26° Torino Film Festival – Settima giornata, 24 City e Vittorio De Seta
Uno si sveglia la mattina, lancia uno sguardo cisposo fuori dalla finestra e nota nuvole grigie e cariche di neve; quindi guarda meglio, tentando di riacquistare un po’ di lucidità post sonno, e nota che le nuvole stanno effettivamente scaricando tutto il fardello di neve che si portavano appresso. Neve sul TFF, quindi, e ringraziamo
Uno si sveglia la mattina, lancia uno sguardo cisposo fuori dalla finestra e nota nuvole grigie e cariche di neve; quindi guarda meglio, tentando di riacquistare un po’ di lucidità post sonno, e nota che le nuvole stanno effettivamente scaricando tutto il fardello di neve che si portavano appresso. Neve sul TFF, quindi, e ringraziamo Nanni il gufo per aver montato dei previdentissimi e iellatissimi gazebo al di fuori del cinema Massimo.
Il Festival di Torino è agli sgoccioli e stasera, per l’appunto, verrà presentato l’ultimo film del Concorso ufficiale, il tedesco “Mein Freund Aus Faro” che si spera abbia la forza di rinvigorire la competizione dopo la spenta giornata di ieri, pasata in compagnia di drammoni famigliari e gemelli francesi in calore.
È di ieri mattina anche la riproposizione di una pellicola che la competizione ufficiale, invece, l’ha vissuta in maggio a Cannes. Stiamo parlando di 24 City, del giovane e leonino cinese Jia Zhang-Ke. A Cannes l’invito in concorso la scorsa primavere è sembrato un’operazione politica e capricciosa, tesa soprattutto a levare da sotto il naso il film a Marco Muller. I soliti dietrologi, si dirà. I soliti francesi, risponderemo. Fatto sta che Jia, dopo il sorprendente Leone d’Oro ottenuto con “Still Life” tre anni or sono, ha ottenuto la definitiva e insindacabile affermazione internazionale vivendo le gioie e i dolori della Croisette.
E, con molta e ingenua sincerità, rispettiamo moltissimo l’autore della Cina continentale, che è riuscito a mantenere la necessaria integrità per affacciarsi al Concorso ufficiale del maggior Festival del cinema mondiale senza per questo scendere a compromessi. La sua vis cinematografica, la sua passione, il suo impegno e la sua costante (e per certi versi innovativa) ricerca poetica è rimasta sempre la stessa, attraversando alti (o altissimi: “Still Life”) e bassi (o bassissimi: “Shijie – The World”).
“24 City” riesce nel difficile intento di aggiungere un’altro ottimo tassello al mosaico della complessa, seppur giovane, cinematografia di Jia. Si tratta, coerentemente con i lavori precedenti, di un ibrido fra fiction e documentario incentrato sulla dismissione di una fabbrica militare nel sud della Cina, a Chengdu, in favore della costruzione di una nuovissima e moderna cittadella di servizi e abitazioni, che verrà chiamata, appunto (in onore di un’antica poesia cinese), Città 24.
Jia raccoglie con tatto le storie di chi per una vita è vissuto in funzione della fabbrica; in Cina, per quanto riguarda i complessi industriali maggiori, si vengono a creare vere e proprie cittadine che esistono in relazione alla fabbrica. Le famiglie degli operai vivono lì, i figli frequentano le scuole lì e immancabilmente finiranno col prendere il posto di lavoro del genitore.
Nel film si alternano, con confini molto labili e difficilmente riscontrabili, le testimonianze di cinque operai legati alla storia degli ultimi 50 anni della fabbrica e del paese, e fittizi monologhi recitati da tre attrici, che si concentrano su tematiche affini ma più strutturate. A questo progetto ha partecipato anche la splendida Joan Chen, che per la donna protagonista del suo monologo ha scelto il nome di un personaggio, Piccolo Fiore, da lei interpretato nell’omonimo film (“Little Flower”) del 1979.
Altro grande evento ospitato nella giornata di ieri è stato l’intimo incontro del maestro Vittorio De Seta con il suo pubblico, prima della presentazione della versione restaurata dalla cineteca di Bologna di uno dei suoi capolavori, Diario di un Maestro, storia di un insegnante alle prime armi lanciato nella fossa dei leoni di una classe di scalmanati e deliquenti delle borgate povere romane, a Tiburtino III. L’incontro, duranto mezz’ora e avvenuto nella seconda, piccola, sala del cinema Massimo, è stato presentato dal presidente del Torino Film Festival e dal direttore della cineteca di Bologna. La chiacchierata, molto piacevole e rilassata, si è incentrata soprattutto sul racconto delle grandi dificoltà tecniche incontrate, e aggirate, da De Seta e dalla sua piccola troupe per riuscire a tirare fuori il meglio da quei sedici ragazzini di borgata.
Le parole di De Seta che più sono rimaste impresse sono quelle riguardanti i suoi collaboratori. Il regista palermitano, infatti, divide umilmente gli onori con diverse figure che hanno partecipato alla realizzazione della pellicola: inanzitutto i sedici ragazzini e il magnifico Bruno Cirino, il quale in questa occasione è veramente riuscito a dare un senso alla parola attore; quindi l’importante aiuto del tecnico del suono, in grado di cogliere tutti la naturali evoluzioni della situazione in presa diretta nonostante la situazione alquanto scomoda; e ultimo, ma non per imp0rtanza, il fondamentale apporto del direttore della fotografia Luciano Tovoli, già collaboratore di Michelangelo Antonioni, qui costretto a muoversi in spazi angusti, in un set completamente improvvisato, così come totalmente improvvisati e naturali sono gli eventi narrati nelle 2 ore e 15 minuti, versione cinematografica tagliata rispetto ai 270 minuti dell’edizione televisiva. Sì perchè, vogliamo ricordarlo abbastanza chiaramente, “Diario di un maestro” è un lavoro per la televisione commissionato a De Seta agli inizi degli anni ’70. Altri tempi.