I 51 film più attesi da Cineblog nel 2017
Passiamo in rassegna quanto l’anno appena cominciato ha potenzialmente da offrire sul fronte festivaliero e non solo
Dopo le prime due liste di attesi, una sui film italiani, l’altra su quelli internazionali, che abbiamo pubblicato ieri, passiamo a qualcosa di più strong, oltre che più personale. Sceglierne solo 51 non è stato affatto semplice, credeteci. Perché in realtà questo 2017 si preannuncia ricco, anzi ricchissimo, e le notizie in molti casi non ci aiutano granché. Eppure una lista andava stilata, anche per farci un’idea di cosa potrebbe venir fuori nei prossimi dodici mesi. D’obbligo il condizionale, poiché, sebbene la maggior parte siano grossomodo confermati, qualcun altro invece potrebbe non farcela entro il 31 dicembre prossimo.
Non troverete perciò film che eppure avrei voluto tanto poter inserire, come il prossimo di Harmony Korine o quello di Shane Carruth, due progetti che, per un motivo o per un altro, stanno tirandosi per le lunghe da un po’ di tempo (pensate che The Trap, quello di Korine, l’avevamo già inserito in una precedente lista dei desideri sulla falsa riga di questa). Sono film comunque che ci aspettiamo per lo più di vedere a qualche Festival, magari qui nel Vecchio Continente, sebbene alcuni di questi o hanno già trovato la propria via verso il Sundance, o comunque resteranno in quella parte di mondo, sull’asse New York-Toronto.
Come tutte le liste™, perciò, anche questa è quintessenzialmente incompleta, manchevole di qualche opera che colui che scrive magari ha preferito non includere o di cui semplicemente non è a conoscenza. Dev’essere così questo genere di cose, perché in fondo è bello pure trovarsi davanti al titolo inaspettato su cui però starai lì a rimuginare per mesi, visto di sfuggita da qualche parte, in attesa di poterlo rivedere, magari un anno dopo, se e quando qualche distributore, bontà sua, decide di portarlo in sala.
Ad ogni buon conto, una cosa è certa: in questa lista lunga 17 pagine ce n’è davvero per tutti. Buon 2017 a voi tutti, perciò, e che sia un anno in cui avvenga per ciascuno ciò che è meglio, non necessariamente ciò che si desidera. Non esiste migliore augurio, ne siamo convinti.
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51. John Wick: Chapter Two, di Chad Stahelski: uno dei migliori action degli ultimi anni va di sequel (maddai?). Mentre xxx, regista del primo John Wick si sposta su altri lidi (leggete più avanti in questa lista), il Capitolo Due viene affidato a Chad Stahelski, che comunque del prequel è stato co-regista e produttore. Wick a ‘sto giro si reca a Roma per aiutare un vecchio collega. L’idea perciò torna ad essere quella di alludere ad un passato di cui si sa poco o nulla. Mi piace.
50. Film sugli scontri di Detroit ancora senza titolo, di Kathryn Bigelow: film sui cinque giorni di scontri a seguito dell’arresto, da parte della polizia, di 82 neri, accusata perciò di razzismo. Chissà cosa intende farci la Bigelow…
49. The Snowman, di Tomas Alfredson: un investigatore norvegese che non disdegna l’alcol è alle prese con quello che potrebbe essere il primo serial killer nella storia del suo Paese. Alfredson è il regista de La talpa, e The Snowman per poco non l’ha diretto Scorsese. Fate vobis.
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48. The Beguiled, di Sofia Coppola: remake de La notte brava del soldato Jonathan, l’idea che vi prendano parte Elle Fanning, Nicole Kidman e Kirsten Dunst attira. Attira proprio perché dirette da una regista che tenta qualcosa d’inedito per lei, ma che al tempo stesso ha il suo perché in un contesto a forte presenza femminile. The Bling Ring a parte.
47. Valerian And The City Of A Thousand Planets, di Luc Besson: due poliziotti spaziali vengono spediti in missione segreta nella città più grande dell’universo. Non sono un fan di Besson, però lo sono di Dane DeHaan. Speriamo bene.
46. The Lovers, di Azazel Jacobs: il regista dell’apprezzato Terri torna con la storia di una coppia sposata che, mentre pianificano il loro divorzio, s’innamorano nuovamente.
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45. Molly’s Game, di Aaron Sorkin: dopo tanto scrivere, alla fine Sorkin sembra pronto al grande salto. In questo suo debutto da regista si parla di una promessa dello sci olimpico controllata dall’FBI per via di una rete internazionale di poker.
