A Serious Man – La recensione in anteprima
A Serious Man (A Serious Man) Regia di Joel e Ethan Coen. Con Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Adam Arkin, Aaron Wolff, Jessica McManus, Brent Braunschweig, David Kang, Benjy Portnoe, Jack Swiler, Andrew S. Lentz, Jon Kaminski Jr, Ari Hoptman, George Wyner, Fyvush Finkel, Katherine Borowitz, Steve Park, Amy Landecker, Allen Lewis
A Serious Man (A Serious Man) Regia di Joel e Ethan Coen. Con Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Adam Arkin, Aaron Wolff, Jessica McManus, Brent Braunschweig, David Kang, Benjy Portnoe, Jack Swiler, Andrew S. Lentz, Jon Kaminski Jr, Ari Hoptman, George Wyner, Fyvush Finkel, Katherine Borowitz, Steve Park, Amy Landecker, Allen Lewis Rickman, Raye Birk, Peter Breitmayer, Stephen Park, Simon Helberg, Alan Mandell.
Siamo nel 1967, nella cittadina di St. Louis Park in Minnesota. All’interno di una tranquilla comunità ebrea vive un omino al quanto ordinario di nome Larry Gopnik. Larry è un professore di fisica precario, marito affettuoso e padre presente ma nonostante i suoi sforzi tutto sembra remare contro la sua volontà. La moglie Judith lo abbandona per il collega Sy Ableman e la situazione lo costringe a trasferirsi, con il fratello disoccupato e un po’ disadattato, nelle stanze di uno squallido motel. I figli Danny e Sarah non fanno che complicare le cose, gli rubano continuamente soldi dal portafogli, chi per comprare marijuana, chi per un intervento di rinoplastica. Come se non bastasse uno studente di origini orientali cerca di corrompere la sua integrità per ottenere un voto sufficiente. Larry è così sconvolto da profondi dubbi esistenziale e, per ritrovare la sua autostima di uomo, cercherà aiuto nel modo migliore per un ebreo, rivolgendosi non a uno, bensì a tre diversi un rabbino.
I fratelli Coen dopo aver sfornato due gioielli tanto differenti quanto fortemente legati fra loro (Non è un paese per vecchi e Burn After Reading) si concedono un film (che qualcuno potrebbe definire minore) concentrando la loro attenzione sulle tradizioni, le passioni e le idiosincrasie del popolo ebraico americano e attingendo spunti a piene mani dall’immaginario legato agli anni Sessanta. Larry sogna infatti di trovare nelle parole dei rabbini un eco della parola di Hashem che lo aiuti a diventare un mensch, un uomo serio. Mentre fervono i preparativi del barmitzvah del figlio adolescente la moglie gli impone un divorzio rituale che possa permettere nuove nozze. Sebbene si sorregga su una fede incrollabile, Larry è un uomo vittima degli eventi, sempre travolto dall’impeto altrui, degno erede della figura letteraria dell’inetto di Italo Svevo, che non a caso condivide con i Coen una famiglia dalle origini ebraiche.
Il film si apre con un incipit ambientato in un tempo e in un luogo remoto, uno shtetl polacco, in cui uomo yiddish accoglie nella loro modesta casa un vecchio che la moglie crede morto da tempo e suppone sia un dybbuk, un’anima posseduta. Un salto temporale ci proietta oltre un secolo dopo in un ambiente completamente diverso ma che condivide il profondo senso ebraico che i Coen infondono al corpus del loro film. Non una scheggia estranea dal film ma un mezzo che serve a introdurre lo spettatore allo spirito del film e a facilitarne l’interpretazione (non certo immediata).
Come spesso accade nei film che trattano tematiche di questo genere l’arma più forte è quella dell’ironia anche se, in casi come questo, rischia di essere di difficile comprensione per motivi di lontananza culturale. Detto questo è necessario ricordare che i Coen non sono i prototipi dell’ebreo ortodosso e lo humour di tutto il film ruota attorno all’impossibilità di conoscere la verità o, meglio ancora, alla sua totale inutilità. Sebbenbe non ci siano punte sarcastiche degne del miglior Woody Allen, il A Serious Man è un film divertente e sofisticato che rischia però di non ammiccare troppo al pubblico in sala (sebbene questo elemento non sia necessariamente un difetto).
Meraviglioso, come spesso accade nei film dei Coen, il lavoro di casting che ha selezionato dei volti e dei corpi perfetti per ciascun ruolo, anche nelle loro connotazioni grottesche, Michael Stuhlbarg su tutti, e la confezione di ambienti, location e costumi per ricreare un’atmosfera anni sessanta degna di un quadro di Edward Hopper (basti pensare alla scena in cui la vicina prende il sole nuda in giardino).
Nel corso del film un personaggio si rivolge al protagonista dicendo “Siamo ebrei, quando le cose vanno male abbiamo il pozzo della tradizione da cui attingere”. Forse non si potrebbe descrivere meglio questo film con meno parole.
Uscita nelle sale: 4 dicembre 2009
Voto Carlo: 7
Voto Carla: 7
Voto Gabriele: 9