Roma 2011: Silenzio, parla (e annoia) Michael Mann
68 anni, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, 10 film diretti in 40 anni, 4 nomination all’Oscar, nessuna statuetta vinta, ma un’aurea di ‘mito’ vivente che da sempre l’accompagna. Michael Mann è sbarcato al Festival Internazionale del Film di Roma, tenendo una ‘lezione di cinema’ ad un pubblico ‘misto’, composto tanto dalla stampa quanto da semplici appassionati.
68 anni, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, 10 film diretti in 40 anni, 4 nomination all’Oscar, nessuna statuetta vinta, ma un’aurea di ‘mito’ vivente che da sempre l’accompagna. Michael Mann è sbarcato al Festival Internazionale del Film di Roma, tenendo una ‘lezione di cinema’ ad un pubblico ‘misto’, composto tanto dalla stampa quanto da semplici appassionati. Da sempre immenso innovatore cinematografico, Mann ha mostrato un lato decisamente sconosciuto agli sbigottiti presenti in sala. Perché il leggendario Mann ha svelato un’impensabile incapacità a ‘comunicare’.
Incalzato dalle interessanti, precise e dettagliate domande di Mario Sesti e Antonio Monda, ‘curatori’ dell’attesa masterclass, Mann ha sempre risposto sviando ai quesiti posti, tralasciando particolari e curiosità legale alle sue pellicole, per snocciolarci nient’altro che trame, da tutti ovviamente conosciute. Più che una ‘sparatoria’, rimanendo in linea con il suo cinema, possiamo definirla una soporifera partita a carte, che ha visto il regista interpretare la parte di colui che stancamente gioca, annoiando gli altri partecipanti.
I presenti in sala, gremita fino all’inverosimile, si attendevano una grandinata di bossoli, per poi ritrovarsi dinanzi ad una stancante chiacchierata sui suoi film, raccontati scena dopo scena, senza rendersi conto che i ‘poveri’ Mario Sesti e Antonio Monda chiedevano in realtà tutt’altro. Domanda secca su come ha gestito l’esplosivo duo De Niro/Pacino? E giù a raccontarci la scena vista pochi minuti prima sul grande schermo. Come se nessuno la conoscesse. Quesito diretto sul suo amore nei confronti di John Ford? Tre parole e argomento sviato in 25 secondi. Visti alcuni momenti clou dei suoi film, scelti dallo stesso Mann, il regista era poi chiamato a commentare ciò che si era appena ammirato sul grande schermo, provando ovviamente a seguire i precisi quesiti partoriti dai due ‘intervistatori’. Nulla di così complesso, se non fosse che Mann abbia totalmente circumnavigato l’argomento, preferendo raccontare altro, annoiando, più che incantando, i presenti.
Leggendario con la macchina da presa, il regista ha così mostrato un lato di sè decisamente inedito, che lo vede pessimo ‘affabulatore’. E ora, per i tanti che non hanno potuto assistere alla tanto attesa masterclass, ecco a voi il ‘meglio’, nel peggio, partorito da Michael ‘mito’ Mann:
“Perché il mio amore per il digitale? Perché voglio poter riprendere la notte di L.A., e il digitale questo te lo permette. Puoi andare avanti per 17-18 minuti di fila con il digitale. Cosa impossibile su pellicola”.
“E’ sempre molto appassionante per me che personaggi e situazioni emergano dalla vita e non da altri film. Per me avere dei ladri nel cast è splendido. Un coinvolgimento appassionato che ti fa scoprire la fierezza che hanno le persone nel fare il loro lavoro”.
“Com’è stato dirigere De Niro e Pacino? In primo luogo nella vita loro si conoscono, e questo è stato di buon auspicio, per Al, Bob, e me, il fatto che lavorassero insieme, vestendo i panni del buono e cattivo. Loro non avevavo ansie o nervosismi, perché per tre mesi, prima di girare, si sono calati nei personaggi. Due persone diverse, speciali. La presunzione del film è stato far finta che quelle fossero le uniche due persone al mondo con una totale autocoscienza. Completamente se stessi. Erano totalmente in sintonia. Non ho detto o fatto nulla per aiutarli”.
“Il celebre Coyote di Collateral, era previsto in sceneggiatura o spuntò all’improvviso in strada, tanto da convincervi a tenerlo all’interno del film? Assolutamente previsto, c’era fin dall’inizio. Non è stato improvvisato. C’era nel copione. Ci sono 3 vettori tutti indirizzati verso questa collisione. Mi piaceva il preludio dei cojote. Il senso che volevo esprimere era la consapevolezza di questi due uomini. Jamie Foxx in quel punto del film si è come liberato, mentre Cruise è rimasto l’agente di una realizzazione di qualcosa che covava in Foxx. Tra l’altro è una cosa normalissima a Los Angeles, girare per strada ed incrociare un coyote”.
“Se è vero che faccio il cameraman nei miei film? Bè, non sono il direttore di fotografia, ma qualche volta sì. Lo faccio perchè mi diverto, lo voglio fare e lo faccio, perché voglio essere vicino ai miei attori”.
“E’ vero che lei ha avuto una vera corrispondeza con un vero serial killer, prima di girare Manhunter? Volevo calarmi nella realtà di un serial killer. Dennis Wallace è un uomo che ho conosciuto negli anni 70, prima che diventasse un serial killer. Ma è stato lui ad indirizzarmi verso il personaggio di Manhunter”.
Tutto qui? Tutto qui, e poco, pochissimo altro.