44. Biopic su Dick Cheney ancora senza titolo, di Adam McKay: La grande scommessa secondo me a torto è considerato un paraculesco pasticciaccio, e proprio quel montaggio così incalzante e quel ritmo in generale frenetico mi hanno divertito anziché confuso. Ad ogni modo, prima la Crisi del 2008, ora Cheney, lo stretto collaboratore di George W. Bush. Insomma, buttalo via…
43. High Life, di Claire Denis: sci-fi in cui un gruppo di criminali si apprestano a subire la pena capitale per aver partecipato ad una missione spaziale promossa dal governo, la quale prevedeva la ricerca di fonte d’energia alternative. Per scampare alla sentenza accettano di partecipare ad alcuni esperimenti di riproduzione umana. IMDB lo dà al 2018 ma siccome la Denis che gira un film di fantascienza m’intriga, lo schiaffo qui lo stesso.
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42. Battle Of The Sexes, di Jonathan Dayton e Valerie Faris: nel 1973 si svolse la cosiddetta Battaglia dei sessi: tre partite tra un tennista uomo e una tennista donna. Uno dei tre match venne vinto da Billie Jean King, beniamina del mondo LGBT in quanto prima atleta statunitense a dichiarare apertamente di aver avuto una relazione omosessuale. Il punto è che il suo avversario, il cinquantacinquenne Bobby Riggs, alla vigilia disse che, nonostante l’età, sarebbe stato in grado di battere le migliori giocatrici dell’epoca. Dai registi di Little Miss Sunshine.
41. A Fantastic Woman, di Sebastian Lelio: da Berlino Gloria, film precedente di Lelio, ne era uscito molto bene e non a torto. Qui la protagonista è ancora una donna, sebbene più giovane, una cameriera e cantante che cerca di riprendersi dalla morte del proprio ragazzo.
40. The Other Side Of Hope, di Aki Kaurismaki: Berlino è già pronta ad accogliere a braccia aperte il regista finlandese, fermo da Le Havre, presentato a Cannes nel 2011. In questo nuovo lavoro la tematica è analoga: un finlandese che si è buttato nella ristorazione incontra un rifugiato siriano. Ancora una storia di ultimi, declinata secondo il gelido humor di Kaurismaki però, che è ciò che rende la cosa interessante.
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39. The Death Of Stalin, di Armando Iannucci: siamo nel 1953, e l’Unione Sovietica registra una delle svolte nella propria storia, ovvero la morte del suo leader, Joseph Stalin. Ciò che ne segue è una lotta interna per il potere da parte dei suoi sottoposti, che devono peraltro fronteggiare la crisi nucleare e l’imminente Guerra Fredda. Ora, il punto è che Iannucci (nome italiano, origini italiane, per tutto il resto più che scozzese) ha una certa inclinazione alla dark comedy, la qual cosa rende il tutto estremamente più interessante.
38. Based On A True Story, di Roman Polanski: uno scrittore messo in serio pericolo dall’ossessione di una donna. È Polanski.
37. The LEGO Batman Movie di Chris McKay: chi ha visto The LEGO Movie non ha dubbi: Batman era indiscutibilmente il personaggio che più di altri merita un film a parte. Eccolo.
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36. The Coldest City, di David Leitch : il Muro di Berlino è a un passo dal cadere, quando un’agente dell’MI6 deve bloccare un’azione di spionaggio che ha già ucciso parecchi agenti sotto copertura. Il regista di John Wick si dà ad una spy-story tratta dall’omonima graphic novel.
35. Mary Magdalene, di Garth Davis: verità per verità, Lion mi ha lasciato alquanto tiepido. Cimentarsi in una storia al cui centro c’è un personaggio biblico, peraltro molto conosciuto, come la Maddalena, denota però coraggio oppure avventatezza. Vedremo a quale dei due approcci si è accodato il film di Davis.
34. Under The Silver Lake, di David Robert Mitchell: un noir ambientato nella Los Angeles dei giorni nostri; ovvero la più classica delle sinossi. Mitchell è particolare: comincia con un coming-of-age, gira uno degli horror di maggior successo degli ultimi anni, per poi gettarsi su un altro genere ancora.
