Home Recensioni I colori della passione di Lech Majewski: Recensione in Anteprima

I colori della passione di Lech Majewski: Recensione in Anteprima

Cineblog recensisce in anteprima I colori della passione, ultimo film di Lech Majewski, con Rutger Hauer e Charlotte Rampling

pubblicato 29 Marzo 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 02:43

Prendete un dipinto, uno tra i più famosi di sempre. Poi prendete un’idea, ossia quello di dargli vita. Il risultato è quanto vediamo ne I colori della passione, ultimo film di Lech Majewski. A questo punto non dovremmo avere bisogno di chissà quale altra introduzione. Chi conosce il regista polacco sa in qualche modo a cosa va incontro dandosi ad un suo film.

Majewski tratta il cinema con la stessa riverenza con la quale si approccia all’Arte, perché lui, è bene dirlo, è anche un pittore. Lui che fa parte di quell’arte moderna e contemporanea che mal digerisce, pur rientrando nella categoria. Un personaggio che vive di Arte, respira Arte e si interroga sull’Arte. Non si spiegherebbe diversamente questo suo ritorno alla metà del XVI secolo, quando il pittore fiammingo Pieter Bruegel completa una delle sue più importanti opere: Salita al Calvario.

A riguardo eccovi due interessanti retroscena a bruciapelo. Il primo riguarda il rapporto tra Majewski ed il dipinto in questione. Quando era piccolo, il futuro regista era solito passare le vacanze estive a Venezia. Muovendosi in treno, gli capitava sistematicamente di fermarsi a Vienna, dove il Kunsthistorisches Museum rappresentava una tappa fissa di questo suo breve soggiorno. Si dà il caso che il quadro di Bruegel sia esposto in un’ala interna a quel museo. Ebbene, il diretto interessato racconta che già all’epoca si instaurò un particolare rapporto tra lui e quel dipinto che rivisita il Calvario di Nostro Signore. Osservandolo, creava storie inerenti a tutti quei protagonisti inconsapevoli. In nuce, I colori della passione era già lì.

Per la seconda curiosità, ci tocca fare un salto temporale di parecchi anni, al 2005. Quell’anno lo scrittore e critico d’arte Michael Francis Gibson ebbe modo di vedere Angelus. Colpito dalla sensibilità pittorica manifestata in sede di regia da Majewski, decise di consegnare a quest’ultimo una copia del suo libro The Mill and The Cross (Il mulino e la croce). Fu allora che lo stesso regista, a sua volta affascinato dalle formulazioni presenti in quell’opera, ebbe a coltivare un’ambizione: raccontare la Salita al Calvario di Bruegel mediante il mezzo cinematografico.

Il contesto storico è importante, seppur non essenziale, per comprendere il messaggio. Il pittore di Breda, evidentemente sensibile a quanto stava avvenendo a suo tempo in terra fiamminga, vedeva nei tumulti dell’epoca qualcosa di molto vicino alla persecuzione. In ottica protestante è agevole comprendere a cosa alludesse Bruegel: così come i primi cristiani furono perseguitati dal Sinedrio negli anni in cui Cristo ancora predicava, al medesimo modo nel ‘500 era la Chiesa Cattolica a perseguitare i seguaci di Lutero.

Con non poco estro e fantasia, quindi, decise di portare a termine una tela che descrivesse tutto ciò. Tale aspetto si scorge durante la visione del film, con un Bruegel (Rutger Hauer) in costante apprensione riguardo all’esito di questa sua missione per certi aspetti autoimposta. In una pellicola in cui a farla da padrone sono e devono essere le immagini, c’è davvero poco spazio per la parola. Basti pensare che per il primo dialogo dobbiamo attendere il trascorrere della prima mezz’ora.

E’ bene evidenziare quanto appena rilevato, perché in relazione a quanto attiene agli intenti di Majewski, I colori della passione riesce pienamente. L’utilizzo della computer grafica non ha rappresentato un semplice vezzo artistico, bensì una condizione indispensabile per farci letteralmente entrare nel dipinto. Chissà quanti artisti nei secoli passati avranno almeno una volta fantasticato sulla possibilità di dar vita alle proprie opere. Senza ricorrere ad arzigogolate teorie sugli albori del cinema, in fondo lo stesso nacque alla luce di questa pressante esigenza, quasi un’ossessione, circa il movimento.


