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Shazam!, recensione: la DC che strizza l’occhio alla commedia

L’ultimo film DC ha in mente certa spensieratezza à la Marvel, ma l’intento spiritoso non basta a renderlo meno posticcio e altalenante

pubblicato 26 Marzo 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 20:20


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Shazam! è film senz’altro semplice, nel viverlo così come nell’accostarvisi in maniera più spensierata; nondimeno è espressione di un fenomeno più complesso, sul quale qui e adesso possiamo giusto affacciarci. Dato il tenore così meno serioso, un unicum in ambito DC al cinema, non si può fare a meno di paventare dei collegamenti, se non dei paragoni, con ciò che ha fatto sin qui Marvel. Tutti ragionamenti che s’impongono quasi da soli, ché non per forza il critico deve sempre sforzarsi a complicare le cose a sé stesso e agli altri.

Nel film Billy Batson è un orfano che si barcamena tra un affido e l’altro, costantemente in cerca di quella madre che, a differenza di tanti altri nella sua situazione, in realtà ha conosciuto, avendone peraltro vivida memoria. In realtà però Shazam! si apre con una digressione sul villain, il dottor Sivana, e su come da piccolo, venuto a contatto col Mago Shazam, per poco non si è trovato investito di quel Potere rispetto al quale nemmeno sapeva di essere così bramoso. Dopodiché il film fa un salto di circa quaranta e passa anni, ai giorni nostri, lasciando esplicitamente intendere che Sivana da allora non ha lavorato per altro se non impadronirsi di quel Potere che gli fu negato perché sostanzialmente indegno. Potere che, manco a dirlo, finisce con l’investire Billy.

Il registro di gran lunga più disinvolto di Shazam!, al quale il personaggio si presta, una sorta di Deadpool in salsa DC, meno certa forzata irriverenza, pone quest’ultimo lavoro della nota casa su un piano diverso, laddove però questo non significa necessariamente “migliore”. Al contrario, non convince a pieno questo fare leva sul cambio di tono, quasi a dirci che anche la DC sa far ridere, sorridere e intrattenere con citazioni e rimandi, sfoggiando uno humor piacione, a tratti sfacciato. Questo suo giocare con lo spettatore, che per certi versi è una virtù, sa però anche essere un vizio, specie nella misura in cui lo si vorrebbe cavalcare quale ragione in base alla quale non evidenziare certe criticità.

Su tutte, probabilmente, il venirci sottoposto fuori tempo massimo. Piaccia o meno, il genere dei comics al cinema si è evoluto: un’evoluzione per lo più interna, che riguarda dinamiche strettamente collegate a come nel tempo si è cercato di trasporre i fumetti sul grande schermo. E si potrebbe forse finanche dire che Shazam! non abbia altre mire se non quella di far trascorrere poco più di due ore in modo spensierato; sembrerebbe accettabile, forse addirittura “dovuto” accettare un simile presupposto, senonché è proprio in merito a questo approccio che vi è da storcere il naso.

Dopo Logan, opera di altro spessore, che chiude e apre al contempo due diversi capitoli, se non addirittura due saghe, è difficile immaginare un origin story capace di colpire con altrettanta veemenza. Siamo a un punto in cui la Marvel si permette d’introdurre un nuovo personaggio a un metro dal fotofinish, relegando il capitolo a lei dedicato (sì, ci riferiamo a Captain Marvel) a mera appendice, prologo breve del gran finale; ed è quasi beffardo che tutto ciò si concretizzi proprio mentre la DC opera questo cambio di rotta, forse meno rilevante di quanto sia lecito supporre, dato che Shazam!, più che come una direzione da intraprendere, va recepito come una pausa, area di sosta mentre si cerca di fare mente locale sul prossimo itinerario.

Nondimeno, qualche merito pare esserci. Se non altro accenni a temi molto attuali, già evocati da altri giocattoloni costosi come Jumanji (2017), ossia l’impersonare qualcun altro, avatar o versione più evoluta di sé stessi poco importa, al fine di portare a termine un’avventura diversamente impossibile da cominciare. Il Mago Shazam sottolinea che solo i puri di cuore possono ricevere il dono che lui ha da offrire; tutto parte da lì perciò, dal carattere e dalla personalità di chi, in ultima analisi, è però chiamato ad essere qualcun altro, richiamo sin troppo evidente a quella virtualità che, dai videogiochi fino ai social, è tratto distintivo dell’epoca che stiamo attraversando.