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33. The Square, di Ruben Östlund: la piazza di una città europea è al centro di questa storia in cui un gallerista allestisce una sorta di installazione, all’interno della quale la gente può fare ciò che le pare. Force Majeure può piacere o meno (contatemi tra i pro), ma la scena della valanga è roba come se ne vedono poche. Östlund perciò ha la nostra attenzione.
32. Ismael’s Ghosts, di Arnaud Desplechin: nel 2015 a Cannes colpì che il suo I miei giorni più belli fu relegato alla sempre più notevole Quinzaine, cannando perciò il Concorso. Sia come sia, un film di Desplechin lo si aspetta con curiosità almeno. Trama: l’esistenza di regista in procinto di girare un film e alle prese con il dolore per la morte della sua amante, avvenuto vent’anni prima, viene stravolta quando la donna resuscita.
31. Yeh Din Ka Kissa/The Meyerowitz Stories, di Noah Baumbach: messi a segno colpi significativi con commedie come Mistress America e While We’re Young (oltre alla meravigliosa parentesi De Palma), Baumbach si appresta a raccontarci la storia di questa famiglia disgregata che s’incontra di nuovo in occasione di una retrospettiva del loro patriarca presso una galleria d’arte. Insomma, newyorkese come sempre.
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30. You Were Never Really Here, di Lynne Ramsay: un’ex agente dell’FBI che per anni ha combattuto il traffico di donne resta invischiato in un caso che vede coinvolto un importante politico di New York. Ritorno per la Ramsay dopo …e ora parliamo di Kevin, che risale al 2011. Stiamo parlando di una delle registe migliori della sua generazione.
29. The Shape Of Water, di Guillermo Del Toro: siamo in piena Guerra Fredda, periodo nel quale si consuma una love-story a sfondo fantastico.
28. Loveless, di Andrey Zvyagintsev: dopo l’aspra critica con Leviathan, il regista russo opta per la storia di una coppia separata che, nel bel mezzo del loro divorzio, si ritrova a cercare il figlio dodicenne scomparso. Al di là dell’incipit in sé, è tutto ciò che vi ruota attorno ad intrigare, specie in relazione agli accenni alla Russia che senz’altro non mancheranno.
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27. Annihilation, di Alex Garland: una biologa si reca insieme a tre colleghi presso una zona dov’è appena avvenuto un disastro ambientale per cercare il marito, scomparso in circostanze analoghe. Dopo Ex Machina a Garland tocca confermarsi; lasciate perdere chi è rimasto interdetto dal suo ultimo lavoro in quanto fintamente intelligente. Avesse anche questo nuovo progetto un grado d’intelligenza analogo, a me starebbe bene. Cast a prevalenza femminile, con Natalie Portman, Jennifer Jason Leigh, Tessa Thompson, Gina Rodriguez e nuovamente Oscar Isaac.
26. Mute, di Duncan Jones: non ho alcun problema ad essere uno dei pochi che almeno un po’ lo difende Warcraft. Tuttavia da chi ha esordito con Moon ci si aspetta altro, ed allora ecco arrivare questa storia ambientata in una Berlino del futuro, in cui un barista muto è in cerca di una donna, coadiuvato da due chirurghi americani. A questo aggiungeteci Sam Rockwell.
25. Mother, di Darren Aronofsky: questa è la volta buona. Film più piccolo, quelli che ad Aronofsky riescono meglio. Da circa sei mesi in produzione, nel cast troviamo Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Domhnall Gleeson e Ed Harris. Trama: la quiete di una coppia che sta attraversando un momento difficile viene ulteriormente compromessa dall’arrivo in casa propria di alcuni inaspettati ospiti. La colonna sonora, per dire, è affidata a Jóhann Jóhannsson, quello di Sicario.
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24. 33 días, di Carlos Saura: parliamo di un maestro che gira film da oltre cinquant’anni, molto apprezzato a suo tempo pure da Kubrick. Stavolta Saura si concentra sulla vita dell’artista e connazionale Pablo Picasso, interpretato da Antonio Banderas. La prima volta che si sentì parlare di questo progetto era il 2012 ma a quanto pare il 2017 è l’anno designato.
23. The Florida Project, di Sean Baker: addio iPhone, Baker torna prepotentemente a mezzi meno di fortuna e si affida al 35mm, delegando la fotografia niente di meno che al DoP di Carlos Reygadas. Una bambina di sei anni sta trascorrendo il giorno più felice della sua vita a Disney World, mentre i suoi genitori, al contrario, si barcamenano in mezzo ad alcune difficoltà. Molti ragazzini nel cast, che però conta pure Willem Dafoe.
