Copia Originale, la recensione: Melissa McCarthy antieroina da Oscar
Due attori monumentali per ‘Can You Ever Forgive Me?’, atipico biopic che conferma le qualità registiche di Marielle Heller.
7 anni dopo Le amiche della sposa, Melissa McCarthy, stella indiscussa della nuova sboccata commedia al femminile americana, ha strappato una seconda più che meritata nomination agli Oscar con il film di una vita, Can You Ever Forgive Me?, pronto ad arrivare in Italia il 21 febbraio prossimo con il titolo ‘Copia Originale‘. Una McCarthy spiazzante, perché lontana anni luce dalla Melissa fisicamente strabordante degli ultimi 10 anni, indossando gli abiti di Lee Israel, scrittrice americana deceduta nel 2014 nonché autrice dell’autobiografia da cui il film è stato tratto.
Controversa, misantropa e straordinariamente cinica, la Israel si inventò falsaria per sopravvivere ad un mondo letterario che le aveva completamente voltato le spalle. Nel 1991, disoccupata, senza più un soldo e con una biografia che nessun editore aveva intenzione di pubblicare, Lee pianificò una truffa che arrivò a coinvolgere persino l’FBI.
Diretto dalla 39enne Marielle Heller, già vista all’opera e apprezzata con ‘Diario di una teenager’, Copia originale è caustico nella scrittura e malinconico nella sua rappresentazione, trainata da una McCarthy in stato di grazia. Immaginare Julianne Moore, inizialmente annunciata protagonista, nei sudici abiti di una Israel così umanamente interpretata da Melissa pare oggi impossibile, eppure in molti avevano esplicitato perplessità quando proprio l’attrice comica venne presa in sua sostituzione.
La sceneggiatura di Nicole Holofcener e Jeff Whitty, non a caso nominata agli Oscar tra gli script non originali, ha il pregio di tramutare lo spigoloso carattere della sua protagonista, amorevole solamente con il proprio gatto, in una dolce e accettabile manchevolezza, in una spietata linea di difesa dai propri limiti sociali, dal panico esistenziale che la attanaglia. Melissa, imbruttita e resa ancor più goffa da maglioni, cappotti e gonne improbabili, è una donna che dopo aver toccato il fondo ha iniziato a raschiarlo. Non ha amici, vive in un porcile che chiama casa, ha un’agente letteraria che non risponde alle sue telefonate, ha buffi su buffi, beve come una spugna, un’indimenticata ex compagna mai del tutto dimenticata e 51 anni suonati. Eppure tra gli anni settanta e ottanta aveva raggiunto il successo raccontando le vite di Katherine Hepburn, Tallulah Bankhead, Estée Lauder e Dorothy Kilgallen. Biografie acclamate e vendute, fino a quando il mercato editoriale, stanco del suo spiacevole carattere, non le chiude la porta in faccia. Ed è qui che indirizza le proprie doti di scrittrice verso il crimine, il furto e l’inganno, dopo aver trovato sulla propria strada Jack Hock, autodistruttivo viveur proprio come lei solo ed emarginato dalla società nonostante l’ostentata esuberanza. Jack, omosessuale dichiarato, è un cocainomane cleptomane che non ha casa nè lavoro, che tira a campare giorno dopo giorno. Mai scontati e orgogliosamente irriverenti, tra i due prende vita una platonica relazione d’amore e odio, che va in parte a colmare quella solitudine che da sempre caratterizza le rispettive vite.
Al fianco di una McCarthy drammaticamente e sublimemente feroce, spicca un gigantesco Richard E. Grant, finalmente arrivato alla sua prima nomination agli Oscar dopo oltre 30 anni di carriera. Il suo Hock, sboccato e sfacciato, bugiardo e inquieto, va a completare i lineamenti di una commedia biografica che sotto la patina dell’umoristica indifferenza sociale nasconde i tratti di un dramma sulla disperazione e la sopravvivenza umana. La Heller si concede completamente ai suoi distrutti e solitari personaggi, riuscendo nell’ardua impresa di far emergere la loro apparentemente inesistente umanità. Perché il mondo che li circonda, teoricamente meno incasinato rispetto al loro, è invece ancor più brutale e spietato, nel suo mutare irrimediabilmente, abbandonando un passato che i due faticano ad archiviare. Un film sull’amicizia che non cede necessariamente a inutili sbocchi d’amore, sull’innata emarginazione, sulla creatività dimenticata, se non semplicemente colpevolmente sminuita.
Melissa e Richard, con i rispettivi personaggi tanto bizzarri e sopra le righe, sono il cuore di una pellicola che va oltre il classico biopic o heist movie, imboccando una strada inaspettatamente sofisticata, divertente, avvincente, commovente. Un progetto da appena 10 milioni di dollari di budget che solo la Fox Searchlight, negli ultimi due anni due volte premio Oscar con Moonlight e The Shape of Water, poteva realizzare con tanto coraggio, senza mai cedere a facili compromessi produttivi e di scrittura.
Anche solo immaginare una simile McCarthy, letteralmente scomparsa dietro gli occhialoni e i capelli lisci della vera Lee Israel, era impensabile, eppure l’Acchiappa Fantasmi di Paul Feig emoziona, conquista e sorprende, attraverso un’espressività fino ad oggi scelleratamente nascosta dietro risate e smorfie comedy che l’avranno sicuramente arricchita e resa famosa, ma anche clamorosamente limitata. Perché come già accaduto nel recente passato con Jim Carrey e Steve Carell, anche nel suo caso c’è un inatteso ma strabordante talento recitativo che merita di essere valorizzato. Potremo mai perdonarla, per averci fatto aspettare tanto?
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]
Copia Originale (Usa, biografico, commedia, Can You Ever Forgive Me?, 2018) di Marielle Heller; con Melissa McCarthy, Richard E. Grant, Dolly Wells, Jane Curtin, Ben Falcone, Anna Deavere Smith, Stephen Spinella, Julie Ann Emery, Joanna Adler, Marc Evan Jackson, Jennifer Westfeldt, Christian Navarro – uscita giovedì 21 febbraio 2019.