Torino Film Festival 2011: voti e considerazioni finali
Si è concluso il Torino Film Festival: leggi il resoconto finale di Cineblog, con i voti e le recensioni dei film visti.
Se il concorso di un festival è debole, anche il festival stesso lo è? È una domanda che la critica si fa ogni volta che i telegiornali e i quotidiani, quelle poche volte che parlano dei festival, dicono che la competizione è deludente, e che quindi il festival è deludente. Ricordate Venezia 2008? Il concorso era per metà da cestinare.
Eppure in quell’edizione ci furono, in concorso, gli ottimi Demme, Miyazaki, Naderi, Aronofsky. E fuori concorso i Coen, la Denis, Bahrani. Per dire. Il concorso del Torino Film Festival 2011 ha qualcosa che non ha convinto la critica, soprattutto on line (ovvero quella che, tra siti, blog e social network ha più seguito attivamente la manifestazione). Cosa? Probabilmente il fatto che non ci sono state vere punte.
Vero è che si tratta di un concorso di opere prime, seconde e al massimo terze, e quindi vai te a scovare in giro per il mondo il meglio degli esordienti dell’anno (ce ne sono tanti, eh!, e qualcosa c’era anche in questo concorso). Eppure Torino in questi anni ha “scoperto” la Sciamma di Naissance des pieuvres (poi regista di Tomboy), il Larraín di Tony Manero, La Nana (Affetti e dispetti…), Un gelido inverno, per dirne alcuni.
Forse nel concorso di Torino 29 ci sono stati tanti piccoli film discreti, molti capaci di dividere nettamente le opinioni. Anche le punte, secondo noi rappresentate soprattutto dai film “di genere”, hanno fatto discutere. Ma è anche vero che sono mancate vere brutture (giusto un paio), cose oscene come Chi l’ha visto (Torino 2008). Quindi: un concorso piatto. E forse sarebbe meglio avere un concorso con più punte, sia positive che negative, per stimolare la critica e spezzare la monotonia. Mah. Chissà.
A proposito di film di genere: quanto bello è stato avere in concorso Attack the Block e The Raid? Il primo, meritato Mouse d’Oro, è il travolgente esordio di Joe Cornish, e vien voglia di rivederselo subito. Martella senza perdere un colpo. Il secondo è la furiosa opera diretta, in Indonesia, dal gallese Gareth Huw Evans: tra Hill, Carpenter e To, c’è questo gioiello elettrizzante. Noi, dal canto nostro, aggiungiamo alla “sezione dei Sì” anche i tre indie americani.
Thomas McCarthy fa centro per la terza volta con Win Win, ovvero Mosse vincenti. Meno “sorprendente” del suo esordio, meno coraggioso de L’ospite inatteso, si tratta comunque di un buon film che sa quel che racconta e come raccontarlo. Ha diviso molto l’attesissimo 50/50. Sicuramente si tratta di un prodotto che rischia facilmente la carineria ruffiana, con quella patina da Sundance che in molti detestano. Ma se non ci si commuove almeno un pochetto si ha il cuore un po’ di pietra.
Il film più indipendente dei tre è tuttavia A Little Closer di Matthew Petock, che indaga con tono rarefatto e oggettivo la vita di una famiglia composta da madre e due figli giovanissimi: indaga la sessualità in modo pudico, apre squarci di tristezza inattesi, si chiude nel momento giusto con un’immagine che spiega bene il percorso del film e soprattutto il titolo. Chiaramente è un film piccolissimo che non piace a tutti, ed è facile capire perché.
Ci ha convinto l’ultra-discusso 17 filles, l’opera prima delle sorelle Coulin. Film sognante che però si scontra con la realtà: che ovviamente è orribile e uccide ogni utopia. A noi pare che sia stato letto male e frainteso da molti. Vedremo quando arriverà in sala. Piace il canadese Le Vendeur, con cui Sébastien Pilote si porta a casa il Fipresci e il Cipputi come miglior film sul mondo del lavoro. Solitudine, dramma familiare, crisi economica implacabile: è un diesel, ma ad attendere un po’ si è ricompensati.
Il vincitore del concorso, Either Way, è un piccolo film sull’amicizia tra due uomini, uno più giovane e uno più grande, che lavorano per tutta l’estate nelle strade nel nord dell’Islanda. Bevono, parlano di donne, litigano. Tra Beckett e Kaurismäki, Hafsteinn Gunnar dimostra di avere un’idea ben precisa e rigorosa del cinema. Come rigoroso è lo stile del russo Nikolay Khomeriki, che con il suo Heart’s Boomerang porta in concorso l’ufo della sezione. Un uomo viene a sapere che potrebbe morire da un momento all’altro: non lo dice a nessuno. Quotidianità seguita con uno stile che ricorda alcuni film degli anni 60-70. Sia questo che Either Way sono forse un po’ di maniera, ma hanno un loro perché.