22. Mektoub Is Mektoub, di Abdellatif Kechiche: un giovane sceneggiatore torna nella cittadina d’origine, dove resta coinvolto in un triangolo amoroso con una donna della zona e la moglie di un produttore che vuole finanziare il suo prossimo film. A quattro anni dal fenomeno La vita di Adele, Kechiche si candida già ad essere uno dei concorrenti più agguerriti o a Cannes o a Venezia.
Immagine | via los35millimetros
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21. Wind River, di Taylor Sheridan: quello appena trascorso è stato un buon anno per Sheridan. Hell or Highwater ha fatto impazzire i critici americani, che di cose del genere evidentemente ne sentono la mancanza. Con Wind River, se vogliamo, Sheridan torna ad una storia ambientata al confine: un agente dell’FBI sta investigando sull’omicidio di un’adolescente avvenuto in una riserva di nativi americani. Insieme a lui Cory, una persona del luogo che ha da poco perso sua figlia.
20. Lean On Pete, di Andrew Haigh: 45 anni è stato uno dei migliori film del 2015, con una Rampling in stato di grazia, senza contare quanto abbia attecchito Weekend. Ora Haigh racconta di questo quindicenne dell’Oregon che, lavorando presso un maneggio finisce con lo stringere amicizia con un cavallo.
19. War Machine, di David Miçhod: biopic di Stanley McChrystal, il generale cosiddetto «fuori controllo» messo a capo da Obama per la guerra in Afganistan. Netflix sta scommettendo pesante: 60 milioni di dollari e Brad Pitt nel cast. Ma d’altronde, tra Animal Kingdom ed il sottovalutato The Rover di materiale per fidarsi del regista australiano ce n’è.
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18. Star Wars VIII, di Rian Johnson: ricordatevi il volto della persona in foto, poiché il 2017 lo vede già tra i protagonisti, volente o nolente.
17. Sunset, di Lazlo Nemes: nella Budapest di inizio ‘900, un’intera epoca al tramonto sotto gli occhi di Iris, poco più che ventenne col desiderio di emigrare nel Nuovo Mondo. Nemes ha già stravolto parecchi equilibri con Il figlio di Saul; ora si concentra su un periodo molto delicato non solo per il suo Paese, l’Ungheria, ma per il Vecchio Continente tutto.
16. Golden Exits, Alex Ross Perry: una ragazza straniera si trova a New York mettendo a repentaglio lo status quo di due famiglie di Brooklyn. Queen of Earth è un gioiello, che conferma quanto Perry fece già con Listen Up Philip. Come Baumbach, altra voce significativa sul e dal panorama newyorkese.
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15. Alien: Covenant, di Ridley Scott: il trailer c’avrà anche consegnato qualcosa di troppo simile al primo Alien, ma se ancora funziona dopo oltre trent’anni un motivo dovrà pur esserci. Speriamo che Ridley Scott rompa la catena che alterna un buon film ad uno meno buono (o peggio), e dopo The Martian bissi.
14. Coco, di Lee Unkrich e Adrian Molina: un ragazzino messicano, Miguel, alle prese con il mondo dei morti. La Pixar alle prese col folklore messicano, sulla scia di Book Of Life, film prodotto da Del Toro qualche tempo fa. Ad ogni modo, il reale motivo d’interesse sta nella presenza del regista di Toy Story 3.
13. Wonderstruck, di Todd Haynes: doppio binario temporale: nel 1927 una ragazza sorda parte alla ricerca del proprio idolo, l’attrice Lillian Mayhew, mentre cinquant’anni dopo un giovane va a New York per trovare suo padre. Vi dico solo che la parte ambientata nel ’27 pare sia girata come fosse un film muto di quegli anni.
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12. Three Billboards Outside Of Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh: 7 psicopatici non sarà all’altezza di In Bruges come molti dicono, e va bene; da cui a cassarlo come delusione però ce ne passa. McDonagh nella sua prossima commedia nera parla di una donna che si mette contro le autorità per via della condotta di alcuni poliziotti locali, che dopo la morte della figlia cercano d’insabbiare l’accaduto. Promettente il cast, composto da Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Peter Dinklage.
