Bruno: i commenti della critica
L’influenza ha colpito anche la redazione di Cineblog e la recensione di Bruno è in ritardo. Rimediamo proponendo alcuni estratti delle recensioni della carta stampata; a voi il film è piaciuto o no? Roberto Nepoti – La Repubblica: Qualcuno crede che Borat sia il film più bestialmente scorretto di tutti i tempi? Ancora non conosce
L’influenza ha colpito anche la redazione di Cineblog e la recensione di Bruno è in ritardo. Rimediamo proponendo alcuni estratti delle recensioni della carta stampata; a voi il film è piaciuto o no?
Roberto Nepoti – La Repubblica: Qualcuno crede che Borat sia il film più bestialmente scorretto di tutti i tempi? Ancora non conosce Brüno, dove Sacha Baron Cohen baratta i baffoni del macho reporter kazako con il viso e il corpo glabri di uno stilista austriaco gay deciso a diventare più famoso di Hitler. Anche Brüno va in America e non arretra davanti a nulla pur di guadagnarsi notorietà mediatica. Nel corso del film lo troviamo su un ring di catch circondato da sciami di omofobi; lo vediamo scambiare un bambino africano con un iPod e fare da mediatore nell’ eterno conflitto arabo-israeliano. A parecchi ha dato fastidio la nuova farsa a denti stretti di Baron Cohen: e proprio ai custodi del “politically correct” di cui il comico si fa beffe. Però è difficile negare due cose. La prima, che è divertente; l’ altra, che ridendo verde dell’ ossessione per l’ immagine e la mania del successo, il film ha anche una sua vena di moralità.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero: Il problema è che in Italia non percepiremo mai il vero sapore di questo finto mockumentary costruito come il precedente Borat, perché doppieremmo anche i passeri sugli alberi, figuriamoci Sacha Baron Cohen. E tanto peggio se così crolla il principio stesso del film. Per ridere davvero bisogna aspettare l’incredibile “danza del membro” che conclude il provino hollywoodiano di Brüno. Quello almeno è a prova di doppiaggio.
Alessio Guzzano – City: Il trucido giornalista kazako Borat mandava in tilt gli States: antisemita, razzista, maschilista e sessuomane per provocazione, stanava chi tutto ciò lo è davvero, all’ombra di educazioni e religioni ipocrite. Brüno è «il più famoso stilista di lingua tedesca, Germania esclusa», un bislacco gay austriaco che porta lo scompiglio nelle sfilate milanesi, va a cercare sconcia fortuna nella tv yankee, osa sedurre un senatore repubblicano, si becca un vaffa da Harrison Ford, adotta un baby nero barattandolo con un iPod rosso (edizione limitata), vorrebbe pacificare Israele, ma confonde gli homos con Hamas. Il tutto in forma di mockumentary, il finto (mock) documentario in cui gli intervistati e i testimoni di eventi fasulli danno il peggio di sé: immigrati messicani usati come sedie e casting imbarazzanti: «Vestirebbe sua figlia da nazista per farle gettare un bimbo ebreo in un forno?», «Se serve al suo film…». Baron Cohen è un ottimo performer che lancia scorrettissimi acuti divertenti: il corso di difesa dal dildo, la pornoseduta spiritica, Mel Adolf Gibson… Ma sono gag presto spente che lui rilancia buttandola sul ca… spinto. Nonostante i nobili ospiti canterini del finale, stavolta Sacha non è trasgressivo, è volgare. Una buffa anima in pene.
Michele Anselmi – Il Riformista: Confonde hummus (farina di ceci) con Hamas, frequenta istituti di bellezza anale, gira con improbabili completini di velcro terremotando le sfilate di moda, compra un orfanello nero con un i-Pod e lo immortala in foto sconvenienti, prova a rendersi eterosessuale ma la froceria è più forte di ogni “cura”. Ed è solo l’inizio. Ripescando il personaggio di Brüno, finto “fashionist” austriaco del finto programma “Funky-zeit”, il comico ebreo Sacha Baron Cohen pensava di ripetere il miracolo di Borat. Non è andata così. Negli Usa ha incassato appena 60 milioni di dollari: che la moda del “mockumentary” oltraggioso sia già finita? In più il doppiaggio inutilmente colorito di Pino Insegno, che altera battute e riferimenti, buttando tutto in caciara, non aiuta. Se nell’originale la reazione stupefatta di alcuni intervistati, incluso il senatore Ron Paul, sembra genuina, nella versione italiana si perde l’effetto, tutto appare costruito, quindi fasullo. Naturalmente, la storiella è solo un pretesto: perso il posto per i guai combinati a Milano, il maldestro Brüno, caschetto biondo e perizoma a vista, vola a Los Angeles per diventare la più grande star austriaca dopo Schwarzy e Hitler (?). Tra falli veri e falli di gomma, riti bondage e scambi di coppia, il film cita Cruise e Madonna, sputtana i “convertitori di gay” e inchioda una certa omofobia redneck. Non è questione di volgarità: proprio non fa ridere. La cosa migliore è la canzone finale in stile “We are the children”, con Bono, Sting, Elton John e altri che si prestano allo sfottò.