I social, peraltro, non li menzioniamo a caso. Film come Shazam!, volente o nolente, non possono dirsi avulsi dalla qualità, sicuramente dal tenore dei discorsi che si fanno su piattaforme così onnipervasive. Ergo quell’umorismo così specifico, da Twitter, non solo rispetto alla tipologia ma anche all’esposizione, la tempistica: il modo in cui infatti certi sketch vengono reiterati ha più affinità con un ambiente di quel tipo, soffrendo invece allorché riadattate su un medium quale è quello cinematografico. Una scrittura, quella del film di Sandberg, che perciò risponde, senza vergogna, anzi, quasi fieramente, a questo genere di sollecitazioni, implicite ma non meno incalzanti. È il parlare la lingua del tempo, procedura che conduce all’indagine e, se va bene, successiva individuazione dei mezzi più adatti per farsi ascoltare dalla maggioranza odierna, la stessa che alla fine decreta la sorte di quel determinato lavoro – destino, ça va san dire, strettamente commerciale, discrimine per forza di cose fondante a certi livelli.

Da qui i siparietti, simpatici anche se quasi mai irresistibili, tra Billy ed il fratello acquisito Freddy, su cui in fin dei conti poggia gran parte della portata del racconto, che sulla presa di coscienza e conseguente acquisizione dei poteri da supereroe si trova a dover spingere non poco. Solo che, appunto, è un riproporre, anche laddove non in sequenza, uno schema che attecchisce alla prima, magari pure la seconda volta, mentre alla terza si finisce con l’intendere che oltre non si riesca ad andare. Attuale pure su un altro fronte, altra traccia tematica, più nascosta se vogliamo, cioè a dire quella inerente al familismo decisamente contemporaneo di cui si fa portavoce il film: Billy infatti finisce con l’essere adottato da una coppia di genitori a loro volta adottati, che hanno adottato altri figli di varie etnie ed estrazioni. Lasciata un po’ lì a macerare, solo sul finire la questione assume un minimo di consistenza, quanto basta a fare leva sul portato emotivo di una storia per lo più priva di alcuno spessore, in questo non tanto diversamente dagli omologhi di casa Marvel.

È un peccato, per concludere, che Shazam! non riesca a regalarci una bella battaglia finale, uno scontro che almeno sul fronte del divertimento sposti il focus del film dalla commedia all’ambito dell’azione, elemento che non ci pare affatto marginale in un contesto del genere. Invece proprio lì, in quell’ultimo atto, emergono più nitidamente certi limiti che a dire il vero attraversano l’intero film; solo che, laddove li si reputi accettabili per la prima metà abbondante, sul finire non ci si riesce proprio a dire comunque soddisfatti. Un andamento incerto che, finché viene in qualche modo “soccorso” da battute e spiritosaggini varie, riesce ad essere camuffato, per poi ritrovarsi inevitabilmente esposto allorché sono altre e di altro segno le misure che sarebbero dovute intervenire.

Impossibile, limitatamente a quest’ultima fattispecie, dare contezza senza incorrere nel rischio spoiler. Diciamo solo che in uno degli scontri uno dei personaggi si ritrova per tutto il tempo invischiato in questo groviglio di tentacoli dal quale cerca di divincolarsi, finché non se ne libera solo perché la battaglia finisce, senza vinti né vincitori. Esempio quasi banale così per com’è, ma che almeno in parte dà la dimensione circa l’inefficacia di Shazam! su un fronte che invece gli autori avrebbero potuto e dovuto elaborare meglio, dedicando almeno la stessa cura che hanno mostrato nel costruire certe scene più leggere. Tocca perciò riprendere quanto evidenziato qualche capoverso sopra, ossia che Shazam! rappresenta una sosta, forse l’ultima utile prima di dover riprendere le redini di un discorso che finora non si è mai mostrato realmente incisivo. Non una direzione, perciò, il che rende lo sforzo ancor più aleatorio, che guarda inevitabilmente all’immediato, non potendo ragionare più di tanto sul lungo termine. È questo il dato per certi aspetti meno incoraggiante di tutti.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5.5″ layout=”left”]

Shazam! (USA, 2019) di David F. Sandberg. Con Zachary Levi, Asher Angel, Mark Strong, Jack Dylan Grazer, Faithe Herman, Ian Chen, Jovan Armand, Cooper Andrews, Marta Milans, Djimon Hounsou, Ron Cephas Jones e Grace Fulton. Nelle nostre sale da mercoledì 3 aprile 2019.