerca di riprendere la geniale intuizione di Matheson di contaminare le tematiche della fantascienza classica sull’apocalisse prossima ventura con la mitografia gotico-vampiresca, ma il regista Lawrence e lo sceneggiatore Goldsman – confortati da un budget faraonico – danno il meglio nello slancio visionario e scenografico dell’inizio più che nella tenuta narrativa dell’insieme.
(…) Troppa computergrafica digitale genera, ahimé, monotonia conferendo ai micidiali non-morti la dimensione di banali silhouette da videogioco: così il senso e la suspense dell’apologo – che dovrebbero essere fondati sul beffardo scambio di valori tra maggioranza anormale e minoranza normale – ne soffrono, rendendo ordinari i richiami al verbo New Age (con tanto di comunità penitenziali insediate nel Vermont) e deprimenti gli ottimismi finali di stampo cristologico.
Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto:
Realizzati interamente in digitale, i vampiri sono supermuscolosi e iperadrenalinici mostri urlanti. Ma, diversamente che in Matheson e negli altri remake, non si ha l’impressione che stiano formando una società alternativa alla nostra. Io sono leggenda è un libro fondamentale e struggente. Infatti, questo film era atteso da molto. Purtroppo, il regista Francis Lawrence e lo sceneggiatore Akiwa Goldsman , oltre ai maldestri riferimenti a 9/11 (la città viene definita due volte ground zero), hanno deciso di «attualizzare» ulteriormente il materiale per questi nostri tempi buonisti e poco ricettivi alle cattive notizie, aggiungendo alla storia due elementi che Matheson non aveva proprio contemplato: Dio (nell’apparizione di Alicia Braga, un’altra sopravvissuta) e la speranza. Un tradimento imperdonabile.
Maurizio Cabona – Il Giornale:
Dei tre film tratti da I vampiri di Richard Matheson (1954), Io sono leggenda di Francis Lawrence è il maggior investimento e sarà il maggior incasso, ma non è la miglior riuscita estetica. Gli effetti speciali fanno saltare i cervi di Central Park – nella deserta New York dell’estate 2012 – come velociraptor nei Jurassic Park; i «vampiri» – mutanti affetti da una sorta di rabbia, aggressivi e fotofobici ma non impudici (hanno sempre almeno le mutande) – sono scattanti come gli ultimi zombi. Poi ci sono le incoerenze: che stipendio avrà un medico militare (Will Smith) per possedere un’intera palazzina di tre piani, più cantina-laboratorio, in Washington Square? E dopo il contagio del Natale 2007 – indotto dal virus del morbillo, modificato dalla biologa Emma Thompson in funzione anticancro -, dove trova il Nostro l’energia elettrica? E perché i ponti di una New York da isolare sono colpiti dal cielo, come fossero quelli dell’Irak e della Serbia, e non minati? Attore per caso, Smith regge bene nei film dove ha intorno chi gli porge la battuta. Ma in Io sono leggenda quasi sempre recita solo e così mostra i suoi limiti; il confronto con i protagonisti degli archetipi – Vincent Price de L’ultimo uomo della Terra di Sydney Salkow e Charlton Heston di 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra di Boris Sagal – gli nuoce. Ma anche lo spettatore ignaro degli antedecenti di Io sono leggenda noterà che qui responsabile del contagio, contagiati e militari ottusi sono bianchi; non lo è chi il contagio combatte, come Will Smith e la brasiliana Alice Braga, esule approdata a New York da San Paolo per discutere di fede!
Maurizio Porro – Il Corriere della Sera:
Noncurante dei consigli della vecchia Hollywood, Will Smith ha fatto prima un film con un bambino ed ora uno con un cane. E funzionano tutti e due. Questa versione del romanzo apocalittico di Richard Matheson è anzi di speciale suggestione (bellissimo prologo con belve che si sbranano tra i poster dei musical di Broadway) finché Smith padroneggia la scena con la sua lupa, unici superstiti a un virus letale che ha distrutto New York in un’ immagine spettrale di civiltà sepolta e di inauditi silenzi. Quando, dopo 70 minuti, torna la civiltà con uno Shrek in tv e il virologo incontra una donna con un piccino appresso, ecco che sfuma l’ incantesimo, realismo e retorica gli giocano contro. Colpa di una molesta ideologia teo con, luci soprannaturali e pie comunità nel Vermont, che finisce per rendere santo il dottore che si sacrifica per sterminare gli zombie affamati, violenti e irriducibili come i giganti della montagna. Datato apologo sul finire della civiltà, l’ incubo diventa sempre più angoscioso e verosimile, disperato e sincero, anche se molti sono già stati gli eroi solitari e raminghi in Manhattan. Io sono leggenda consacra la carica furba visionaria di Francis Lawrence che è inferiore alla sua tenuta narrativa e alla sua potenza introspettiva. Smith, con pochi costosi flashback di fuga di famiglia dove scrittura la sua piccola Willow, è mattatore a ciclo completo: sfoggia i pettorali, finisce appeso all’ insù e con chiodo nella coscia, lascia messaggi radio, imita Bob Marley e soggiorna in Washington Square come L’ereditiera di Henry James: in fondo, un tasso di angoscia sopportabile nel 2012, che un tempo era data fantascientifica ma oggi è a portata di mano. Sfuma il tasso di preveggenza e di allarmismo (speriamo a Milano con l’ Ecopass) ed aumenta la voglia di esprimere un divertimento primordiale di violenza, ma tradendo poi l’autore in modo ottimisticamente infedele.