Maurizio Porro – Il Corriere della Sera: Baron Cohen non butta e non si nega nulla (si vede), è così scorretto che anche la volgarità in queste dosi diventa altro. Vuol guarire dalla gayezza, con momenti strepitosi nei colloqui con un pastore che somiglia all’ on. Brunetta. Poi l’ orgia etero, la scuola militare da Kubrick (uniforme ma con foulard), l’ arte marziale fatta con falli di gomma. Finale accoppiamento con l’ assistente sul ring tra folla omofobica: lo sposerà e canterà con Sting, Bono ed Elton John una canzone per la pace. Tra vero e falso – tenta anche di sedurre il senatore repubblicano Ron Paul – il film di Larry Charles, digeribile solo con una tonnellata di Maalox, esalta la fisicità autoctona di Cohen, il suo corpo glabro, moltiplicando le irriverenze di John Waters e attaccando tutto e tutti, anche i cosiddetti «tolleranti» nella confusione totale, amorale e grottesca della civiltà virtuale dettata dalla volgarità televisiva.
Davide Turrini – Liberazione: Sacha Baron Cohen non esiste. Di film in film è altro da sé, personaggio cinematografico in continua mutazione. Dal rapper Ali G. (2002), passando al chiacchierato giornalista kazako Borat (2006), fino al factotum austriaco Bruno protagonista del film omonimo. Attraverso l’espressività del suo corpo e del suo viso, Baron Cohen altera la figura dell’attore fino a sostituirla totalmente con la presenza fittizia del personaggio. La nuova icona Bruno, oltre ad essere il prodotto materiale finale di costumisti e truccatori del film, è soprattutto una creatura artificiale ritoccata, levigata, depilata, gonfiata e sgonfiata. Un mostro che ha fagocitato l’interprete, dopo Borat e Ali G., senza lasciarne traccia. (…) La comicità di Sacha Baron Cohen si arricchisce di un ulteriore innalzamento del possibile limite del senso del pudore, dove il politicamente scorretto si mescola con il non visto della sfera sessuale. In Bruno l’asticciola del consentito in materia di sesso si alza parecchio mostrando congegni meccanici fallici per dondolare neonati, una lotta uomo a uomo con dei dildo, alcune sequenze “operative” di un’orgia , un accoppiamento tra uomini ricco di aggeggi sadomaso. Non una rivoluzione in termini, ma ben visibili scherzetti adolescenziali di un ottimo conoscitore della pornografia di genere. A ciò va aggiunto l’elemento clou della messa in scena, la filosofia che soggiace all’intera operazione Bruno , come a quella di Borat. La ricerca di realismo mentre si falsifica il vero. Cioè la possibilità di farci credere che le situazioni impossibili che accadono, che le reazioni inconsapevoli di ipotetici passanti finiti per caso in mezzo alla gag del protagonista (su tutti quella in cui Bruno, vestitini ebraici osé, vicino al muro del pianto di Gerusalemme, viene quasi linciato da alcuni infuriati ebrei ortodossi) siano reali. Questa è la trovata teorica che fa del regista Larry Charles, in combutta con Baron Cohen e con il fidato montatore James Thomas, un originale, anche se non proprio eticamente apprezzabile, provocatore di sguardi verso lo schermo. Ricordiamoci sempre, ad ogni dubbio di realismo, che Bruno è un truffaldino gioco delle parti. Tanto che nel titolo la u va rigorosamente con la dieresi, come per la u di Universal che distribuisce.
Simone Emiliani – Film Tv: Brüno guarda in macchina. Tutto il film passa attraverso i suoi occhi e il suo corpo. Proprio come Borat. Anzi da lì si è reincarnato. Tra i due personaggi c’è una mutazione fisica notevole. Ma la sua anima, irriverente e scandalosa, è rimasta la stessa. Sacha Baron Cohen prosegue così nel suo trasformismo, quasi una sorta di “nuovo Fregoli”. Il makeup lo muta totalmente, i vestiti e il look eccentrici sono sempre in primo piano. (…) A dirigerlo c’è ancora Larry Charles, che vorrebbe farlo diventare una scheggia impazzita alla stregua di Tom Shadyac con Jim Carrey. Con una sostanziale differenza. L’attore di Ace Ventura e Bugiardo bugiardo, oltre alla mimica facciale e all’elasticità fisica, sprigiona un’energia devastante dove alla fine il comico e il tragico diventano due facce della stessa medaglia (come confermato nello struggente Andy Kaufman dello straordinario Man on the Moon). Sacha Baron Cohen ha anche delle grandi potenzialità ma la sua figura è già delineata nella maschera che porta sullo schermo. Può divertire, essere trasgressiva, ma dà l’idea di non evolvere mai e di ripetersi, nonostante qualche trovata gustosa: come quella dell’intervista, dove al posto delle sedie ci sono delle persone disposte a quattro zampe; di Brüno che canta la ninna nanna al bambino; o lo squarcio di Harrison Ford che manda il protagonista a quel paese. Il film, dunque, dopo una partenza a razzo, si sgonfia subito e risulta via via particolarmente dispersivo nella sua dimensione mockumentary. Poteva essere un graffiante ritratto del mondo della moda, come lo scatenato Zoolander. Ma la presenza di Sacha Baron Cohen è troppo ingombrante. Paradossalmente, di lui restano più impressi quei pochi minuti del barbiere Pirelli in Sweeney Todd di Tim Burton.