Rania Attieh e Daniel Garcia girano con Ok, Enough, Goodbye la storia di un bamboccione a Tripoli: la critica è forte, lo stile da limare. Colpa forse anche del budget inesistente. Non ci ha convinto moltissimo Way Home di Andreas Kannengiesser, parecchio irrisolto in tutti i suoi intrecci. I personaggi sembrano satelliti del personaggio di Renate Krossner, non a caso premiata come miglior attrice: avremmo preferito la Sayra Player di A Little Closer, con un personaggio meno scritto e all’apparenza più semplice, ma sotto sotto complesso e ricco di sfumature che la brava attrice sa gestire alla perfezione.
Confuso e piattino Three and a half di Naghi Nemati: doveroso che fosse in concorso, ma il cinema iraniano non è solo questo. Non convince Mateo Zoni con il suo atteso Ulidi piccola mia, mockumentary che sembra sfruttare troppo la sua volontà di confondere con lo stile (se non si sa che tipo di progetto è… ci si crede): c’è chi ha parlato di vouyerismo, noi diciamo anche exploitation. Convince anche meno Carlo Virzì con I più grandi di tutti: diverte poco e casca in cliché.
Non si capisce bene perché sia stato applaudito così tanto un prodotto ordinario come Ghosted, prison movie inglese di Craig Viveiros che vuole strafare e crolla miseramente con un pessimo finale. Siamo comunque abbastanza contenti per il premio a Martin Compston, che seguiamo da un po’ e che ci fa sempre piacere rivedere sul grande schermo. Chiudiamo con il coreano A Confession. Park Su-min vuole volare alto, ma è ancora troppo acerbo: parlando di rimorsi, di Dio, della Storia ecc. ecc. si scotta le mani.
È quindi nel fuori concorso che si sono trovate quelle punte che mancavano al concorso. Ad esempio, gli indie americani si sono comportati molto bene, e proprio qui si potevano trovare alcuni pezzi da novanta che non avrebbero sfigurato nella competizione. In primis The Dynamiter di Matthew Gordon, l’erede del David Gordon Green vecchia maniera (non l’ultracorpo che l’ha sostituito, ma che da produttore fa ancora qualcosa di buono: vedi il cult del festival, The Catechism Cataclysm): un coming of age ambientato in Mississippi, sincero e disarmante, toccante e bellissimo, con un protagonista esordiente (William Ruffin) da tenere d’occhio.
Gli fa buona compagnia il Clay Jeter di Jess + Moss, storia dell’amicizia tra una ragazza ed un ragazzino ambientata in Kentucky. L’opera indie americana più sperimentale fra quelle viste a Torino, ma che arriva con la sola forza delle bellissime immagini e della musica dritta al cuore. Ecco: Gordon e Jeter sono da segnare in agenda. Il film che però forse rappresenta di più l’indipendenza assoluta è Intro, visto in Onde, con cui Brandon Cahoon segue l’artista Jeremi Hanson nel suo viaggio in giro per la California. Il documentario frulla a suo modo diversi generi tipicamente americani, dal road movie al western, e li asciuga. Un must see per gli amanti delle landscape statunitensi. Astenersi gli altri.
Qualche appunto sulle anteprime di maggior richiamo presentate in Festa Mobile. Il risultato più alto per noi è quello di Werner Herzog con il suo sconvolgente Into the Abyss: il regista scava nell’anima dell’uomo e di un paese e ne scopre orrori, dolori e contraddizioni. Una visione necessaria. Kaurismäki è in formissima con il suo straordinario Miracolo a Le Havre, così com’è in forma Allen che con Midnight in Paris firma il suo film più bello da molti anni. Ci ha anche nuovamente convinto Alexander Payne, che tra i “grandi registi indie Usa” è quello con meno seguito: ma anche in The Descendants a lui non interessa far restare nulla nella memoria dei cinefili, soltanto narrare una storia. Lo fa bene.
Da non perdere The Ballad of Genesis and Lady Jaye, il documentario che Marie Losier ha dedicato a Genesis Breyer P-Orridge e vincitore del Teddy a Berlino: musica industriale, pandroginia, arte, performance, ma soprattutto una toccante storia d’amore. Sentiremo parlare di La guerre est déclarée di Valérie Donzelli, candidato francese per gli Oscar: storia vera, autobiografica (!) e forte. Ha qualche sbavatura, ma solo per la troppa generosità della regista. E poi è un film davvero vitale ed irresistibile. Ci si angoscia, ci si commuove, ma si sorride anche.
Parte bene Les Bien-Aimés, il nuovo musical di Christophe Honoré, che però poi la tira un po’ per le lunghe e nella seconda parte mette troppa roba in fase di sceneggiatura. Va bene l’omaggio ad un cinema, quello della Nouvelle Vague, che tendeva a distruggere e riscrivere le regole: però… Anche il Rodrigo Garcìa di Albert Nobbs piace, ma il tono del suo film si mantiene un po’ troppo piatto: a reggere il film ci pensano soprattutto gli attori, bravissimi, capitanati ovviamente da Glenn Close.
