11° Far East Film Festival – Serata Inaugurale
Dove eravamo rimasti? Si era rimasti, all’incirca un anno solare orsono, nel bel mezzo dei festeggiamenti per la fine della decima edizione del Far East Film Festival di Udine, l’edizione della stella, della cifra tonda, che ha fatto incetta di una serie di numeri veramente impressionanti: 100.000 spettatori, in compagnia di più di mille accreditati.
Dove eravamo rimasti? Si era rimasti, all’incirca un anno solare orsono, nel bel mezzo dei festeggiamenti per la fine della decima edizione del Far East Film Festival di Udine, l’edizione della stella, della cifra tonda, che ha fatto incetta di una serie di numeri veramente impressionanti: 100.000 spettatori, in compagnia di più di mille accreditati. Non male, tenendo conto che la prima edizione del Festival si è svolta nella sala del dopolavoro ferroviario locale.
Come umanamente sperare di potersi superare ancora una volta? In fondo le infrastrutture sono quelle che sono, i finanziamenti per la cultura sono in costante e inesorabile discesa e una buona parte della critica parruccona continua a snobbare altezzosamente il FEFF, privando la manifestazione della meritata visibilità nazionale (di questo passo gli accreditati stranieri in qualche anno supereranno numericamente quelli italiani).
Eppure eccoli, ed eccoci, qui ancora una volta, rinfrancati dalla certa quanto infondata sensazione che anche quest’anno il FEFF sarà in grado di superare sé stesso. Tanti i motivi per sperare nell’ennesimo miracolo. Tra questi scegliamo un poker esplicativo costituito da Takashi Miike con il suo attesissimo Yattaman, campioni di incassi in patria che qui sarà il film di chiusura del Festival; Tony Jaa con Ong Bak 2, punta di diamante dell’agile focus dedicato al cinema d’azione muay thai; Kim Jee-woon, già regista di A Tale of Two Sisters e A Bittersweet Life, che accompagna il suo The Good, The Bad, The Weird, western ambientato in Manciura, omaggio dichiarato a Sergio Leone e strepitoso successo in patria; per finire, quindi, con l’anteprima italiana del film Premio Oscar come miglior film straniero, ovvero il giapponese Departures di Takita Yojiro.
Come base per costruire un Festival del cinema popolare asiatico non sembra poi così male.. Con queste premesse, quindi, ieri ha avuto luogo la serata inaugurale dell’undicesima edizione del FEFF, dove una consolidata e rassicurante routine – ritiro accrediti, buffet, corsa in sala, presentazione del Festival, prima visione su grande schermo della sigla – ci ha accompagnati alla proiezione dei primi due film di quest’anno.
Ong Bak 2, la cui regia è stata accreditata alla coppia di birboni Tony Jaa e Panna Rittikrai, è stato il degno filmone d’apertura: 94 minuti di Sagat urlanti si sono affastellati l’uno sull’altro sullo schermo per la gioia dello spettatore poco incline al cinema di concetto. Tony Jaa – nobile ragazzo reso orfano da un golpe militare, cresciuto e in cerca di vendetta nella Thailandia del 1500 – suda, sanguina, si incazza, cavalca elefanti, uccide coccodrilli, usa spade, nunchaku giganti, coltelli, gomiti e ginocchia per farsi strada verso il finale più strambo che un film d’azione abbia mai avuto. Non c’era d’aspettarsi niente di più e niente di meno da un regista che a metà della lavorazione se n’era scappato nelle jungla per placare lo stress. Se tutto va bene, il film farà la stessa fine del suo predecessore nominale Ong Bak (di cui peraltro non è un sequel essendo, appunto, ambientato 500 anni prima) e uscirà nelle sale italiane verso ferragosto, o in un altro di quei weekend in cui i cinema nostrani rischiano la desertificazione.
Incredibile dictu, il FEFF 11 non ci mette neppure un paio d’ore a regalare la prima sorpresa di questa edizione. Dopo Ong Bak 2, infatti, è la volta dell’adrenalinica commedia nera Crazy Racer scritto e diretto dal trentenne cinese Ning Hao. Prendete Guy Ritchie, togliete madonna e Vinnie Jones, portatelo a Pechino o in qualunque altra metropoli cinese, fategli girare un film con quel tanto di accortezza in grado di fargli superare le maglie della censura del celeste impero e, voilà, ecco a voi Ning Hao, vera e propria mosca bianca del cinema cinese continentale se ce n’è una. Crazy Racer è un film fulminante, divertente, ritmato, ben girato, montato, scritto e recitato, solido dall’inizio alla fine, e sostanzialmente rivoluzionario per quanto riguarda la cinematografia locale. Senza contare che si tratta di una pellicola decisamente esportabile. Una vera e propria inaspettata sorpresa.