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Roma 2010: Tognazzi & Co. familismo filmico

Il ret carpet per i divi non c’è stato; ci hanno camminato sopra con tacchi senza spilli e pugni chiusi i Centoautori che si sono presentati al Festival numerosi e sereni, sotto gli occhi di carabinieri e poliziotti anche loro molto calmi. Chissà se c’era, da qualche parte, qualcuno che si stava mangiando le mani

pubblicato 29 Ottobre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 18:50

Il ret carpet per i divi non c’è stato; ci hanno camminato sopra con tacchi senza spilli e pugni chiusi i Centoautori che si sono presentati al Festival numerosi e sereni, sotto gli occhi di carabinieri e poliziotti anche loro molto calmi. Chissà se c’era, da qualche parte, qualcuno che si stava mangiando le mani per la troppa tranquillità e il buon senso di manifestanti e polizia.

Tognazzi, l’ottimo Ugo, avrebbe spazzato via questo qualcuno con una delle sue formidabili risate senza spocchia, genuine, ruspanti da gran varietà. A proposito di Ugo. La figlia Maria Sole, molto intelligente, regista che sa il fatto suo, ha presentato un film dal titolo Ritratto di un padre, apprezzato anche per la ricchezza di documenti originali, film di famiglia, come si dice, girati in super8 e tramandati ai posteri che possono così ringraziare Ugo & Famiglia per riprese e conservazione delle stesse.

Sicuro che Maria Sole avrebbe fatto una proposta composta, garbata, con misura, avevo provato un brivido nel leggere una battuta di Federico Fellini sull’attore ricordata da Lietta Tornabuoni sulla “Stampa” di Torino. Questa la battuta pronunciata come reazione “disperata” quando al regista, nella fase preparatoria del Viaggio di G. Mastorna, veniva continuamente indicato il nome di Ugo: “Ha lo sperma in faccia, com’è possibile”.

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Battuta pungente, linguaggio molto trasparente, fin troppo, che viene senza dubbio dalla fama di seduttore a getto continuo creatasi intorno allo stesso Ugo, trombeur des femmes, in o fuori scena. La qualcosa gli procurava dovunque, in ogni ambiente, critiche da parte i maschilisti mascherati da anime belle. Fellini non lo amava, comunque. Faceva male perché Tognazzi era bravo, bravissimo, aveva corde da comico, da fine dicitore, da cantante parodistico e persino da attore drammatico.

Lo ricordo quando, per dimostrare in Italia e all’estero (Francia), tornò al teatro, ma non a quello di rivista di cui era stato frequentatore di enorme successo, bensì a quello di Pirandello e di Molière. Per fortuna, nell’aria c’è voglia di rendergli giustizia. Era un “buffone serio”, ovvero un attore di classe- fece anche il regista, e ci teneva- come sono di classe tutti coloro che al pubblico dimostrano di poter dare un quadro completo delle loro capacità.

Il doc su Tognazzi realizzato dalla figlia mi fa ricordare una tendenza che sta diventando fortissima. La tendenza a realizzare doc o film similari, specie per la tv, su attori e registi ad opera dei figli e dei parenti. La bara è ancora calda e subito si annunciano ricordi e rievocazioni con pretese filmiche ambiziose. De Sica, Gassman, Salce, Celi, la Magnani, etc, sono stati resuscitati non una sola ma più volte; e i festival aprono le braccia a questi prodotti della commozione e forse di quel pizzico di speculazione, talvolta compiaciuta, troppo ostentata.

Tutti noi sappiamo che il nostro Paese è affetto di familismo (che spesso scade in familismo immorale) e che i guai si vedono nelle rendite di posizione e di lutto che circolano magari solleticando le emozioni facili del pubblico e della stessa gente di cinema. Familismo filmico. Secondi, terzi, quarti… funerali. Quando il cinema vive e non può somigliare alle statue bronzee dei caduti delle guerre, statue di cui sono piene le piazze italiane. Teli neri. A noi tutti piace il lenzuolo bianco.

Festival di Venezia