La paranza dei bambini, la recensione: coming of age camorristico in un illusorio Paese dei Balocchi
I Rioni di Napoli gestiti da giovanissimi che non hanno paura della morte, pur di avere tutto e subito.
40enne romano, Claudio Giovannesi è l’unico registra italiano a rappresentare la cinematografia nostrana al Festival di Berlino, da pochi giorni iniziato. Applaudito nel 2012 con Alì ha gli occhi azzurri e acclamato nel 2016 con Fiore, Giovannesi ha adattato per il grande schermo La paranza dei bambini, romanzo di Roberto Saviano qui anche co-sceneggiatore al fianco del regista e di Maurizio Braucci.
Protagonisti sei ragazzini napoletani, trovati dopo oltre 4000 provini, che sfrecciano in scooter per le strade di Napoli con l’ambizione di conquistarla. Tra di loro si chiamano Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ, Briatò, sono quasi tutti minorenni, litigano per una merendina, coccolano la mamma e non hanno paura di morire. Sono pronti a tutto pur di ottenere potere, denaro, utilizzando le pistole come bancomat per acquistare scarpe e t-shirt firmate, prenotare tavoli in discoteca e concedersi regali costosi alle fidanzatine. Si illudono di poter portare la giustizia nel loro quartiere, il Rione Sanità, attraverso il male. Una fratellanza dai lineamenti omoerotici che vira verso la totale incoscienza, obbligandoli a scegliere tra vita criminale e famiglia, pistole e affetti.
Impossibile non pensare a Gomorra, tanto sul grande schermo quanto alla serie tv, dinanzi a La Paranza dei Bambini, anche perché autore di tutto è sempre Saviano, che ha qui raccontato una pagina quanto mai contemporanea, proiettata su Napoli ma in realtà ampiamente ‘vendibile’ altrove. Perché lo scrittore e Giovannesi raccontano un’età dell’innocenza marchiata dal crimine, che sovrasta e cancella amore e amicizie, trainata dall’ossessione per il consumo, dall’avere tutto e subito.
Il regista ci mostra il punto di vista dei ragazzi, senza giudicarli, rimanendo attaccato a loro con una macchina da presa che ferocemente e al tempo stesso teneramente non dà loro tregua, tra antenne paraboliche da tramutare in bersagio per i mitra e romantici palloncini rossi ad incorniciare primissimi appuntamenti. Ambientato tra il Rione Sanità e i Quartieri Spagnoli di Napoli, La Paranza dei Bambini guarda al reale attraverso chi lo vive quotidianamente. I giovani protagonisti sono attori non professionisti, trovati proprio tra quei vicoli e nessuno di loro ha mai letto la sceneggiatura, né il romanzo da cui è stata tratta, in modo da poter vivere concretamente l’esperienza dei rispettivi personaggi, ciak dopo ciak.
Un neorealismo quanto mai tangibile, segnato dalla fotografia di Daniele Ciprì e all’interno di un gruppo di ragazzini che vive l’illusione di una camorra etica, che possa fare del bene a chi ne ha davvero bisogno, senza mai pensare alle inevitabili conseguenze. Perché dopo l’immediato raggiungimento di un desiderio, l’euforia data dal potere finalmente acquisito, l’ambizione sempre più vibrante e gli immancabili reati, si giunge inevitabilmente a un punto di non ritorno, all’impossibilità di tornare indietro, alla rovinosa e drammatica caduta.
L’effetto deja-vu, avendo ambientato il tutto a Napoli, è chiaramente dietro l’angolo, perché il rischio di ritrovarsi dinanzi ad un Gomorra Begins era elevatissimo, ma Giovannesi ci mostra una criminalità inedita, differente, lontana dai clan ‘tradizionali’ e più legata alla strada, in quel breve tratto che ormai divide il bene dal male. Perché i ragazzini in questione non sono figli di criminali, appartengono a famiglie normali ma sono di fatto ‘deviati’ da una condizione di illegalità diffusa che li porta ad abbandonare l’adolescenza anzitempo, per diventare altro. La precarietà giovanile, che Giovannesi aveva già trattato con Fiore, conquista nuovamente il cuore del racconto, lasciando spazio ad un coming-of-age che vede i figli sostituire i padri, ucciderli, prendere possesso della camera padronale. Baby boss che ammazzano a sangue freddo, per poi tornare a casa e litigare per una crostatina al cioccolato con il fratello minore.
Francesco Di Napoli, neanche presentatosi ai provini del film e scoperto per puro caso dal regista grazie ad una foto sul cellulare del cugino, buca letteralmente lo schermo, grazie ad un’innocenza che si riflette sul suo giovane volto, ma è l’intero cast a funzionare (straordinario il lavoro di Chiara Polizzi, casting director), con Renato Carpentieri unico vero nome di peso in mezzo a esordienti dallo stupefacente riscontro. Del tutto assenti, volutamente, le divise dello Stato e i genitori, se non la mamma del protagonista che in silenzio accetta la strada criminale intrapresa dal figlio, in una sorta di Paese dei Balocchi in cui ci si spara a vista, a bordo di scooter che sguizzano contromano tra i vicoli, cavalcando un’euforia del crimine che brucia ogni step, giovanissime vite. Perché sè è vero che i paranzini sono ormai entrati all’interno delle principali organizzazioni criminali, anche se del tutto privi di esperienza e immaturi, è altrettanto vero che il più delle volte muoiono entro i ventiquattro anni. Tra il bene e il male, persino in zone così spaventosamente legate alla delinquenza, ci deve essere un piano B, che non contempli necessariamente lo spaccio, le rapine, le intimidazioni, il pizzo, la violenza.
La paranza del titolo è tradizionalmente il nome di un peschereccio, qui diventato macchina criminale che cattura adolescenti a strascico, ingannandoli con le abbaglianti luci del benessere economico, del rispetto sociale, del potere criminale, neanche a dirlo drammaticamente e irrimediabilmente effimero.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7,5″ layout=”left”]
La paranza dei bambini (Italia, Francia, 2019, drammatico) di Claudio Giovannesi; con Francesco Di Napoli, Artem Tkachuk, Alfredo Turitto, Viviana Aprea, Valentina Vannino, Pasquale Marotta, Luca Nacarlo, Carmine Pizzo, Ciro Pellecchia, Ciro Vecchione, Mattia Piano Del Balzo, Aniello Arena, Roberto Carrano, Adam Jendoubi, Renato Carpentieri – uscita mercoledì 13 febbraio 2019.