Bocciato invece senza possibilità d’appello il Fresnadillo di Intruders, pasticciaccio a metà tra horror europeo e hollywoodiano. Una bella delusione. Curioso 388 Arletta Avenue di Randall Cole, thriller “oggettivo” e distaccato dove tutto quel che vediamo è filtrato attraverso le telecamere nascoste di un uomo che ha deciso di rendere la vita impossibile ad una coppietta felice. A metà tra Niente da nascondere e Paranormal Activity: la presenza impalpabile e perenne del pericolo si fa sentire, forse più dopo che durante la visione.
De L’arte di vincere sentiremo parlare ai premi che contano, mentre di Tatsumi ovviamente no: ma l’esperimento di Eric Khoo, che narra la figura dell’autore di gekiga con un documentario animato in cui inserisce anche qualche storia del fumettista, è davvero affascinante. Cercatelo. Chiude il tutto Twixt di Coppola: omaggio, parodia, esperimento, gioco, due dimensioni e tre dimensioni. Tutto bello, tutto stimolante: più sulla carta che sul grande schermo. Ma detto ciò: alla faccia del festival debole…
Di seguito, tutti i voti ai film visti durante il Torino Film Festival e, dove ci sono, le nostre recensioni.
Concorso
17 ragazze (17 filles) – Delphine e Muriel Coulin
Voto: 7 – Recensione
50/50 – Jonathan Levine
Voto: 7 – Recensione
Attack the Block – Joe Cornish
Voto: 8 – Recensione
A Confession – Park Su-min
Voto: 4.5 – Recensione
Either Way – Hafsteinn Gunnar
Voto: 7 – Recensione
Ghosted – Craig Viveiros
Voto: 4.5 – Recensione
Heart’s Boomerang – Nikolay Khomeriki
Voto: 7 – Recensione
A Little Closer – Matthew Petock
Voto: 7 – Recensione
Mosse vincenti (Win Win) – Thomas McCarthy
Voto: 7.5 – Recensione
Ok, Enough, Goodbye – Rania Attieh e Daniel Garcia
Voto: 6 – Recensione
I più grandi di tutti – Carlo Virzì
Voto: 4.5 – Recensione
The Raid – Gareth Huw Evans
Voto: 7.5 – Recensione
Three and a half – Naghi Nemati
Voto: 5 – Recensione
Ulidi piccola mia – Mateo Zoni
Voto: 5 – Recensione
Le Vendeur – Sébastien Pilote
Voto: 7 – Recensione
Way Home – Andreas Kannengiesser
Voto: 5.5 – Recensione
Festa Mobile
388 Arletta Avenue – Randall Cole
Voto: 7
Albert Nobbs – Rodrigo Garcìa
Voto: 6 – Recensione di Fulvio
L’arte di vincere (Moneyball) – Bennett Miller
Voto: 7.5 – Recensione
Bad Posture – Malcolm Murray
Voto: 6
The Ballad of Genesis and Lady Jaye – Marie Losier
Voto: 8
Bereavement – Stevan Mena
Voto: 5.5
Les Bien-Aimés – Christophe Honoré
Voto: 6
The Catechism Cataclysm – Todd Rohal
Voto: 7
Condition – Andrei Severny
Voto: 6.5
Dernière Séance – Laurent Achard
Voto: 6
The Descendants – Alexander Payne
Voto: 8 – Recensione
The Dynamiter – Matthew Gordon
Voto: 8.5
A Good Old Fashioned Orgy – Alex Gregory e Peter Huyck
Voto: 4
La guerre est déclarée – Valérie Donzelli
Voto: 8 – Recensione di Fulvio
L’Illusion comique – Mathieu Amalric
Voto: 6
Into the Abyss – Werner Herzog
Voto: 10 – Recensione
Intruders – Juan Carlos Fresnadillo
Voto: 4 – Recensione
Jess + Moss – Clay Jeter
Voto: 8.5
Midnight in Paris – Woody Allen
Voto: 8.5 – Recensione
Mientras duermes – Jaume Balaguerò
Voto: 7 – Recensione di Fulvio
Miracolo a Le Havre (Le Havre) – Aki Kaurismäki
Voto: 9 – Recensione di Carlo
The Oregonian – Calvin Lee Reeder
Voto: 7 ? [Ma è un “voto” molto personale: leggete anche qui]
Pater – Alain Cavalier
Voto: 4
Il sorriso del capo – Marco Bechis
Voto: 6.5
Tatsumi – Eric Khoo
Voto: 7.5
Terri – Azazel Jacobs
Voto Gabriele: 7.5 – Recensione
Twixt – Francis Ford Coppola
Voto: 5.5 – Recensione
Wrecked – Michael Greenspan
Voto: 5 – Recensione di Fulvio
Altri film
Guilty of Romance – Sion Sono
Voto: 6.5
Intro – Brandon Cahoon
Voto: 8
The Slut – Hagar Ben Asher
Voto: 4
Altre recensioni di Fulvio:
– L’era legale
– George Harrison – Living in the material world
– Il giorno in più
– Inconscio italiano
– Sic Fiat Italia
– Speciale Sion Sono (Rapporto confidenziale)