In the name of the king – La recensione
In the name of the King (id). Di Uwe Boll, con With Jason Statham, Leelee Sobieski, John Rhys-Davies, Claire Forlani, Ron Pearlman, Burt Raynolds. In un medioevo fantastico, un contadino senza nome che tutti chiamano Farmer (il fattore) vede il figlioletto assassinato e la moglie rapita da una banda di creature assassine, i Krug, che
In the name of the King (id). Di Uwe Boll, con With Jason Statham, Leelee Sobieski, John Rhys-Davies, Claire Forlani, Ron Pearlman, Burt Raynolds.
In un medioevo fantastico, un contadino senza nome che tutti chiamano Farmer (il fattore) vede il figlioletto assassinato e la moglie rapita da una banda di creature assassine, i Krug, che hanno invaso il pacifico paese di Stonebridge. Questi esseri sono in realtà l’avanguardia dell’esercito comandato dal perfido stregone Gallian e dal duca Fallow che punta a soverchiare suo zio, Re Kondrad e usurparne il trono. Farmer, accompagnato da mago Norick e dal cognato Bastian, sfiderà i Krug per riconquistare il suo amore e liberare le terre di Ehb dal pericolo del male.
La domanda che nasce spontanea, sempre che si creda a quanto ha dichiarato la sua casa produttrice, è come abbia fatto Uwe Boll, universalmente considerato come un regista presuntuoso e senza talento, a raccogliere sessanta milioni di dollari per realizzare l’ennesima versione cinematografica di un noto videogioco, di cui sfruttarne commercialmente il marchio.
In questo caso Uwe Boll mette le mani nel mondo fantastico di Dungeon Siege ideato da Chris Taylor, realizzando un polpettone in salsa fantasy senza alcun guizzo registico in cui si può salvare solo parte del lavoro del cast tecnico (costumi, scenografie, location).
Uwe Boll, tedesco di nascita ma americano di adozione, ha costruito la sua carriera cinematografica proprio su numerose trasposizioni su pellicola di noti videogiochi; film che non hanno mai raggiunto risultati dignitosi in sala e che non sono stati in grado di incuriosire il pubblico nemmeno grazie alla notorietà che hanno per il loro passato videoludico (ultimo esempio uscito in sala in Italia è Postal, girato da Boll poco dopo In the name of the King).
Ancora una volta Uwe Boll dimostra di essere un mediocre mestierante senza classe, confezionando un’operazione che contribuisce una volta in più a confermare la sua candidatura al ruolo di peggior regista di sempre, con buona pace dell’anima candida di Ed Wood.
Non lasciatevi trarre in inganno dall’impatto estetico intriso di ogni stereotipo del genere fantasy, dopo poche scene avrete l’impressione di assistere a una puntata della serie televisiva di Sheena condita dai brani filmati che interrompono le sequenze di gioco nei moderni videogame da consolle.
La narrazione rasenta il minimo storico, la sceneggiatura sfiora la banalità manipolando gli elementi basilari dei classici della letteratura fantasy che erano già triti prima che il genere trovasse il suo capolavoro ne Il Signore degli Anelli. Uwe Boll si ispira in modo evidente proprio al film tratto da Tolkien da Peter Jackson, esasperando le riprese a volo d’uccello sulle cavalcate dei suoi protagonisti, travestendo centinaia di comparse con gli abiti dei Krug che sembrano i fratelli straccioni degli Urukai e riempiendo il film di location generate attraverso renderin digitali che forse dieci anni orsono già sarebbero stati considerati datati.
Incredibile il cast che Uwe Boll è riuscito a mettere insieme per questa folle avventura da sessanta milioni. Nei panni del protagonista Farmer c’è l’ex tuffatore olimpionico Jason Statham, ormai volto familiare per chi frequenta il mondo dei film tutto muscoli e niente cervello (anche se a lui si deve l’incredibile e iperadrenalinico Crank, un piccolo gioiello nel suo genere). Al suo fianco ci sono nomi come Ray Liotta, imbolsito e inguardabile nel ruolo di stregone malvagio, Ron Perlman, dal tempo del Nome della rosa è un contadino medioevale perfetto, Claire Forlani (definita da Boll una delle più belle donne del mondo), e il grande Burt Reynolds nei panni di Re Konrad. Un cast che non definirei di all stars, ma che per un film di seconda linea dovrebbe garantire un certo livello di aspettativa, ma la sceneggiatura avrebbe messo alla prova anche Lawrence Olivier.
Si salvano le meravigliose location dove è stato ricostruito il villaggio di Stonebridge, in una una riserva naturale a sud meridionale dell’Isola di Vancouver, in Canada. Difficilmente In the name of the King riuscirà ad appassionare gli amanti del fantasy, troppo banale, e quelli che invece hanno amato il videogioco, ovviamente manca l’interazione. Gli appassionati di buon cinema, infine, se già conoscono Uwe Boll, lo possono evitare.
Se pensate che sia troppo cattivo nei confronti di Uwe Boll, sappiate solo che nel 2009 ha vinto il Razzie Award come peggior regista grazie a tre film; Postal, Tunnel Rats e proprio In the name of the King.
Voto Carlo 4
Voto Carla: 4.5