Sweeney Todd: recensione in esclusiva da Los Angeles
Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street (Sweeney Todd: The Demon barber of Fleet Street – U.S.A. 2007) di Tim Burton con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen, Laura Michelle Kelly, Timothy Spall, Anthony Stewart Head, Jamie Campbell Bower, Anthony Head. Uscita in Italia: 22 febbraio.Una nave mercantile si muove
Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street (Sweeney Todd: The Demon barber of Fleet Street – U.S.A. 2007) di Tim Burton con Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen, Laura Michelle Kelly, Timothy Spall, Anthony Stewart Head, Jamie Campbell Bower, Anthony Head. Uscita in Italia: 22 febbraio.
Una nave mercantile si muove con lentezza seguendo il lento fluire del fiume. Attorno l’atmosfera è plumbea. Sul ponte della nave si affaccia un personaggio dall’aspetto alquanto bizzarro: Johnny Depp. Una nave e Depp acconciato in maniera eccentrica. Sembra quasi che il bravo attore stia giocando ad autocitarsi. Ma no, non ci troviamo nell’ennesima puntata dell’estenuante quanto mediocre saga dei carribean pirates.
Ed è lo stesso Depp a mettere in chiaro la cosa. I tempi sono cambiati. E’ tempo di rischiare (e, data la sua carriera, fatta di scelte spesso difficili – vedi il superbo Ed Wood – non è certo una novità). Ecco quindi un primo, pallido accenno di ciò che sarà l’intero film. Depp osserva Londra filtrare attraverso la nebbia, e con un misto di sincera nostalgia e rabbia intona la prima canzone del film, la bellissima No place like London.
Alcuni mugugni in sala mostrano che non tutti erano preparati alla visione dell’ultimo, coraggioso racconto gotico di Tim Burton. Forse qualcuno s’aspettava le atmosfere delicate di un Big Fish o favolistiche di un Charlie e la fabbrica del cioccolato. Chi era entrato con questa idea se ne sarà andato via dal cinema indignato. O magari (ipotesi alquanto remota) positivamente meravigliato.
Ma anche per chi era preparato, il colpo non è semplice da assorbire: le atmosfere sono malsane, vittoriane al midollo (l’unico paragone possibile è quello con From Hell dei fratelli Hughes, peraltro ottimamente recitato da Depp stesso) e benissimo ricostruite (dagli italianissimi Ferretti e Lo Schiavo); e questo è un segno tutto burtoniano. Ma è l’invadenza delle musiche e delle parti cantate che potrebbe far sorcere in naso. In effetti il rischio era evidente: cadere nel pacchiano era facile possibilità, anzi per alcuni (leggi Luhrmann e Taymor) l’unica possibilità.
Ecco perchè questa è l’opera più coraggiosa di Burton. Una scommessa vinta alla grande, almeno dal punto di vista della qualità artistica (il mezzo flop al botteghino magari verrà attutito dai Golden Globes, se l’effetto delle numerose recensioni positive si farà sentire, pur in una lotta tra grandi che vede coinvolti anche i fratelli Coen col loro straordinario, classicissimo No country for old men).
Coraggio, si diceva. Certo, Burton non si è lanciato nel buio (alle spalle del suo film c’è un acclamato spettacolo di Broadway), ma è anche vero che per questo film ha dovuto in parte riscrivere il suo manuale del far-cinema. Trasportare in un musical la sua poetica non era cosa semplice, ed infatti, anche ad un’analisi tecnica, si nota come il regista abbia accolto di buon grado alcuni stilemi di genere (scelta peraltro necessaria, come detto): la camera non si limita ad inquadrare, ma avvolge gli attori, seguendo le liriche, enfatizzandole e divenendo tutt’uno con la scena. Probabilmente una scelta dettata anche dalla voglia di far sentire la sue presenza ad attori che, pur grandi, erano alla prima prova canora.
