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Roma 2011: The Lady – Recensione in Anteprima

Un lungo e caloroso applauso, nei confronti di un biopic tanto atteso quanto complesso. Perché raccontare l’incredibile e straordinaria vita di Aung San Suu Kyi, pacifista birmana per quasi 20 anni ‘detenuta’ in casa propria, era difficile, se non impossibile. A tentare l’impresa il francese Luc Besson, tornato con The Lady ad un cinema ‘d’impegno’ dopo la trilogia dedicata ai suoi Minimei.

pubblicato 27 Ottobre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 07:20

Un lungo e caloroso applauso, nei confronti di un biopic tanto atteso quanto complesso. Perché raccontare l’incredibile e straordinaria vita di Aung San Suu Kyi, pacifista birmana per quasi 20 anni ‘detenuta’ in casa propria, era difficile, se non impossibile. A tentare l’impresa il francese Luc Besson, tornato con The Lady ad un cinema ‘d’impegno’ dopo la trilogia dedicata ai suoi Minimei. Convinto da Michelle Yeoh ad accettare il complesso progetto, Besson ha volutamente scelto il ‘lato umano’ di Suu Kyi, raccontando la sua struggente storia d’amore con il marito, Michael Aris, sempre al suo fianco nella folle battaglia di libertà contro la tirannia e morto di cancro nel 1999.

Dovendo condensare tre decenni di vita privata e di ‘dittatura’ politica, Besson si è purtroppo perso nei tanti, troppi eventi al centro dello script, raffigurando una Suu costretta a dover scegliere tra la famiglia e la patria, tra una vita serena, felice e ‘normale’, in Inghilterra, o una lunga esistenza da reclusa, in totale solitudine, nel proprio paese, distrutto da una dittatura feroce e sanguinaria, da combattere solo e soltanto con le parole.

Il 13 novembre del 2010 Aung San Suu Kyi è stata liberata, da una vergognosa detenzione, in casa propria, in Birmania, dopo aver vinto delle elezioni democratiche, che l’hanno vista raccogliere consensi quasi plebiscitari. In quei giorni Luc Besson stava girando una delle scene clou del film, nato per tenere sempre accesi i riflettori nei confronti della pacifista Premio Nobel. Liberata, come detto, ma solo in parte. Perché ancora oggi Aung San Suu Kyi è prigioniera. Del proprio paese e della violenza governativa, che uccide ogni mese centinaia di birmani, privandola dei suoi diritti, tanto come donna quanto come ‘politico’. La sua incredibile storia, che ha segnato i nostri tempi, sembra nata per diventare film, per approdare in sala e farsi conoscere ai quattro angoli del mondo.

A dover sopportare il peso della responsabilità una splendida Michelle Yeoh, in odore di candidatura all’Oscar, clamorosamente ‘simile’ alla Suu originale, tanto nei modi, delicati, quanto nella postura. Chiamata a dover imparare il birmano, la Yeoh è riuscita a rendere perfettamente la forza e la tenerezza di questa donna che dagli anni 80, con il suo magnifico sguardo, entra in milioni di case, portando per mano la sua lotta pacifista. Perché la democrazia è raggiungibile anche senza spargimenti di sangue.

In un contesto storico che negli ultimi anni ci ha regalato le rivolte della cosidetta Primavera Araba, con le ‘rivoluzioni’ tunisine ed algerine, Aung San Suu Kyi è ancora lì a dimostrarci che un traguardo simile può essere raggiunto anche in modo pacifico, con più fatica e tempo a disposizione, deponendo armi e tirannia. ‘Costretto’ a dover affrontare una storia personale tanto lunga, complessa e travagliata, Besson ha scelto di intraprendere una strada precisa, privata e decisamente intima, mettendo al centro del suo interesse gli affetti di Suu Kyi. L’amore d’altri tempi per il marito, vicino a lei e alla sua battaglia fino all’ultimo, e per i due figli, tanto litigiosi quanto affezionati alla combattiva madre. A vestire i panni di Michael Aris un sorprendente e commovente David Thewlis, per un titolo che vola tra alti e bassi, finendo paradossalmente verso un binario conclusivo algido e poco emozionale, dopo un avvio toccante e a tratti avvincente, come quando Suu assiste con i propri occhi alle violente repressioni nei confronti degli studenti birmani, colpevoli di ‘manifestare’ il loro dissenso.

Accompagnato da Walk On degli U2, brano che Bono ha scritto e dedicato ad Aung San Suu Kyi, Besson lascia per una volta in terra di Francia il suo cinema fracassone ed esplosivo, capace di conquistare Hollywood a forza di action ed effetti speciali, provando così a raccontare una pellicola chiamata a confrontarsi con la storia. Tanto da suscitare comunque interesse. Anche se imperfetta.

The Lady (Francia, 2011) di Luc Besson; con Michelle Yeoh, David Thewlis, Jonathan Raggett, Jonathan Woodhouse,Susan Wooldridge.

Qui il trailer
Foto: 6,5

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