Augusto Genina, al di là o al di qua delle nuvole
Alla Casa del Cinema di Roma, una iniziativa che arriva alla vigilia del Festival del Cinema. La capitale vive di pellicola e di incontri. E la produzione che fa? Langue? Ma lasciamo cadere per il momento i due interrogativi. Adesso vorrei, pardon, volare alto. Mi riferisco alla iniziativa: una Piccola Retrospettiva dedicata ad Augusto Genina,
Alla Casa del Cinema di Roma, una iniziativa che arriva alla vigilia del Festival del Cinema. La capitale vive di pellicola e di incontri. E la produzione che fa? Langue? Ma lasciamo cadere per il momento i due interrogativi. Adesso vorrei, pardon, volare alto. Mi riferisco alla iniziativa: una Piccola Retrospettiva dedicata ad Augusto Genina, organizzata dalla Associazione culturale Il Crogiuolo.
Una rassegna che mi ha fatto sentire un’esigenza. Quella di pretendere – ma chi lo farà?- una storia del cinema da scrivere, se ne fossimo capaci. Ho visto solo negli anni Sessanta “Cielo sulla palude” di Augusto Genina, realizzato nel 1949;ero troppo piccolo allora. Il film è su Maria Goretti. Fatto di cronaca del 1902. Ciò che di più mi impressionò, furono le nuvole in una terra malata prima della bonifica pontina. Bianco e nero. Nuvole basse, cieli bassi, albe e tramonti bassi. Bassa cronaca, basse passioni, basso delitto, bassa storia dopo tante basse storie di guerra (non solo la seconda guerra mondiale) lasciata alle spalle.
Da allora e soprattutto adesso, che sto cercando di capire meglio che cosa è accaduto davvero nel cinema del Novecento, le nuvole, i cieli, le storie basse mi sembrano condurre con i loro bianchi e neri verso percorsi tutti da studiare. Il cinema ha guardato molto spesso ai cieli, talvolta ci ha fatto il nido. Attendevano ore i registi e i tecnici, gli attori, per girare gli esterni, a caccia di luce. Lo hanno fatto documentaristi come Robert Flaherty e, più tardi, Joris Ivens.
Lo hanno fatto Sergej M. Ejzenstein, nella Russia della rivoluzione e anche dopo, passando per i “Lampi sul Messico”, e altri cieli che andò a cercare; o Leni Riefensthal, la regista di Hitler, che volle esaltare il nazismo volando nei cieli con la cinepresa aerea, tra nuvole gonfie di inni e di braccia tese, talmente tese da arrivare lassù; o Alessandro Blasetti quando, nel 1942 a guerra compromessa per l’Italia fascista e per l’alleato tedesco, andò a cercare visioni facendo “Quattro passi tra le nuvole”.
E poi lo hanno fatto i registi americani, ad esempio John Ford nel 1940 per raccontare la crisi americana del ’29 in “Furore”: fulmini di miseria, sotto le nuvole meravigliose della Oklahoma e della California; o John Ford e tanti registi di western a colpi di colt che risuonavano nel cristallo azzurro dei cieli sulle praterie. Per venire più vicini: anche Michelangelo Antonioni, nel 1995, ha girato un film dal titolo “Al di là delle nuvole”.
Forse, un segno di richiesta o di attesa per chiudere con le nuvole? Potrei continuare. La metafora che sto usando, partendo dalle sequenze indimenticabili di Genina, mi suggerisce che bisogna guardare meglio il cinema del Novecento, specie nella sua prima parte. Un cinema che cercava ostinatamente di dare corpo, magari per ordini superiori (le dittature, l’affarismo, l’illusionismo di terre promesse troppo basse per essere vere), a visioni che gonfiavano le nuvole scatenando piogge velenose.
La storia ci ha mostrato che talvolta, anzi spesso, il cinema da lassù ha dovuto atterrare, rovinosamente. Ieri le nuvole bisognava aspettarle con la cinepresa pronta, oggi le si può fare al computer comodamente. Ecco un primo punto: studiare il cinema, Genina, i suoi film fascisti e post fascisti può servire, per esempio a raccontare e a documentare visioni concrete, meno basse anche quando sembrano cercare fortuna dall’alto.