Roma 2010: No, si, ni alla Pernacchia d’oro
Il dr. Apocalypse, opinionista principe fra gli opinionisti di Cineblog, mi ha messo una pulce sonora nell’orecchio. Questa: l’istituzione del premio Pernacchia d’oro nel palmares del Film Festival di Roma 2010. Andiamoci piano con le pernacchie in questi tempi perigliosi, si potrebbe in pochi momenti andare a decibel insopportabili considerata la situazione generale del nostro
Il dr. Apocalypse, opinionista principe fra gli opinionisti di Cineblog, mi ha messo una pulce sonora nell’orecchio. Questa: l’istituzione del premio Pernacchia d’oro nel palmares del Film Festival di Roma 2010. Andiamoci piano con le pernacchie in questi tempi perigliosi, si potrebbe in pochi momenti andare a decibel insopportabili considerata la situazione generale del nostro amato, disamato, bistrattato, sopportato Paesone.
Il dr. di cui sopra, con denominazione pertinente (l’apocalipse significa soprattutto fine e rivelazione), mette l’accento su una questione delicata per la sorte dei festival in genere. Venezia, con la giuria guidata da Quentin Tarantino, uscito dalle carceri di San Quintino, sede della Hollywood babilonia, ha subìto molte critiche per i verdetti della Mostra definiti generalmente “farlocchi”. Cosa avverrà a Roma, dove non c’è una giuria e non c’è un matto geniale opportunista pro domo sua come Quentin (se n’è parlato dalle cronache veneziane)? La giuria del popolo saprà scegliere? E chi lo sa?
Intanto, dobbiamo preoccuparci di preparare le Pernacchie, care al grande Eduardo De Filippo che sul tema dà una lezione sonora senza pari in uno degli episodi dello splendido film L’oro di Napoli di Vittorio De Sica? Beh, prepararsi è sempre consigliabile. Ma, prima di tutto, a questo punto, serve ricordare da dove nasce la proposta del dr. Apocalypse.
Nasce dalla visione del film Il padre e lo straniero di Ricky Tognazzi, un bravo, spiritoso, intelligente attore-regista, figlio del grande Ugo, con interpreti altrettanto bravi come un altro figlio eccellente: Alessandro Gassman, figlio del grande Vittorio.
Non voglio tornare sul film, né proporre una mia personale chiave di lettura, né discutere sul piano dei giudizi. Ma l’idea del Pernacchio d’oro, nella sua paradossalità, ha una validità nel campo degli ibridi sinergici che in campo filmico vanno aumentando ogni giorno di più. “Il padre e lo straniero”, ai miei occhi, risulta un ibrido sinergico per diversi motivi. Tratto da un romanzo di successo- autore Giancarlo De Cataldo, co-sceneggiatore- affronta più temi in una volta, oscillando con voluttà di stile fra cinema e tv. Il rapporto di due padri, un italiano e un siriano, con l’handicap dei figli unici e molto amato; il rapporto fra due persone diverse per religione e mentalità, in una Roma dove gli incontri e gli amori sono, e saranno sempre più, all’insegna dello scavalcamento delle diffidenze e dei tabù razziali; e ciò nonostante tutto e di più, nonostante i fatti drammatici che possono scaturirne. Il guaio di “Il padre e lo straniero” è il risultato proposto dalla sconnessa logica del racconto che cerca un equilibrio tra cinema-cinema e fiction- fiction, due integralismi estetici che non riescono a fondersi, lasciando in questo film interrogativi irrisolti di trama e di azioni proposte. I responsabili del Film Festival si sono accorti di questa contraddizione e hanno scelto di mettere il film (o la fictionfilm) fuori dalla competizione.
Riflessione e prudenza, prima degli spernacchiamenti. Siamo all’inizio della rassegna e chi ne scrive è ansioso di scriverne bene o con rispetto. Ma serpeggia la paura, dai primi segnali, di un avvio senza brillantezze e senza colpi di scena: un altro film italiano La scuola è finita di Jalongo, in concorso, ha diviso i commentatori, lasciando bocca amara, spingendo tutti a cercare consolazione nell’orgia di cadaveri nell’ultimo lavoro del lupo mannaro John Landis, Burke & Hare.
Siamo alle solite. I festival , e molti critici, “vogliono” aiutare il cinema italiano con tutta l’anima: ma avranno pellicole utili per fare e rinnovare questa dedizione o speranza, a occhi chiusi o semiaperti? Ce lo auguriamo, vivamente. Sarebbe spiacevole che il paradosso delle Pernacchie d’oro o di cartone finisse per rendersi realtà da applicare per ambiziosi ibridi di didattica sociale e per velleità, vecchia forma nociva del nostrano cinema impegnato. Eduardo prega per noi.