Torino Film Festival: Gyeong-ui-seon, Bufor, Neandertal, 10 Items or Less, Cheut ai kup gei – Exodus, Lars e una ragazza tutta sua
La sesta giornata di Torino Film Festival (personalmente la terza), rispetto a quella precedente, va sicuramente meglio. Forse perché Lars e la sua fidanzata di plastica hanno intenerito i cuori degli spettatori, forse perché le confessioni in albergo dei due protagonisti di The railroad sono autenticamente commoventi, oppure perché 10 items or less è il
La sesta giornata di Torino Film Festival (personalmente la terza), rispetto a quella precedente, va sicuramente meglio. Forse perché Lars e la sua fidanzata di plastica hanno intenerito i cuori degli spettatori, forse perché le confessioni in albergo dei due protagonisti di The railroad sono autenticamente commoventi, oppure perché 10 items or less è il film che non ti aspetteresti quando leggi il nome del suo regista (quel Brad Silberling che qualcosa di simpatico, come Casper, l’ha azzeccato, ma ha lasciato anche brutte tracce dietro di sè).
Gyeong-ui-seon di Heung-sik Park conferma la vitalità del cinema coreano. Lui e lei si conoscono per caso, dopo essersi addormentati su un treno ed aver oltrepassato la loro meta da un bel pezzo. Nevica, e l’unica soluzione è passare la notte in un motel. Ma prima di questo, ci vengono presentate le loro storie: e da queste partiranno le confessioni dei due nella stanza del motel.
Park dal punto di vista tecnico se la cava egregiamente, azzeccando i tempi e il montaggio, la fotografia e le musiche. Ma sa anche scrivere in punta di penna una storia che entra dentro pian piano, non banale quanto può sembrare dalle righe di questo commento, ma davvero drammatica e sentita. Emozionante e convincente, sembra -a sentire i commenti in giro- aver trovato consensi fra il pubblico. Meno male.
10 Items or Less, una delle belle anteprime di questo festival, è il nuovo film, come si diceva prima, di Silberling: che sembra voler ripartire quasi da zero, con una pellicola a basso costo. Il che, in molte occasioni, vuol dire avere più idee a disposizione. Ma il regista ha innanzitutto un asso nella manica: un attore del calibro di Morgan Freeman, che nella pellicola interpreta sè stesso (ma non lavorerebbe da… quattro anni!).
Freeman -il cui nome non viene citato mai- deve passare sul set del nuovo film che dovrebbe interpretare un’intera giornata. Sul luogo, che è un supermarket “popolato” da assurde ed esilaranti figure, conosce una commessa di origini spagnole (interpretata bene da Paz Vega): insieme a lei inizierà una specie di avventura on the road, dandole i giusti consigli… E’ un film garbato, con un prologo divertentissimo; ha due ottimi attori, si mantiene bene lungo tutta la sua durata e mette a segno abbastanza bene i suoi colpi. Notevole il finale.
Neandertal della coppia Ingo Haeb e Jan-Christoph Glaser è un po’ la “pecora nera” del gruppo: non un brutto film per cui urlare allo scandalo, evidentemente, ma di certo non all’altezza di altri film in concorso (ma non è neanche un Vogelfrei!) e parecchio pasticciato. La storia di Guido, ragazzo affetto da neurodermatite (se non sapete cosa sia, non chiedetelo a me: risponderei solo che è un grave problema della pelle), sulla carta promette bene, ma sullo schermo sbanda.
Sarà per la troppa carne al fuoco, tant’è che il film parte da un punto e ci ritorna nel finale, ma in mezzo c’è il mondo; un po’ superficiale, un po’ prolisso, un po’ inutile. La pellicola ha comunque momenti validi, qualche piano-sequenza alla Elephant ha il suo perché, e Jacob Matschenz se la cava. Poco altro da dire, se non che il pubblico si è abbastanza diviso.
Bufor invece è un film di guerra sulla questione della montagna di Beaufort, in Libano, che dall’inizio degli ’80 e passata in mano di Israele, diventando un po’ il simbolo della vittoria della nazione. Intorno al 2000 però un gruppo di militari viene inviato per difendere il castello sul monte: sarà il momento della resa dei conti per quanto riguarda questo emblema, che da simbolo di vittoria si trasforma in simbolo di sangue e morte.
Nonostante il film necessiti molto probabilmente di qualche taglietto, soprattutto nella prima ora, ha una fotografia da urlo e almeno un paio di momenti in cui la tensione è elevatissima. In più i dialoghi fra i militari, molto lunghi, articolati ma mai banali (e politicamente abbastanza schierati), non sono assolutamente delle lungaggini, ma momenti necessari per fare il punto della situazione e per entrare nella storia. La seconda ora è davvero notevole.
Cheut ai kup gei – Exodus è una chicca che viene da Hong Kong. Diretto da Ho Cheung Pang, che ha alle spalle un curriculum di tutto rispetto e una serie di premi non male, riesce a fondere una storia al limite dell’assurdo, ma con toni da poliziesco-noir, con momenti imprevedibilmente comici: il tutto volontariamente. La storia in una riga: un poliziotto indaga su un caso particolare che vedrebbe alcune donne organizzarsi in segreto per eliminare TUTTI gli uomini. Capito dove si va a parare?
La sequenza d’apertura è sbalorditiva: non ve la racconterò, ma il metodo con cui è costruita è attraverso un reverse-zoom che molto ricorda quello iniziale di Arancia meccanica. Però il “contenuto” è tutt’altro. La storia poi procede abbastanza seriamente, nonostante il tema, fino ad approdare alla seconda metà, in cui c’è almeno una sequenza ilare da applauso. Ma il cult lo si ritrova davvero nel finale: la risata è spontanea e gloriosa.
E infine eccolo qui, Lars and the real girl (da noi in sala dal 4 gennaio col titolo italiano Lars e una ragazza tutta sua): per la serie “il cinema indipendente americano è ancora vivo e lotta insieme a noi”. Storia ironica su un nerd forse pazzo che a 27 anni si ritrova ad ordinare grazie ad Internet una fidanzata speciale da presentare al fratello e alla sua compagna (ovviamente si tratta di un manichino… anatomicamente perfetto!), è il convincente esordio di Craig Gillespie (il regista di Mr. Woodcook, anche questo già bello e pronto).
Ovviamente nel film il pubblico ritroverà le gradite gag della commedia americana, ma soprattutto un messaggio tutt’altro che sgradevole (anche alle cose più assurde e non ordinarie ci si può abituare) e una delicatezza di fondo irresistibile. Ritmo azzeccato, alcune sequenze da ricordare (quell’orsacchiotto impiccato e poi rianimato con cura proprio dal protagonista Lars…), e un attore sempre più bravo: un po’ ingrassato e con tanto di baffetto molto seventies, Ryan Gosling si conferma uno degli attori più intelligenti della sua generazione. Sa scegliere i copioni (sì, anche Thomas Crowford: vuoi mettere la gara con un gigante come Hopkins, tra l’altro vinta dal giovane?) e sa regalare ai suoi personaggi quelle sfumature che li rendono piacevoli al grande pubblico. Hai detto poco…