Lockout: recensione del film con Guy Pearce e Maggie Grace
La recensione di Cineblog del film Lockout, scritto da Luc Besson insieme ai registi James Mather e Stephen St. Leger. Protagonisti Guy Pearce e Maggie Grace.
Luc Besson è uno che col passare del tempo non ha fatto mistero di quelli che sono i generi di film che più lo aggradano: del resto il suo curriculum parla per lui, da Nikita a Io Vi Troverò (Taken in originale), passando per Léon e Il Quinto Elemento, più naturalmente tutti i vari progetti nei quali il cineasta francese è stato coinvolto, non necessariamente nel ruolo di regista.
Proprio quest’ultimo è il caso di Lockout, pellicola scritta da Besson insieme all’accoppiata composta da James Mather e Stephen St. Leger: non abbiate timore se il suddetto duo vi dice poco, in quanto qualcuno ricorderà forse il solo corto Pray Alone, da loro girato per poi guadagnare un certo seguito sul web dopo il quale hanno girato altre pellicole analoghe. Mai nulla però di effettivamente paragonabile al loro debutto con un progetto delle dimensioni di Lockout, che costituisce dunque il banco di prova della loro abilità sul grande schermo.
Approfittando dell’uscita nelle sale italiane, avvenuta proprio in questi giorni a distanza di qualche mese dall’arrivo in Stati Uniti e altre nazioni dove al box-office è riuscito a malapena a pareggiare le spese di 20 milioni di dollari per la realizzazione, ecco dunque cosa è emerso dalla nostra visione di Lockout.
L’anno è il 2079. L’agente della CIA Snow (Guy Pearce) viene ingiustamente arrestato per l’omicidio del suo collega Frank durante una missione, e condannato alla reclusione nella prigione MS One, un carcere di massima sicurezza orbitante nello spazio intorno alla Terra. Al suo interno, i detenuti vengono tenuti in una sorta di sonno perenne chiamato stasi, mentre le organizzazioni umanitarie sospettano però anche l’avvenire di maltrattamenti, accusando lo stesso trattamento di stasi di essere la causa di problemi fisici e psicologici una volta risvegliati, tra i quali la demenza. Mossa da tali dicerie, la figlia del Presidente degli Stati Uniti, Emilie (Maggie Grace), decide di far visita alla MS One per indagare: durante l’intervista a uno dei detenuti, quest’ultimo riesce a impadronirsi di un’arma per neutralizzare le guardie presenti e liberare tutti gli altri carcerati, prendendo in ostaggio i civili presenti, compresa la ragazza. A Snow viene a questo punto offerta la missione di recuperare Emilie da solo contro tutti, con la possibilità di rintracciare nella stessa prigione il suo collega Mace, l’unico che può scagionarlo dall’accusa di omicidio che pende sulla sua testa.
Le idee del trio che ha partorito Lockout si dimostrano subito ben chiare nella loro poca originalità, all’interno della quale qualcuno preferirà forse vedere la voglia di citare tanti cult del passato: il film raccoglie infatti elementi da diversi suoi predecessori usciti a cavallo tra i gloriosi anni ‘80 e ‘90, risultando un po’ Fuga da New York, un po’ The Rock, un po’ Alien e un po’ qualsiasi altra cosa vi venga in mente durante la visione. Di fatto, la trama non offre particolari elementi di novità che non vadano oltre la bella da salvare imprigionata da un branco di pazzoidi più o meno violenti, relegando anche il filone narrativo che muove le azioni di Snow in secondo piano, fino all’epilogo finale che per questo motivo appare un po’ attaccato con lo scotch. Sono presenti inoltre evidenti forzature nella trama, come quella relativa alla liberazione di Hydell che non si capisce come faccia in un carcere di massima sicurezza a prendere un’arma, sequestrare Emilie e aprire tutte le celle di detenzione senza quasi che nessuno si opponga alle sue azioni.
Tra i personaggi, Snow è il classico uomo d’azione tutto muscoli e testosterone, sempre pronto alla battuta (qualcuna decisamente riuscita, altre un po’ meno) e naturalmente a prendere come oggetto principale dei suoi scherni la bella Emilie. Mentre il rapporto tra i due protagonisti è forse la cosa più riuscita del film, la presenza di Peter Stormare nei panni del direttore della CIA Scott Langral non aggiunge alla pellicola quanto ci si sarebbe potuti aspettare dall’attore, che appare un po’ imbrigliato nel suo ruolo. Buona prova per Lennie James che interpreta Harry Show, l’agente che aiuta Snow a rintracciare Mace sulla MS One. L’accoppiata di cattivoni al comando è interpretata da Vincent Regan e Joseph Gilgun: attento e riflessivo il primo, istintivo e ben oltre i limiti della pazzia il secondo, che Gilgun riesce bene a rendere viscidamente odiabile anche nella sua morbosa ossessione per Emilie.
Dal punto di vista visivo, gli effetti speciali si dimostrano in generale senza infamia e senza lode, anche se proprio nelle fasi iniziali del film ci si ritrova di fronte a un inseguimento in strada che appare piuttosto raffazzonato, lasciando perplessi e preparati al peggio: per fortuna questo resta l’unico momento d’imbarazzo sotto questo punto di vista. Le riprese dentro e fuori la MS One anzi non sono male da vedere, sebbene non facciano mai gridare al miracolo. Il tallone d’Achille di Lockout è però come abbiamo già detto il suo essere troppo derivativo nei confronti dei classici di un genere che ha visto la sua massima espansione oltre un decennio fa, e che quindi nel 2012 dà a tutto quanto un irrimediabile sapore di già visto. I fan più accaniti di questo tipo di film sapranno però trovare del buono all’interno di questa pellicola, soprattutto grazie alla buona prova di Guy Pearce nel ruolo di Snow, così come chi si approccerà al film senza prenderlo troppo sul serio potrà rimanere comunque soddisfatto. Ma per molti altri, probabilmente, ci saranno modi migliori di passare una serata estiva.
Voto di Rosario: 5,5
Lockout (Francia/USA, azione) di James Mather e Stephen St. Leger; con Guy Pearce, Maggie Grace, Vincent Regan, Joseph Gilgun, Lennie James, Peter Stormare. Uscita in Italia il 25 luglio 2012. Qui il trailer.