I Cultissimi di Cineblog: La Grande Abbuffata di Marco Ferreri: foto e recensione
La grande abbuffata (La grand bouffe, Francia Italia 1973) di Marco Ferreri con Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Philippe Noiret, Marcello Mastroianni, Andrea Ferreol.Quattro amici dell’alta borghesia parigina – Philippe, un giudice (Noiret) che vive ancora con la possessiva balia, Ugo uno chef (Tognazzi) in crisi con la moglie, Marcello un pilota di linea (Mastroianni) sessuomane
La grande abbuffata (La grand bouffe, Francia Italia 1973) di Marco Ferreri con Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Philippe Noiret, Marcello Mastroianni, Andrea Ferreol.
Quattro amici dell’alta borghesia parigina – Philippe, un giudice (Noiret) che vive ancora con la possessiva balia, Ugo uno chef (Tognazzi) in crisi con la moglie, Marcello un pilota di linea (Mastroianni) sessuomane ma ormai impotente e Michel un produttore televisivo (Piccoli) decisamente annoiato – decidono di rifugiarsi in una villa alle porte della capitale francese per quello che all’apparenza potrebbe sembrare un tranquillo weekend di bagordi.
In realtà il quartetto di goliardi ha organizzato un suicidio multiplo in grande stile; gli amici, di comune accordo, hanno deciso che mangeranno fino a morirne. E come immaginare una morte migliore di quella causata da un’overdose di manicaretti di un cuoco della Parigi bene? Marcello qualcosa da ridire la trova: mancano le donne.
Vengono opzionate, quindi, tre prostitute, a cui si aggiunge una rispettabile maestrina di una vicina scuola elementare, invitata da un sognante Philippe. Andrea, la maestrina, si trova immediatamente a proprio agio nell’atmosfera di convivialità creata dai quattro ospiti. Anzi, col passare del tempo la donna intuirà le intenzioni dei morituri e, lungi dal fuggire disgustata, con grande connivenza si trasformerà in perfetta entreneuse, accompagnatrice e aiutante, allietando le ultime ore dei quattro amici.
I Cultissimi di Cineblog La Grande Abbuffata di marco Ferreri: foto e recensione
Ecco che ancora una volta, e per fortuna, si ripresenta la sovrapposizione fra film di culto e capolavoro assoluto della storia del cinema. E non è un caso che il protagonista di questa felice identità sia Marco Ferreri. Il regista originario di Milano, infatti, appartiene alla rada schiera di autori che si sono affermati sia come cineasti di culto assoluto e sia, ancor più rilevante, come autori di indispensabile importanza all’interno della secolare storia della settima arte. Un autore fondamentale Ferreri, capace di disseminare i suoi lavori, le sue elucubrazioni come ordigni esplosivi nell’arco di tutti gli anni sessanta e settanta. Sganciando, peraltro, due bombe atomiche proprio a cavallo dei due decenni: nel ’69 “Dillinger è Morto”, nel ’73 “La Grande Abbuffata”.
Ed è quantomeno singolare che proprio Ferreri sia stato fra i pochi ad assurgere a questo status privilegiato. Proprio lui che nel periodo più florido della sua forza creativa, della potenza e dell’attualità del suo immaginario, veniva costantemente vessato dalla censura. E quando si scrive costantemente si vuole intendere sempre. Tutti i film di produzione italiana di Ferreri sono stati assurdamente e barbaramente mutilati, scempiati, rovinati. E se non era la censura a mettersi di mezzo significava che ci aveva ben pensato a monte il produttore a sfasciare il film. “L’uomo dei cinque palloni”, film risalente al 1965, fu abbastanza brutalmente ferito a morte dal produttore Carlo Ponti, che lo scorciò a tal punto da riuscire a inserirlo in un film a episodi (“Oggi, Domani, Dopodomani”). Per la cronaca gente, Carlo Ponti è lo stesso illuminato produttore che nel ’63 decise di privare la popolazione italiana di un capolavoro come “Il Disprezzo” di Godard, rimaneggiandolo fino a renderlo irriconoscibile. Come dice Philippe Noiret all’ambasciatore cinese: “Timeo Danaos atque dona ferentes”, temo i greci e i loro doni.
Ci sarebbe molto altro di cui parlare a proposito de “La Grande Abbuffata” e del genio iconoclasta di Ferreri (peraltro parzialmente sdoganato anche agli occhi del grande pubblico grazie alla scorsa edizione del Festival di Torino che propose una magica proiezione di “Dillinger è Morto” presentata da Michel Piccoli), ma, come direbbe il più scafato e fastidioso dei presentatori televisivi, il tempo è tiranno.
Amerei quindi concludere questo pezzo allineandomi alle parole dell’ottimo Andrea Bruni, che dalle pagine del suo blog, parlando di questa pellicola, si sofferma sui quattro magnificenti protagonisti. Dovete sapere che Noiret, Piccoli, Mastroianni e Tognazzi rappresentavano, nel ’73, l’apice indiscusso del gotha attoriale europeo. Ebbene, questi quattro performers in questa pellicola offrono i propri corpi a Ferreri, come soldati di trincea, regalano i loro chassis di divi incontrastati a un artista che ne farà polpette, che li farà morire di gelo, di aerofagia, di indigestione, di diabete. Un plauso a loro, simboli pulsanti di una volontà artistica che non esiste più.
“E Tognazzi […] la sua morte, rantolante e goduriosa, la sua morte, con Noiret che lo ingozza di “patè” e la Ferreol che gli fa una sega piangendo, credo che sia una delle scene più toccanti della storia della cinema.”