Ebbene, Majewski ed il suo team imprimono su pellicola quanto solo l’immaginazione è in grado di partorire. E’ uno di quei non moltissimi esempi in cui davvero la tecnologia al cinema dei nostri giorni non rema contro la creatività, bensì si pone al suo servizio. L’autore ci ha brevemente accennato qualcosa in merito al dispendioso iter che ha condotto alla realizzazione del film. Tre anni passati a lavorare su ogni singolo aspetto, cercando di risolvere veri e propri enigmi come quello del cielo che fa da sfondo al dipinto. Ripreso in Nuova Zelanda, non si riusciva a farlo combaciare con quanto stava sotto. I più tecnici avranno un’idea di quanto appena riportato, ma quale che sia il grado di comprensione, sappiate che si è trattato di un lavoro immane.

Certo, qualche rischio bisogna pur correrlo quando si punta così in alto. Ed infatti I colori della passione è come un carro trainato da cavalli in piena corsa: non è lui a fermarsi per lasciarvi salire, ma dovete essere voi abbastanza “abili” da saltare a bordo. Con questo, non pensate che il limite del film sia da ricercare nel frenetico svolgersi degli eventi, anzi! Come già accennato, passano più o meno trenta minuti per udire il suono di una frase di senso compiuto, ed in generale il film scorre con una certa lentezza. E’ il dazio che la pellicola di Majewski deve necessariamente pagare per arrivare a raggiungere il suo scopo.

Anziché prediligere l’articolazione e la foga di una qualunque manifesto scritto, I colori della passione opta, giustamente, per i lunghi e martellanti silenzi di immagini che si susseguono in maniera nient’affatto casuale. Non a caso è difficile uscire dalla sala con un’idea ben precisa. Questo perché si tratta di una di quelle opere che pretendono di essere metabolizzate, e che non cedono a compromessi pur di chinarsi verso lo spettatore. Non un cinema artisticamente autoreferenziale, ma uno di quelli che tratta lo spettatore con un rispetto tale da esigere un piccolo sforzo per essere pienamente apprezzato.

Fugaci ma intense le interpretazioni di Rutger Hauer, Michael York e Charlotte Rampling, ben integrati in un contesto da cui molto si desume e poco si può inequivocabilmente connotare. E’ questo il bello dell’Arte, quando lascia spazio alla libertà di chi ne partecipa in maniera tutt’altro che passiva. Quando si instaura quel gioco che ci spinge a ricercarne il senso, che non è mai banale e che brama di essere colto.


E se qualche perplessità permane è per la palese ammirazione manifestata nel film nei confronti di Bruegel. Così come il pittore fiammingo non volle protagonisti nel proprio quadro – nemmeno Gesù stesso – così Majewski non ha voluto che le storie da lui immaginate quando era un pargoletto ledessero a questa ferma volontà del pittore. Sì perché le storie di cui ci parla il regista, davvero brevi e tutt’altro che approfondite, non hanno in sé nulla di eccezionale. Potremmo semmai dire che sono eccezionalmente ordinarie.

Ma ricordiamoci che il film non verte su una persona, un periodo storico o chi per loro. I colori della passione racconta di una tela, un dipinto che è il solo, vero e unico protagonista. Tutto ciò che troviamo al suo interno deve la sua esistenza alla presenza stessa del quadro entro cui si muove. Fuori da esso esiste, è vero, ma solo in funzione della “parte” che deve inconsapevolmente recitare in quell’eterno ed irripetibile istante.

Probabilmente non è poi così lontano il giorno in cui sarà possibile letteralmente vedere ciò che vedono gli altri quando si aggrappano alla propria immaginazione. Bene o male che sia, quindi, restiamo in sospeso all’idea di come sarebbe stato assistere a questo film così come Majewski lo ha esattamente immaginato. Ma poiché quel giorno ancora non è oggi, prendiamo atto di un lavoro encomiabile seppur tutt’altro che perfetto. Ed è proprio per questo che molti lo apprezzeranno visceralmente, mentre altri rimarranno tiepidi, ai limiti dell’indifferenza. Nonostante ciò, l’impatto visivo trascende qualsivoglia presa di posizione: tecnologia a servizio dell’Arte e non viceversa. Ci pare un ottimo punto d’approdo da cui immediatamente ripartire.

Voto di Antonio: 7,5

I colori della passione (The Mill and The Cross, Drammatico, Svezia/Polonia, 2011). Di Lech Majewski, con Rutger Hauer, Michael York, Charlotte Rampling, Joanna Litwin e Oskar Huliczka. Nelle nostre sale da domani, venerdì 30 Marzo. Qui trovate il trailer italiano.