Festival di Roma 2009: I fratelli Coen e Todd Solondz
La sala è piena. Siamo lì, nella Sala Petrassi dell’Auditorium romano, per vedere uno dei film più attesi del Festival di Roma 2009, A Serious Man di Joel ed Ethan Coen, fuori concorso. Il film nel titolo indica come protagonista un “uomo serio” che è un tipo normale, persino troppo normale. Si tratta di un
La sala è piena. Siamo lì, nella Sala Petrassi dell’Auditorium romano, per vedere uno dei film più attesi del Festival di Roma 2009, A Serious Man di Joel ed Ethan Coen, fuori concorso. Il film nel titolo indica come protagonista un “uomo serio” che è un tipo normale, persino troppo normale. Si tratta di un film serissimo con larghe aperture all’ironia, anzi ad una satira staffilante.
Sono un seguace dei Coen e ne apprezzo la duttilità, le capacità, la precisione. Il loro film che preferisco, fra i molti che hanno realizzato, è “Blood Simple”, il primo lungometraggio da loro diretto. Adoro le opere prime quando sono fatte da persone di talento.
Questo “A Serious Man” è , ripeto, un film serio, serissimo, e curioso. Racconta di un prof di fisica che vive in una landa americana sperduta, ma con università, e con un paesaggio simile ai vuoti di spazio di Giorgio De Chirico. La moglie vuole divorziare e il prof entra in crisi.
Non starò certo a raccontare per filo e per segno in che cosa consiste questa opera ultima dei Coen, mi basterà dire che è un ritratto della società Usa dentro le comunità (le tribù) ebraiche. E’ un ritratto duro, disperato, con un parziale lieto fine, poiché mostra quel che è evidente, e vogliamo spesso ignorare. La fede, le religioni si imparano a memoria come una poesia a scuola, per obbligo; ma basta avere una radiolina con auricolare per non ascoltare le lezioni in ebraico e vivere felici (salvo poi a recuperare in sede privata), e scegliere la musica del nostro gruppo rock preferito.
Il film è un po’ troppo lungo, compiaciuto, sfiora in più punti la noia, ma ci propone un ebraismo meno disincantato e mondano di quello di Woody Allen. Fa pensare e anche un poco incazzare. I Coen potevano essere più generosi nel racconto.
E’, il mio, un giudizio negativo? Solo in parte. “A Serious Man” è una di quelle pellicole che sollecitano apparentamenti, garantiti solo dai festival (ed è una delle ragioni per cui è bene che esistano). L’apparentamento che mi è venuto da fare, e che propongo, dopo la proiezione, è con Life during Wartime di Todd Solondz, presentato alla recente Mostra di Venezia.
Mi era piaciuto di più questo film, anch’esso di ambiente ebraico, con una storia di una famiglia in profonda crisi appunto in tempi di guerra, come suggerisce il titolo, le guerre di Bush e del malessere che hanno creato e che ci portiamo dentro.
Solondz, come i Coen, presenta la sua gente – i suoi, i “ nostri” ebrei- come comunità perfettamente integrate nella “nostra” occidentale e capitalistica, ma sostanzialmente infelice, in bilico tra fede e disperazione: un impasto di involontaria follia che viene raccontata da registi ebrei (i Coen, Solondz) con una tale lucidità e capacità di conciliare satira e dolore.
Ho visto, nei due film, un gran bisogno di verità e di voglia di cambiare da parte di “diversi” che non lo sono più e che, mettendosi in scena con i loro difetti e le loro angosce, più che i loro pregi, ci invitano a pensare ad altri “diversi” che, con le loro religioni o fedi, non possiamo richiamare ad alcuna disciplina quale noi abbiamo creduto, e tentiamo di imporre, ma solo alla regola della comprensione. Insomma, andare ai festival- Venezia, Roma- può far bene.