Cannes 2019, i film più attesi da Cineblog
Festival di Cannes 2019: rapido punto della situazione a poche ore dalla cerimonia d’apertura
Ringraziando il cielo ne abbiamo iniziato già qualcuno di Festival, perciò ammetto non dico la fatica, ma quel briciolo di complessità nell’introdurre un pezzo del genere, a sua volta introduttivo rispetto a due settimane intense, piene a tappo di film, camminate, file, pasti frugali e veloci, sonno poco, qualche chiacchiera e via discorrendo. Ma questo riguarda il sottoscritto; per voi che ci leggete, e ne siamo onorati, è per lo più il dietro le quinte. A voi, giustamente, interessano i film.
Uno parte con le migliori intenzioni, e in larga parte riesce ad ottemperare al programma, senonché concedeteci quel briciolo di prudenza che non è mera scaramanzia; solo vorremmo che, qualora su queste pagine non si trovasse modo di parlare di alcuni dei film che qui vi segnaliamo, sappiate che, beh, è stata dura. Bene, ora che abbiamo messo le mani avanti, vediamo di illustrare quello che per noi significa sulla carta l’edizione numero 72 di Cannes.
Si parte oggi con Jim Jarmusch, I morti non muoiono, ed è già asticella alta. Oramai sanno tutti che si tratta di un film di genere, uno zombie movie, che nelle mani di Jarmusch chissà in cosa potrebbe trasformarsi. Potenzialmente una delle aperture più entusiasmanti degli ultimi dieci anni o giù di lì (facciamo almeno dal 2011), rispetto a cui c’è davvero da ben sperare. Anche perché il film d’apertura rischia suo malgrado di tarare un po’ il tono di quello che sarà, sebbene nei giorni successivi si vedono così tanti film, spesso così diversi fra loro, che mantenere questa sorta di continuità è quasi impossibile. Nondimeno, un buon inizio è pur sempre un buon inizio.
Partiamo dal Concorso, che in realtà è persino più ricco di come lo figuriamo qui di seguito. Si tratta giusto di segnalare quei titoli che, vuoi per l’autore, vuoi per qualcos’altro, ci hanno fatto drizzare le antenne. Ed è perciò A Hidden Life di Terrence Malick, che a quanto pare ha chiuso la parentesi iniziata oltre vent’anni fa con La sottile linea rossa, e a questo punto ufficialmente archiviata con Song to Song, film per cui il regista texano si è preso così tanto tempo che sembrava non volerlo proprio più terminare.
C’è poi la seconda parte di Mektoub, quattro ore di Abdellatif Kechiche che sono convinto contrarieranno in molti, così come Canto Uno, la cui torrenzialità a Venezia mietette non poche vittime. Attenzione poi a Parasite di Bong Joon-ho, che a dispetto del titolo non è un film su alieni, epidemie et similia, bensì un dramma familiare, oltre che a The Whistlers di Corneliu Porumboiu, di cui per praticità vi riportiamo direttamente la sinossi: «Un poliziotto è intento a liberare un uomo d’affari da una prigione di Gomera, un’isola delle Canarie. Tuttavia, deve prima imparare il difficile dialetto locale, una lingua che include sibili e sputi».
E non è mica finita qui, se si pensa che da questo nostro rapido excursus stiamo lasciando fuori i vari Almodovar, Hausner, Sciamma, Tarantino, Dolan, Loach, Dardenne etc. Una menzione però la meritano senz’altro Bacarau di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles, fantascienza etnografica in un villaggio brasiliano, così come The Wild Goose Lake, di Diao Yinan, su una gang di motociclisti che incontra una ragazza disposta a tutto pur di ottenere la propria libertà (non si sa di più).
Quest’anno, poi, c’è Un Certain Regard che meriterebbe più attenzione di quella che sarà materialmente possibile concedergli. Ogni anno da lì viene fuori almeno un film, se non due/tre addirittura, di cui nei mesi successivi si continua a discutere e discutere, non di rado restando ben oltre la stagione. In tal senso non vogliamo azzardare scommesse (come potremmo?) ma è altresì innegabile che vi siano alcuni titoli che nel caso di chi scrive funzionano un po’ come il miele con gli orsi. Due in particolare: Liberté di Albert Serra e Joan of Arc di Bruno Dumont. Parliamo di due tra i registi più interessanti in attività nell’ambito del panorama europeo, che immagino non avrebbero sfigurato persino in Concorso – senza critiche preventive, ci sono film che, talvolta oggettivamente, altre meno, funzionano meglio in Un Certain Regard, ed è più che possibile che ciò si riveli essere vero anche in questo caso.
Programma delle proiezioni alla mano, abbiamo capito che le Speciali sarà assai complesso riuscirle a recuperare, salvo che il Festival, bontà sua, non ci venga incontro con proiezioni aggiuntive. Certo però che eventualmente perdersi il documentario su Maradona e gli ultimi due lavori di Werner Herzog ed Abel Ferrara sarebbe davvero un peccato. Proveremo a compensare almeno con la Quinzaine, dove invece cercheremo di far nostri Le Daim di Quentin Dupieux, Hatsukoi di Takashi Miike, The Lighthouse di Robert Eggers e Wounds di Babak Anvari.
Come ogni anno, sarà una lotta, una di quelle da cui però si torna sempre rinfrancati: per intensità e divertimento, qualcosa di unico. Noi ci siamo e siamo pronti a raccontarvelo.