11. Journeyman, di Paddy Considine: un pugile alle prese con un serio infortunio alla testa deve affrontare le conseguenze. Tyrannosaur è un notevole biglietto da visita, che renderebbe potenzialmente interessante qualunque cosa intenda fare successivamente Considine. Ciò che lo rende ancora più attraente è la tematica attorno alla quale orbita il soggetto. Perché, sapete… a volte mi viene da pensare che la Boxe sia nata per il Cinema. O viceversa.
10. The Killing Of A Sacred Deer, di Yorgos Lanthimos: The Lobster l’ha consacrato, per così dire, se non altro perché il regista greco ha dimostrato di non soffrire affatto il passaggio alla lingua inglese. Qui si parla di un chirurgo che prende sotto la sua ala protettiva un giovane, salvo poi rendersi conto che quest’ultimo è personaggio molto più inquietante di quello che sembrava. Torna Colin Farrell e si aggiunge Nicole Kidman.
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9. Blade Runner 2049, di Denis Villeneuve: s’ha da essere stoici: il film c’è, perciò bando alle lamentele sul fatto che Blade Runner non abbisogna di un sequel e bla bla bla. Villeneuve è attualmente uno dei nomi più affidabili per un progetto del genere, se non addirittura il più affidabile. Stiamo a vedere.
8. Happy End, di Michael Haneke: altro affondo netto nell’attualità, dopo Amour. Haneke si sofferma su una famiglia europea alle prese con il fenomeno della massiccia immigrazione africana degli ultimi anni, passata alla cronaca come «crisi dei rifugiati». Tra i protagonisti, Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant e Mathieu Kassovitz. Non c’è altro da aggiungere al momento.
7. Okja, di Bong Joon-Ho: altra scommessa di Netflix. Il regista di Memories of Murder e del più recente Snowpiercer si cimenta di nuovo con un cast per lo più straniero, a parte la protagonista. La trama vede infatti una ragazza sudcoreana girare per il mondo a difesa di una creatura gigantesca, Okja, insidiata da una potente multinazionale. Nel cast Ahn Seo-hyun, Tilda Swinton, Jake Gyllenhaal, Paul Dano e Lily Collins.
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6. Baby Driver , di Edgar Wright: un ragazzino ossessionato dalla musica e che di lavoro fa l’autista per rapinatori di banche, si ritrova a dover salvare la propria donna allorché un lavoro va male. Già sorrido.
5. I’m An Artist, di Albert Serra: di Serra è il mio film del 2016, The Death of Louis XIV. Il suo prossimo lavoro è qualcosa di molto affine non solo al temperamento del regista catalano, una delle più significative sorprese degli ultimi dieci anni nel panorama del cinema europeo, ma anche di familiare: Serra viene infatti dal mondo dell’Arte e qui intende raccontarlo. Si sa poco ma a quanto pare si stanno ancora racimolando quattrini; perciò aspettarselo nel 2017 potrebbe essere una speranza che denota eccesso di ottimismo. Poco importa, ci tenevo troppo ad inserirlo.
4. Vox Lux, di Brady Corbet: The Childhood of a Leader è stato l’esordio più potente del 2015. Corbet da allora va tenuto d’occhio ed il suo prossimo progetto non manca certo di quell’ambizione che ha contribuito al successo del suo debutto. Vox Lux è un dramma che si svolge tra il 1999 e i giorni nostri e che si sofferma sulla parabola di una giovane donna, dalla tragedia al diventare una pop star. Protagonisti Rooney Mara e Jude Law.
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3. Dunkirk, di Christopher Nolan: a parte la grandiosità del contesto e l’ambizione del progetto (se non Nolan, chi?), mi sfugge la chiave di lettura non tanto storica quanto proprio cinematografica alla base del progetto. Voglio dire, Nolan che tratta una pagina reale (e che pagina!) della Seconda Guerra Mondiale? È questa smodata curiosità che me lo fa attendere così tanto.
2. Film sul mondo della moda ancora senza titolo, di Paul Thomas Anderson: mi piace pensare che si tratti del terzo capitolo di una trilogia composta fino ad ora da Il petroliere e The Master, sebbene sia ambientato negli anni ’50, quindi grossomodo coevo al film del 2011. Ma anche se così non fosse, pazienza.
1. Song to Song, di Terrence Malick: le riprese di quello che è stato per anni Weightless risalgono a circa cinque anni fa, nel corso dell’Austin City Limits, un festival che a suo tempo ospitò i concerti degli Arcade Fire, Iron & Wine, Fleet Foxes, Black Lips e Patti Smith. L’uscita del film è prevista per il 17 marzo di quest’anno negli USA. Quindi?