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Torino 2011: su The Oregonian, sul pubblico dei festival e sulle risate in sala

Ridere di fronte ad un film horror? Isteria o maleducazione? Ne parliamo su Cineblog con The Oregonian, presentato al Torino Film Festival 2011

pubblicato 29 Novembre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 06:07

Odio ammetterlo, ma ormai guardo poco horror in sala, il genere che mi ha fatto amare il cinema. Certo, non che le nostre sale pullulino di genere da qualche anno a questa parte (Ti West non lo si vedrà mai in Italia, per dire), ma quando c’è si va incontro ad esperienze traumatiche andando in sala. Tra schiamazzi, risate e il solito pubblico cafone.

Normale amministrazione, si dirà ormai rassegnati. Il fatto è che anche guardare l’horror ai festival mi incute ogni volta terrore: non per i film, che ovviamente non posso aver visto prima di sedermi sulla poltroncina, ma per le reazioni che avrò al mio fianco, attorno a me. Chi riderà per primo, chi farà partire l’inevitabile catena di risate sguaiate, di ululati, di applausi stupidi e un po’ stronzi, visto che magari ti fanno a volte perdere anche qualche dialogo?

Che succeda in un luogo privilegiato per il cinema, dove si suppone ci debba essere gente non solo preparata e appassionata, ma soprattutto curiosa (lo vorrei sottolineare, l’aggettivo, con diciotto colori diversi), è abbastanza malinconico. Succede ovviamente al Torino Film Festival per The Oregonian (il 27 novembre, ore 15, Massimo 3: ma dalla regia mi dicono sia successo anche alla proiezione precedente, con tanto di regista in sala), horror very low budget di Calvin Reeder, attore e soprattutto regista di alcuni corti horror che nel 2007 gli hanno fatto guadagnare una posizione nella classifica di Filmmaker Magazine “25 New Faces of Independent Film”.

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Bene: The Oregonian non è un film per tutti (ecco il trailer). Non perché è un horror, ma perché è un film decisamente poco classificabile. Il fatto che la frase più “intelligente” che si sia sentita in giro dopo la proiezione è “Dovrebbe pure essere un horror!” la dice lunga sui danni che l’etichettatura obbligatoria, da catalogo, ha fatto a certo cinema. The Oregonian è un horror? Non lo è? Dopo averlo visto, conta davvero? Si va in sala a vedere un horror per essere innanzitutto spaventati, d’accordo, ma davvero si riduce una visione collettiva ad un festival al solo e personale appagamento dei sensi?

Se non si riesce a riconoscere il nuovo che avanza in un film come The Oregonian, piaccia o non piaccia, non è un grave problema: ci sarà tempo, o forse ci stiamo sbagliando noi. Tutti i dubbi nascono però dal momento che, in una sala cinematografica che manco lo stadio, il pubblico se la ride per ogni cosa stramba/inattesa/un po’ trash/ecc.. In questo caso specifico, quindi, per tutta la sua durata, visto che The Oregonian è davvero fuori di testa.

The Oregonian è l’indipendenza più vera perché libera da ogni convenzione, libera di giocare con le convenzioni e di distruggerle, di mandarle beatamente all’aria. Che Reeder giochi con certo cinema underground anni 60/70 dovrebbe essere chiaro. Se si apprezzano i giochi postmoderni e teorici di Rodriguez e soprattutto Tarantino di Grindhouse, non si capisce perché non si debba apprezzare l’idea di base dell’opera di Reeder: che è quella di utilizzare una certa forma (si pensi solo al montaggio, tra jump e strobe cut) per raccontare qualcosa di diverso e personale.

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The Oregonian si costruisce su una serie di incontri della ragazza protagonista che dopo un indicente d’auto (non si sa cos’è successo) inizia a camminare per una strada deserta in cerca d’aiuto. Incontrerà solo personaggi folli, inquietanti, surreali, e persino una persona vestita con un ridicolo costume da mascotte verde. C’è all’inizio una luce accecante, ci sono suoni fastidiosissimi, c’è un uomo che piscia mille colori, c’è una vecchia che pare una parente del Bob di Twin Peaks, c’è il deserto, c’è di tutto e di più. C’è pure un tappeto sonoro obiettivamente meraviglioso, creato dallo stesso regista in tutto e per tutto.

Reeder sembra mettere assieme suggestioni di vari modelli di riferimento per entrare nel mondo della mente che, lynchanamente, rielabora (anche in modo ridicolo!) ma non cancella mai. Ma piuttosto che stare a guardare lo schermo si preferisce (de)ridere l’oggetto. Che orrore: viene quasi da dare ragione alla Comencini, salvo poi ripensarci e capire che la situazione è ovviamente ben diversa rispetto a quanto accaduto a Venezia con Quando la notte. Vien pure da pensare provocatoriamente che se il già citato Lynch esordisse oggi, verrebbe ululato e fischiato anche da coloro che sbavano sui suoi lavori senza averci manco capito nulla (attenzione: chi scrive adora Lynch in maniera smisurata).

Che si rida durante The Oregonian, potrebbe pure essere un segno positivo: l’opera ha raggiunto il suo scopo di spiazzare, irritare, perché “nuova” e anti-conformista. Personalmente, credo che si rida durante The Oregonian perché non ci si vuole applicare neanche un secondo: non si è neanche curiosi di sapere dove il film andrà a parare. Se si resta in sala, è solo per continuare a ridere, e poter uscire insultando il film e quel cretino di regista che ci ha presi tutti per il culo. Ci meritiamo davvero un A Good Old Fashioned Orgy qualunque: che ha fatto ridere molto, ma a cui è stato perdonato tutto ciò che ha di orrendo.

The Oregonian (Usa 2011 – Horror 81′) regia di Calvin Reeder con Lindsay Pulsipher, Robert Longstreet, Matt Olsen, Lynne Compton, Roger M. Mayer, Barlow Jacobs, Tipper Newton, Chadwick Brown, Jed Maheu, Zumi Rosow, Scott Honea, Christian Palmer, Christo Dimassis, Mandy M Bailey, Meredith Binder, Sharon Delong, Sherry Reynolds, Michael Adams, Rick Jensen. Ancora sconosciuta l’eventuale data di uscita in Italia; Foto di Scott Honea

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