L’intento è stato perfettamente realizzato, perchè oltre a coinvolgere lo spettatore, questa tecnica dona un calore particolare all’intensa performance di Depp e di una straordinaria Helena Bohnam Carter. Un calore che ha l’olezzo attraente del sangue che sgorga copioso da una gola. Perchè è questo il secondo segno del coraggio di Burton nel girare questo film: Sweeney Todd calca la mano ove Burton in passato aveva soltanto timidamente posto piede, forse per pudore: la violenza.
In effetti qui si inaugura un nuovo entusiasmante filone filmico (che conosce piccoli grandi predecessori in alcuni filmarelli horror degli anni 70): il musical gore. Il sangue scorre copioso, ma non è solo quello. Aleggia un senso di morte e di malsano, che nel sangue trova solo la sua evidente e necessaria conclusione. Una valvola di sfogo per un gore che è nella trama, nei valori di segno negativo che i protagonisti ci propinano (Never Forget Never Forgive, recita l’esemplificativa frase di lancio del film) e nella nefandezza degli intenti. Non vi sono personaggi puliti, ed anche coloro che potrebbero apparire mossi da umanità nascondono nel loro segreto brame e desideri tutt’altro che candidi. Se si esclude forse il giovane che arriva a Londra con Todd, e che in definitiva è il personaggio meno interessante del plot.
Ovviamente questi sono solo discorsi pseudo filosofici. A noi interessa la carne. Quel che conta è quel che si vede (come il primo Peter Jackson, un esegeta dello splatter, disse una volta): e quel che si vede è un fiume di sangue che corre lungo tutta la seconda parte del film, fino ad apici quasi insostenibili (ed il rated R nasce da qui). Qui si tratta la carne come solo gente del calibro Romero, o peggio il capolavoro inguardabile Cannibal Holocaust, avevano fatto prima (davvero qui avrebbe trovato la sua gioia Jess Franco). Carne da macello, carne da torta. Fornita con grande generosità dalla pasticciera del piano di sotto e degustata in generose porzioni da ignari astanti. Nessuna nefandezza ci viene, giustamente, risparmiata.
L’insieme però, è bene ribadirlo, non perde mai neanche un briciolo di coerenza narrativa e formale. Anzi, il fatto stesso che gli attori cantino invece di recitare le battute aiuta a creare un senso di straniamento che colloca le vicende su di un piano di verosimiglianza che non ci si aspetterebbe da un prodotto del genere. E che spaventa ed attrae al tempo stesso. Ecco perchè potrebbe capitare che nel mezzo di uno smembramento vi venga da sorridere. Un sorriso creato dal contatto empatico con quel che accade sullo schermo, assolutamente non dalla pochezza del contesto (come accade invece rivedendo vecchi film horror un tempo ritenuti spaventosi).
Un’opera difficile, quindi, ma mai pesante. Anche grazie alla recitazione in stato di grazie dell’intero cast, reso ancor più prezioso dalla presenza di Borat Sacha Baron Cohen che dimostra di essere bravo anche smessi i panni del giornalista kazako (o della rapper Ali G o del gay Bruno, se è per questo), recitando in un esilarante misto italo-inglese che sarà difficile da rendere con il dovuto onore nel doppiaggio italiano (ma sono pronto a scommettere che il doppiaggio italiano sarà scandaloso per tutti i personaggi).
Tim Burton è un autore che da sempre ha abituato gli spettatori dal palato fine a ricette nuove e gustose, ma qui, secondo il mio giudizio, si supera abbondantemente, arrivando dove forse neanche lui riuscirà più a tornare (ma Alice in Wonderland arriverà probabilmente a smentirmi). Un prodotto d’alta sartoria, per quanto (e forse perchè) eccentrico. Di sicuro non v’è niente di simile in giro, per cui farsi sfuggire un gioiello di tale valore sarebbe un delitto. Altro che Moulin Rouge o (confermo) quel patetico aborto filmico di Across the Universe.
Voto Mario: 8
Voto Gabriele: 9
Voto Apocalypse: 8
Voto Carla: 9
Voto Simona: 9