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Festival di Cannes 2010: i commenti dei primi film in concorso

Il film più bello per ora al Festival di Cannes numero 63 è Inside job di Charles Ferguson, a leggere i giudizi e le recensioni dalla Croisette. Due cosette: è un documentario ed è fuori concorso. Se fosse finito in corsa per la Palma d’Oro (ma forse ci sarebbe voluto più coraggio per mettere in

pubblicato 18 Maggio 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 00:49

Il film più bello per ora al Festival di Cannes numero 63 è Inside job di Charles Ferguson, a leggere i giudizi e le recensioni dalla Croisette. Due cosette: è un documentario ed è fuori concorso. Se fosse finito in corsa per la Palma d’Oro (ma forse ci sarebbe voluto più coraggio per mettere in concorso un film senza peli sulla lingua, che attacca Wall Street ed indaga la crisi finanziaria e che per di più è piaciuto a tutti), avrebbe probabilmente vinto lui.

Eh già, perché a leggere i commenti della critica il concorso di Cannes 2010 non è affatto esaltante, soprattutto se comparato con le edizioni degli ultimi anni. Sarà per la mancanza di alcuni nomi di grandissimo richiamo? Forse, ma anche alcuni grandi hanno deluso. Fuori concorso le cose sono simili, con Woody Allen che continua a dividere ma con una schiera sempre pronta a sostenerlo, Oliver Stone per alcuni meglio del previsto, De Oliveira che o piace molto o annoia, Ridley Scott che raccoglie qualche applauso e poco più. Le sorprese? Draquila, il già chiacchieratissimo Kaboom di Araki (che qualche folle lo distribuisca, ve ne prego!), il Cristi Puiu di Aurora (tre rigorose ore di cinema rumeno).

Nell’Un Certain Regard delude il Nakata di Chatroom, divide tutto e tutti il Jean-Luc Godard di Film Socialisme (il regista ha dato forfait per “problemi di tipo greco” e per stanchezza), non esalta Carancho di Pablo Trapero. L’unico a mettere davvero d’accordo tutti è il magnifico Stephen Frears di Tamara Drewe, ovviamente fuori concorso.

Ma andiamo ora a vedere nel dettaglio l’accoglienza dei primi otto film in corsa per la Palma d’Oro. Trovate tutto dopo il salto.

Tourneé – Mathieu Amalric: è globalmente piaciuto, con una fetta però che non ha apprezzato. Per Le Monde “è un film di cui si sentiva un disperato bisogno”. Tutti pongono l’accento sugli attori più che sulla regia, a detta di alcuni comunque vitale e colorata.

Chongqing Blues – Wang Xiaoshuai: prima in Un certain regard, poi passato “di diritto” nel concorso ufficiale, il primo film orientale non ha scosso Cannes. C’è chi l’ha ovviamente trovato troppo lento, e nessuno ha urlato al miracolo. “Nulla di eccezionale” per l’Hollywood Reporter, “fin troppo prevedibile e scontato” per Mereghetti.

The Housemaid – Im Sang-soo: chi ha urlato al disastro, chi ha urlato al capolavoro. Forse sono di più i primi. C’è poi chi si è chiesto come il remake di Im sia finito nel concorso. Spulciando tra le critiche si ha l’impressione che sia stato accolto, nel bene e nel male, come un esercizio di stile.

Another Year – Mike Leigh: splendido, magnifico, “da vedere e rivedere in tutte le scuole di cinema” per Il messaggero. Sono pochi quelli che non hanno almeno apprezzato. Punta dritto alla Palma d’Oro, per ora.

La princesse de Montpensier – Bertrand Tavernier: tutti concordano nel dire che Tavernier ha lavorato benissimo nella ricostruzione della Francia di metà ‘500. Però difficilmente tocca corde emotive: “cartapesta emotiva”, l’ha definito El Mundo.

A Screaming Man – Mahamat-Saleh Haroun: il Ciad poteva rivelarsi la sorpresa del concorso, ma così non è stato. Il regista del bel Daratt delude le aspettative con un film fin troppo semplice, primitivo, anche se sincero. Ma c’è a chi è piaciuto molto.

Outrage – Takeshi Kitano: la più grande delusione del festival. Molta violenza e qualche sequenza già cult (si parla di un tostissimo trapanamento di denti e non solo…) non salvano il film dalla ripetitività e dalla mancanza d’ispirazione. Qualche fan accanito ha gradito, ma senza urlare al grande ritorno. Kitano di nuovo sulla via del canto del cigno?

Biutiful – Alejandro González Iñárritu: applausi e commozione per chi ama Iñárritu, irritazione come sempre per chi lo odia. Anche senza lo sceneggiatore Arriaga il regista divide la critica. L’Unità sottolinea però che forse “quello bravo era Arriaga e Iñárritu ha sbagliato mestiere”. Tutti concordi su una cosa: Javier Bardem si è già meritato il premio per la migliore interpretazione maschile.

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