Home Premio Oscar L’Oscar a Una separazione è l’inizio del collasso di Israele?

L’Oscar a Una separazione è l’inizio del collasso di Israele?

L’oscar a Una separazione segna l’inzio della fine dell’influenza israeliana sugli Usa?

pubblicato 29 Febbraio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 03:30


Possibile che un film possa diventare una (l’ennesima) arma per scatenare l’odio tra nazioni? La risposta vorremmo che fosse ovviamente negativa, anzi semmai dovrebbe servire a unire popoli diversi, ma in queste ore sta succedendo esattamente l’opposto. Il premio Oscar come migliore film straniero al film Una separazione, di Asghar Farhadi, è stato al centro di un discorso che lascia molto perplessi.

Veniamo ai fatti, le tensioni politiche esistenti tra Iran e Israele sono ben note a chi ha un minimo di interesse nei fatti di politica internazionale, che purtroppo riguardano indirettamente anche noi. Si parla di tensioni sui progetti iraniani sul nucleare, pacifici o meno è da discutere, ma il rischio è quello che ne nasca una nuova guerra (e si sa che le alleanze e le simpatie delle ex-Superpotenze ovviamente non è mai univoca).

Così anche la piccola battaglia che si è consumata nell’ex Kodak Teathre l’altra notte, dove il film iraniano ha battuto l’israeliano Footnote, è stata commentata con parole decisamente pesanti dai responsabili dell’Islamic Republic of Iran Broadcaster come una presa di posizione nei confronti del regime sionista. Sarebbe il caso di ricordare che la cinematografia di Israele è stata nominata ben quattro volte negli ultimi anni, ma non ha mai visto un premio Oscar.

Javad Shamaghdari, il capo dell’agenzia del cinema iraniano, ha detto (così riporta la rivista Variety) che il premio oscar è il segno dell’inizio del collasso dell’influenza israeliana nei confronti degli Stati Uniti, non a caso il film Una separazione è stato già distribuito in Israele (dal 9 febbraio coin sottititoli in ebraico). Polemiche sterili? Provocazioni futili? Resta il fatto che se il pubblico ha gradito il film, sono sempre i “politici” a strumentalizzare i significati di un lavoro come questo.

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