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Valzer con Bashir: la recensione

Valzer con Bashir (Waltz with Bashir, Israele / Germania / Francia, 2008) di Ari Folman.Dopo Disengagement di Amos Gitai, un’altra opera sbarca al cinema per narrare della questione palestinese, e il suo regista è ancora una volta un israeliano. In molti hanno anche giustamente accostato, nel recensire Valzer con Bashir, la figura di Avi Mograbi,

16 Gennaio 2009 22:32

Valzer con BashirValzer con Bashir (Waltz with Bashir, Israele / Germania / Francia, 2008) di Ari Folman.

Dopo Disengagement di Amos Gitai, un’altra opera sbarca al cinema per narrare della questione palestinese, e il suo regista è ancora una volta un israeliano. In molti hanno anche giustamente accostato, nel recensire Valzer con Bashir, la figura di Avi Mograbi, interessante documentarista sempre di origini israeliane che negli ultimi due film ha detto la sua sull’argomento senza peli sulla lingua.

Se il film di Gitai ha narrato l’attualità terribile della guerra nella Striscia di Gaza, Mograbi con il suo ultimo Z32, visto in Orizzonti a Venezia, ha riflettuto sui giovani trasformati in macchine da guerra, raccogliendo le confessioni di un soldato israeliano. Tuttavia quello che ha colpito molta critica del film di Mograbi era senz’altro la sua natura di documentario, dai commenti in prima persona dello stesso regista alle maschere digitali (sempre diverse e a tratti inquietanti) messe addosso al soldato e alla compagna.

Ancora una volta da Israele arriva un documentario dalla forma insolita e che si rivela essere un gran bel film teorico. Valzer con Bashir, in concorso a Cannes l’anno successivo al Persepolis della Satrapi, come Z32 sembra a prima vista rinnegare in parte la sua natura di documentario, aprendosi in modo originale all’animazione sperimentale. E tuttavia il film di Ari Folman ragiona su un materiale di grande complessità, e la scelta di documentare sotto forma di animazione vince su molti fronti.

Valzer con Bashir inizia con un sogno, quello di un amico del regista: ogni notte l’uomo sogna 26 cani feroci che corrono verso casa sua. Affamati, terribili e terrificanti. L’uomo sa benissimo perché quei cani cercano lui, visto che fu costretto, durante la guerra in Libano nel 1982, ad ucciderne proprio 26 per non far scoprire la propria truppa ai nemici. Da questo ricordo altrui Ari Folman inizia a pensare ai suoi ricordi personali di quel periodo: che praticamente non esistono.

C’è solo un’immagine indelebile nella mente, e si tratta di Folman assieme a due amici che fanno il bagno in mare, nella notte illuminata costantemente dai razzi al fosforo, a Beirut. Folman inizia così una ricostruzione a mosaico della guerra vissuta in prima persona, tra ex-soldati e amici che sono rimasti a fianco a lui in quegli anni, tentando così di ricostruire la sua storia, scavando in una memoria che sembra prima cancellare e poi modificare, se non ricostruire con fantasia in gran quantità la materia vissuta.

Che il documentario inizi con un sogno è già un appunto da non trascurare. Il viaggio di Folman non è quello di un racconto che si attiene alla realtà in senso stretto, ed è curioso il fatto che su nove interviste due siano appunto totalmente inventate, ma si apre coraggiosamente al sogno, all’incubo e al surreale, accompagnato dalla meravigliosa musica di Max Richter e Aviv Aldema. Se l’orrore e il trauma hanno avuto la potenza di modificare il ricordo di quella realtà, ogni persona ha reagito a modo suo: c’è ad esempio chi si ricorda che, dopo aver vomitato su una nave dove esplodevano le note di Enola Gay, ha nuotato piacevolmente con un’enorme e bellissima donna nuda. E alcuni massacri sono rappresentati con scenette dal gusto ironico, mentre le musiche che si sentono sono quelle nazionaliste.

La rielaborazione della realtà da parte del singolo che ha vissuto la guerra e il tema della memoria sono già due motivi abbastanza validi per permettere a Valzer con Bashir di usare la tecnica dell’animazione, tra 2D, animazione Flash e un mix di altre varie tecniche, con un risultato estetico finale interessante e non banale. Ma Valzer con Bashir va oltre, e nella sua natura di cinema teorico fa coppia negli intenti con Redacted di Brian De Palma, con il quale non condivide solo il finale.

Come De Palma, Folman ha una materia incandescente tra le mani: ma è innanzitutto un regista, e come tale è ben conscio che manipolerà comunque la realtà e il materiale documentario a disposizione. I due registi hanno reagito con due progetti entrambi estremi: De Palma ha diretto un mockumentary più vero del vero, Folman un documentario d’animazione. Si ritorna inevitabilmente all’immagine, e di conseguenza anche all’atto di vedere. Lì dove il senso di colpa faceva sì che McCoy ammettesse lo stupro commesso dai compagni in Redacted, in Valzer con Bashir si capisce ancora una volta quanto in guerra non conti affatto solo il “partecipare”: guardare e non (poter) fare niente non vuol dire infatti non partecipare, anzi.

E quando finalmente, verso la fine, Folman capirà il perché non ricorda nulla del Libano e del perché la sua mente ha solo una minima sequenza colorata col fosforo, ecco che il documentario può fare il suo lavoro con una coscienza in più. Dopo aver ragionato sul potere del cinema e dell’immagine, e del senso di colpa che colpisce tutti, soldati, politici e spettatori, partono le immagini reali, quelle che le macchine da presa hanno ripreso in Libano. Morte, sangue, distruzione: proprio come in Redacted, la follia si è ancora una volta rivelata, togliendo la sua maschera.

Valzer con Bashir interroga così in prima persona lo spettatore, che dopo il corto circuito ancora una volta creato dal finale non sa come reagire. Da questo scaturisce anche l’intento pacifista di Folman, che mostra gli effetti del massacro di Sabra e Chatila dopo averli cercati nella memoria per un’ora e mezza. Non solo quindi Gaza, vista anche l’attualità della situazione, ma ogni guerra che (non) si rispetti: e per evitare che la memoria debba ancora viaggiare con la fantasia per coprire sensi di colpa e immagini agghiaccianti, per evitare a giovani ragazzi di trasformarsi in automi assassini. E, soprattutto, per non dimenticare mai.

Voto Gabriele: 9
Voto Carla: 8.5

Festival di Cannes