Dimenticare Venezia o la fiera che porta il suo nome?
Venezia. Attenzione alle fregature. Sono usciti o stanno per uscire i film dentro o fuori concorso. Non tutti meritano. Non tutti corrispondono alla spuma delle parole, anzi delle chiacchiere che volano durante i giorni del Lido, Ci sarà modo e tempo (domani) per commentare i risultati della premiazione di Venezia 67, risultati che non mettono
Venezia. Attenzione alle fregature. Sono usciti o stanno per uscire i film dentro o fuori concorso. Non tutti meritano. Non tutti corrispondono alla spuma delle parole, anzi delle chiacchiere che volano durante i giorni del Lido, Ci sarà modo e tempo (domani) per commentare i risultati della premiazione di Venezia 67, risultati che non mettono d’accordo nessuno. Intanto, due parole prima di stendere un bilancio serio bisogna dir qualcosa affinchè la memoria non si spenga.
Quella del 2010, non solo a mio parere personale, è stata una edizione che si è avvelenata con i giorni che passavano. Ma anche l’inizio non è stato dei più fausti. Sarà per l’enorme catafalco del cantiere dove starebbero costruendo il nuovo Palazzo del cinema, o per la confusione che a poco a poco si è introdotta nel pur rispettabile programma di tanti, tanti, troppi film.
Fintanto che il catafalco non sparirà (si può prendere sul serio le promesse per il 2012? vogliamo proprio crederci?) gli organizzatori potranno fare anche i miracoli nello scegliere e nell’allestire il programma, ma l’infamia dei ritardi, delle chiacchiere, dei silenzi e delle omissioni sarà lì a ricordare con la bara lucida di tubi innocenti, non potrà essere cancellata. E si rischia che divenga una volta per tutte il simbolo di trascuratezza, leggerezza, insensatezza, tutte parole che non ho scelto a caso perché fanno rima baciata con avventatezza.
Sono stati trasformati in persone avventate anche coloro che fanno il loro lavoro per garantire lo svolgimento della rassegna e delle sue iniziative. Avventate, benché non lo siano, persone come Paolo Baratta, presidente della Biennale, che si prodiga in silenzio e con misura nel portare avanti le barche a lui affidate; o come lo stesso Marco Muller, il direttore, molto appassionato, molto abile, e comunque già molto stanco, tanto è vero ha cominciato a mettere le mani avanti: e parla a denti stretti della sua permanenza alla guida della Mostra, proponendosi di tornare alle sue esperienze di produttore un po’ appassite.
Addirittura Muller sente il fiato sulla nuca e in una intervista ha alluso a pretendenti che lavoro nel fondo della Laguna in attesa di nuotare in superfice. Queste atmosfere si sono calate meste, non certo inedite,sul catafalco e dintorni mescolandosi con una sempre più pronunciata delusione sulle opere presentate.
I 24 film in concorso non hanno espresso un capolavoro indiscutibile. Sono fracassoni pellicoloni o smunti dichiarazioni di poesuccia che vengono dal borbottii di sopravvivenza di un cinema anni sessanta e settanta, gli anni delle macilente copie di modelli antoniani o della nouvella vague canuta o del cinema asiatico disperato, condannato a pestare nel mortaio di duelli e di sospiri lunghi come una lunga agonia.
Il problema vero, però, non è tanto questo quanto il clima generale della partecipazione. Sono spariti i partiti e i politici, tra gli ospiti; li hanno sostituiti ombre, manipoli di ombre,spesso spaesatissimi, che vanno, vengono, sparano mortaretti, e corrono via a gambe levate, per la paura (?). Permangono invece i nodi delle reti di ragno di quella strana congerie di rappresentanti mediatici di aree politiche portano le maschere del cinema.
Chi sono? Sono quelli di cui Muller sente, indicandolo, il respiro acido della rivalità. Organizzatori culturali vip, spettatori specializzati o avventizi, critici, docenti senza docenza, vecchi, giovani; personcine tutte perbenino che stanno nel cinema con mediocri sogni di potere. Direbbe il saggio Ermanno Olmi, ricordate il suo film “Il posto”: tutti in cerca di un posto o posticino,vista le carenza e i precariati anche affliggono il cinema e tutto lo spettacolo dopo i tagli finanziati praticati da ogni istituzione.Per difendersi da costoro, una minaccia che si fa sempre più pesante e rischia di confondere chi prenderà le decisioni di fondo della Biennale veneziana, non serve aprire le porte a una esagerata quantità di sezioni.
Anzi, è proprio questa caccia (o resa) alla quantità per non scontentare nessuno, che fa velo alla qualità. Soggetti vari- dalle reti generaliste tv o da apparati tv, dai canali digitali o satellitari, da film commission di qua e di là, eccetera, a organismi che spuntano come alien nel corpo grosso della Mostra- hanno trasformato, stanno trasformando la Mostra stessa in una vera e propria fiera della vanità, più che in un’occasione utile per farsi vedere, apprezzare, forse circolare. La vanità fieristica l’altro catafalco insieme alla fossa da cui dovrebbe fiorire il nuovo Palazzo del cinema. Punto. Adesso cominciamo a scegliere i film dopo il setacciamento della giuria presieduta da Quentin Tarantino. Un uomo dai molti volti. Un bastardo senza gloria. Il geniale regista di “Pulp Fiction”. Un genio, polpa e imprevedibilità.