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CineBlog consiglia: Uccellacci e uccellini

La fiaba e la politica. Il cinema e la politica. Il cinema di Pier Paolo Pasolini non rinuncia mai al forte discorso politico, e in Uccellacci e uccellini è talmente evidente che magari qualcuno che non la pensa come Pasolini si può facilmente infuriare. Però la passione del grande regista e intellettuale è ancora una

27 Ottobre 2007 10:00

La fiaba e la politica. Il cinema e la politica. Il cinema di Pier Paolo Pasolini non rinuncia mai al forte discorso politico, e in Uccellacci e uccellini è talmente evidente che magari qualcuno che non la pensa come Pasolini si può facilmente infuriare. Però la passione del grande regista e intellettuale è ancora una volta trascinante e geniale, e non si può far finta di niente di fronte all’ennesima perla da custodire gelosamente. L’anno dopo aver viaggiato per l’Italia e averla raccontata in Comizi d’amore, e un anno prima della sua grande interpretazione dell’Edipo Re, Pasolini firma uno dei suoi capolavori, interpretato in diversi modi e aperto alla discussione.

Abbiamo Totò e Ninetto Davoli in viaggio per sfrattare la gente che non ha pagato gli affitti. Li segue nel loro viaggio a piedi un corvo parlante filomarxista, che per prima cosa racconta ai due la storia di due frati che tentarono di far conciliare, senza successo, passerotti e falchi. Il viaggio prosegue, fino all’incredibile conclusione, che è tutta un programma.

Non perdetevelo, se non l’avete mai visto, davvero: è un film impressionante. Forse forse avrà qualcosa di didascalico, soprattutto nella costruzione della “fiaba” e delle sue valenze politiche, ma sono cose necessarie e di cui Pasolini non può fare a meno per arrivare a più persone possibili col suo messaggio. Il film ha una sua forza incredibile nel ritmo, aiutato da una colonna sonora da applauso (vedi anche gli incredibili titoli di testa), nell’ironia contrapposta a momenti in cui esce fuori tutto il Pasolini disilluso e contrariato (vedi il momento, costruito con immagini documentarie, del funerale di Palmiro Togliatti).

La figura del corvo intellettuale di sinistra, comunque, è una metafora chiara sin da subito. Attraverso di lui, Pasolini può parlare direttamente, può raccontare e non venire tuttavia ascoltato dai due protagonisti, che gli faranno fare una fine che comunque ha già previsto. Certo che nelle sue parole c’è disillusione, e anche tanta. Però c’è un filo di speranza: forse qualcuno lo sostituirà, in futuro. Caro Pier Paolo, quel qualcuno lo aspettiamo ancora, da quel fatidico 2 novembre 1975…

Stanotte, 01.55, La7