Torino Film Festival 2008 – Seconda Giornata con Bi-Mong (Dream) di Kim Ki-Duk
Il Torino Film Festival procede spedito e con sicurezza, giocandosi già nel pomeriggio della seconda giornata uno degli assi di questa edizione, ovvero l’incontro fra il direttore del Festival Nanni Moretti e il protagonista di una delle tre retrospettive, probabilmente la principale sicuramente la più seguita dal pubblico, Roman Polanski. Inutile dilungarsi sull’incontro in sè,
Il Torino Film Festival procede spedito e con sicurezza, giocandosi già nel pomeriggio della seconda giornata uno degli assi di questa edizione, ovvero l’incontro fra il direttore del Festival Nanni Moretti e il protagonista di una delle tre retrospettive, probabilmente la principale sicuramente la più seguita dal pubblico, Roman Polanski.
Inutile dilungarsi sull’incontro in sè, in molti ne hanno già scritto e bene, ma è interessante segnalare che la fila per partecipare all’evento ha raggiunto lunghezze piuttosto ostiche; gli appassionati giunti in coda con soltanto, si fa per dire, un’ora di anticipo, sono rimasti ampiamente con un palmo di naso non riuscendo a entrare in sala. Un bel risultato per l’autarchico Nanni, che sembra così in grado di ripetere l’exploit di pubblico (e di entrate) verificatosi l’anno passato.
L’effetto mediatico e la presa sul pubblico del regista/direttore romano, dunque, rimangono intatti, nonostante la direzione del Festival sembri trovare piacere nello scovare ogni anno una sala cinematografica diversa ove ospitare le proiezioni eccedenti. Quest’anno è il turno del Nazionale, bisala vecchio stampo, possibilmente una delle pochissime sale così vecchie ancora in piedi in Italia. Qui ha avuto luogo la prima, per il Festival, del nuovo film di Kim Ki-duk, “Dream”.
Dovete portare pazienza, ma dopo una nottata di riflessioni non è stato possibile giungere a conclusioni sensate riguardanti questo film; fondamentalmente la sensazione predominante rimane quella di avere assistito a un grandioso tonfo, giusto per non citare le sovraesposte, ma sempre saggie, parole del ragionier Fantozzi. Rimane il sentore di aver testimoniato di sottecchi al bloccarsi degli ingranaggi cinematografici di Kim, che sembra non riuscire in alcun modo a tirarsi fuori dalla spirale di involuzione in cui è incappato.
“Dream” è un caotico pastiche allegorico, in cui Odagiri Joe e Lee Na-young tentano di tutto per non cadere addormentati per evitare che i sogni di Odagiri diventino realtà, arrivando persino ad autoflagellarsi, scordandosi di passare attraverso il caffè e il guaranà. Il gelo in sala sullo scorrere dei titoli di coda è come un macigno sulla cinematografia del regista sudcoreano che, nonostante il sussulto di “Soffio”, è in costante discesa qualitativa e di consenso.
Continua invece con ottimi risultati la restrospettiva sulla British Renaissance. Ieri, tra i molti altri, sono stati proiettati anche “Rude Boy”, in cui i Clash interpretano sè stessi, “Jubilee”, selvaggio esempio di cinema anarchico e punk di Derek Jarman, e lo sceneggiato televisivo censurato dalla BBC alla fine degli anni ’70 “Brimstone & Treacle”, capolavoro di scrittura e humor ai limiti del consentito dalla legge ideato e scritto dal misconosciuto Dennis Potter, a cui è stata dedicata una mini personale. La retrospettiva inglese, ideata e assemblata da Emanuela Martini, continuerà a imperversare anche nelle prossime giornate del Festival per la gioia degli appassionati.
Sui nastri di partenza anche il Concorso ufficiale dei lungometraggi, destinato a pellicole di registi al massimo alla loro opera terza. Due pellicole molto diverse tra loro hanno dato il via alla competizione nella serata di ieri. Da un lato la trentenne belga francofona Fien Troch ha presentato il suo secondo lungometraggio, “Non-dit”, un ostico dramma famigliare che tiene fede al titolo e procede per silenzi più o meno significativi. Dall’altro la sperimentazione del lungo d’esordio degli inglesi Christine Molloy e Joe Lawlor (già coregisti di cortometraggi di successo in patria), “Helen”, accolto con favore altalenante dal pubblico in sala, che narra le vicende della donna del titolo, la quale si rende disponibile per indossare i panni di una ragazza scomparsa, Joy, e aiutare le forze di polizia nella ricostruzione dei suoi ultimi spostamenti.