Berlino 2017: Felicité – recensione del film di Alain Gomis
Un viaggio nell’Africa contemporanea, lontana da rarefatti esotismi, tra musica e quotidianità di un luogo che per poco non travolge pure Gomis
Quando Felicité scopre che il figlio Samo è ricoverato all’ospedale a seguito di un incidente in moto si precipita in ospedale. La situazione non è delle migliori: il ragazzo è fuori pericolo ma necessita al più presto di un intervento, che però richiede una cifra non da poco. Felicité fortunatamente un lavoro ce l’ha ma non è sufficiente; è una cantante, ed infatti il film si apre con questo tripudio di suoni e immagini che raccontano l’Africa di oggi, il Congo per la precisione. Alain Gomis si serve di uno stile documentaristico per raccontare la storia di questa madre che si fa in quattro per amore del figlio, diventando, di riflesso, emblema di un Continente tutto.
Eh sì, da questa premessa non si scappa: Felicité è l’Africa e l’Africa è Felicité. Nessuna forzatura, sebbene si tratti di una chiave di lettura, non la sola ma certo la più pressante. Qua e là a Gomis sfugge un po’ la mano, tale evidentemente è il coinvolgimento in questa storia che però quasi nulla tace, ed in cui ci si limita per l’appunto all’osservazione. Messa da parte una costruzione spiccatamente drammatica, la macchina da presa si limita davvero a seguire l’evolversi della vicenda, tanto che per riportarci nell’alveo della finzione il regista non disdegna qualche nota poetica, á la Malick se vogliamo, con particolare riferimento al sogno ricorrente della protagonista, sempre ambientato di notte, quasi a fare da contraltare all’asfissiante e caotica luce del giorno che fa da sfondo alle sue vicissitudini.
In suo aiuto arriva Papu, il personaggio senz’altro più interessante: un tuttofare di cui non si sa nulla, men che meno cosa a priori lo leghi alla protagonista. Di lui sappiamo ciò che vediamo: la sera bazzica sempre lo stesso locale, si ubriaca come se non ci fosse un domani e si fa sbattere fuori, non prima di averle prese di santa ragione da persone che eppure lo conoscono; non di rado finisce diversamente, ossia con una donna, sempre diversa, accanto alla quale si sveglia il mattino dopo. Papu prende a cuore la situazione di Felicité e, senza dir nulla, comincia ad aiutarla; dapprima sistemandole (si fa per dire) il frigorifero, dopodiché facendosi proprio carico di lei e suo figlio.
Nel mezzo c’è un ventaglio di episodi che non si discostano poi molto dal cliché, da certa idea che si ha di un’area del mondo di cui si pensa di conoscere abbastanza ma in realtà si sa poco. Ogni cattiva inclinazione viene però compensata da gratuite manifestazioni di umanità, come a dire che pure in mezzo a tanta sofferenza, arretratezza e difficoltà, non solo è possibile che certe cose accadano ma che, anzi, sono proprio queste a riscattare un intero contesto. I personaggi sono per lo più funzionali ad messaggio del genere: il calamitante sguardo della protagonista è quello di un intero Paese, o per meglio dire di un intero popolo, forse addirittura di un luogo. Quel luogo, in senso geografico, che attira ma al tempo stesso conturba, se non addirittura spaventa. Ma c’è anche la parte giocosa, con un occhio al domani, che deve per forza immaginare essere diverso; questo è Papu, il quale però, malgrado un certo ottimismo, è talmente calato nel “qui e ora” da non sostenere la fatica, ed allora l’unica è andare altrove subito, grazie all’alcol o all’ennesimo amplesso senza nome.
Certo, è dura arrivare sino alla fine senza cedere di tanto in tanto, perché questo lavoro di Gomis è di quelli che di compromessi non ne vuole sapere, e questo gli va riconosciuto quale merito. Ciò non lo rende in automatico un’opera risolta in tutto e per tutto, anzi; che però sia profondamente imperfetta rientra nel suo fascino, suppongo, perché anche in questo riflette quel personaggio aggiunto che è l’ambientazione, vero protagonista di Felicité, e questo sì, proprio fuor di metafora.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
Felicité (Francia/Belgio, 2017) di Alain Gomis. Con Véro Tshanda Beya Mputu, Gaetan Claudia, Papi Mpaka, Nadine Ndebo, Elbas Manuana, Diplome Amekindra, Célestin Mokono, François Kasonga, Prince Mbasi, Ferdinand Minga ed Aziza Kengumbe.