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Scopriamo chi è Anton Corbijn, regista di The American

In arrivo forse a Venezia, The American è indubbiamente uno degli action thriller più attesi di quest’ultima parte dell’anno. Ma chi è questo Anton Corbijn, etichettato da molti come stilosissimo regista di culto ancor prima del suo esordio in sala? Già dalle prime voci sulla produzione di Control (2007), biopic dedicato a Ian Curtis, leader

pubblicato 26 Luglio 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 22:09

In arrivo forse a Venezia, The American è indubbiamente uno degli action thriller più attesi di quest’ultima parte dell’anno. Ma chi è questo Anton Corbijn, etichettato da molti come stilosissimo regista di culto ancor prima del suo esordio in sala? Già dalle prime voci sulla produzione di Control (2007), biopic dedicato a Ian Curtis, leader dei Joy Division, l’attesa per l’esordio cinematografico di questo eclettico artista nato nel 1955 a Strijen, in Olanda, era alimentata da una palpabile e diffusa curiosità, oltreché dei fan dei vecchia data, anche da parte degli stessi media, che aspettavano al vaglio il tanto atteso passaggio al cinema.

Del resto a dirigere, questa volta, sarebbe stato uno dei più influenti artisti della sua generazione, un fotografo prima di tutto, un grafico di successo poi (sua, tra le altre, la celebre copertina di The Joshua Tree degli U2), ma soprattutto l’autore di alcuni tra i videoclip più fortunati della storia della musica rock per artisti come Depeche Mode, U2, Nirvana, David Sylvian.

Il suo esordio cinematografico ad ogni modo non ha nulla in comune con quello di altri filmmaker che si sono fatti le ossa coi video musicali per poi passare al grande schermo, da David Fincher a Michel Gondry e Spike Jonze la lista sarebbe lunghissima. Corbijn, difatti, pur debuttando in un’arte fino ad allora mai frequentata, continua a rimanere nel mondo dei suoni che gli sono più famigliari, scegliendo di portare su schermo la tragica vita di Ian Curtis, morto suicida nel 1980, cui il regista è particolarmente affezionato: “I Joy Division sono stati il motivo che mi ha spinto a trasferirmi in Inghilterra all’inizio della mia carriera. Con Control dunque ho voluto chiudere quel capitolo della mia vita”. Ed è proprio The American – opera numero 2 e ½, se si conta il mediometraggio Linear, uscito insieme all’album degli U2 No Line On The Horizon – a inaugurare il nuovo corso della sua carriera. Girato tra la Svezia e l’Italia (nella provincia dell’Aquila post – terremoto), il film racconta la vita di un killer esperto nella fabbricazioni di armi che, volendo uscire dal giro, va a stare in un paesino abruzzese, fino a quando un passo falso potrebbe gettarlo nuovamente nel violento mondo da cui proviene. Dal periodo della scena post – punk, in cui collaborava con l’influente rivista New Musical Express, a qualche anno dopo, quando le sue foto venivano regolarmente comprate da testate come Vogue, Rolling Stone, Details o Entertainment Weekly, fino ai Novanta, in cui le sue competenze di grafico erano richieste per promuovere il lavoro dei nuovi giganti del rock, Corbijn è stato fedele ad uno stile originale e immediato, in grado di porre l’accento e rendere vincente ciò su cui prima non si sarebbe puntato neanche per idea.

L’importanza dell’opera di questo artista è confermata anche dalle innumerevoli mostre dedicategli in giro per il mondo, dall’apprezzamento dimostrato da buona parte della critica e dall’affetto di chi gli riconosce un atteggiamento – chiamatelo libero o, se preferite, intimamente rock – per cui non sussiste alcun confine tra le differenti arti. In attesa di sapere se riuscirà a passare la prova del fuoco di The American, il suo primo lavoro lontano dalla musica, recuperate Control e Some YoYo Stuff, celeberrimo cortometraggio – girato nel ’93 per la BBC – sul rocker e pittore statunitense Don Van Vliet, meglio noto come Captain Beefheart. Tra le decine e decine di videoclip di cui è autore è davvero difficile segnalarne soltanto qualcuno: di sicuro rivedendo ora quelli, a puro titolo di esempio, di Personal Jesus o One appare evidente quanto il suo lavoro abbia influito sull’immagine degli artisti coi quali ha collaborato.

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