Danny Boyle che mescola e reinventa i generi
E’ nelle sale in questo periodo Sunshine, l’ultimo lavoro di Danny Boyle. Che, con sette film non tutti riusciti, ha tentato di dire sempre la sua, a volte reinventando i generi. Meritandosi il titolo di autore. Due ragazzi e una ragazza in una stanza; sul letto c’è un cadavere, e nella stanza c’è una valigia
E’ nelle sale in questo periodo Sunshine, l’ultimo lavoro di Danny Boyle. Che, con sette film non tutti riusciti, ha tentato di dire sempre la sua, a volte reinventando i generi. Meritandosi il titolo di autore.
Due ragazzi e una ragazza in una stanza; sul letto c’è un cadavere, e nella stanza c’è una valigia piena di soldi: un’immensa fortuna o un modo per scatenare i peggiori istinti umani? La risposta la sappiamo, perchè Piccoli omicidi fra amici inizia come una commedia e si trasforma in un thriller teso e preoccupante. E’ il primo lavoro cinematografico dell’inglese Danny Boyle, classe ’56, con all’attivo ad oggi sette pellicole per il cinema. Che variano fra molti generi che si fondono. La commedia, come abbiamo visto, diventa facilmente thriller o dramma, l’horror fantascienza, e la fantascienza diventa horror etico. E non manca il grottesco.
La fortuna di Boyle, assieme ai fidi John Hodge (sceneggiatore) e Andrew Macdonald (produttore), arriva però nel 1996 col suo secondo film, tratto dal bestseller di Irvine Welsh. Trainspotting diventa film di culto sin da subito, grazie ad un’ottimo mix di tecnica, un po’ di furbizia -che ci sta tutta e non fa male-, sequenze (il cesso che è “il peggiore della Scozia”, il neonato morto sul soffitto) e dialoghi diventati subito storici (quello sulla vita nell’incipit, l’elenco di tutte le droge assunte, o quello sulla Scozia, perchè “è una merda essere scozzesi!”) ed un gruppo di attori in cui si distingue ancora Ewan McGregor nel ruolo dell’eroinomane Renton, per la seconda e non ultima volta col regista.
Da una commedia grottesca che assume i toni del dramma e della denuncia, il regista assieme all’ormai solido gruppo (Hodge, Macdonald e McGregor) si butta in un progetto col quale dovrebbe rivisitare questa volta la commedia sentimentale. In effetti la carriera del regista si può dividere in alcune tappe, e Una vita esagerata segna la fine della prima. Assieme ad un’azzeccata Cameron Diaz, McGregor si trasforma in un rapitore fin troppo incapace ed imbranato che si fa consigliare dal suo stesso ricchissimo ostaggio cosa fare per ottenere i soldi del sequestro. Con in più una parte fantastica (ci sono due angeli incaricati di far innamorare i due, pena restare per sempre sulla Terra) Boyle potrebbe ridimostrare il suo talento, eppure qualcosa non funziona. Sarà il ritmo, forse una certa monotonia delle situazioni, ma nonostante alcune scene azzeccate e i due protagonisti i due bellissimi film precedenti sono lontani.
Quando la produzione costringe Boyle a scegliere DiCaprio al posto di McGregor (che aveva proposto il soggetto per il quarto film) come protagonista, casca il mondo. Secondo insuccesso commerciale (e di critica), The Beach è una critica all’uomo che non può vivere senza il consumismo e la tecnologia, e il tanto atteso paradiso perduto non può esistere. Ma la trasferta americana non fa bene a Boyle, che cita e cita e cita (un bel po’ di Signore delle mosche, DiCaprio che fa Sheen padre e figlio in Apocalypse Now e Platoon), gira sequenze all’acido (la lotta con lo squalo, il videogame) ma non scampa al gusto modaiolo e scade nella noia e nel banale. E’ un film spartiacque, comunque, e ultimo lavoro come sceneggiatore di John Hodge per il regista. Che però trova in Alex Garland, proprio l’autore del romanzo The Beach, un degno erede di Hodge per le sue sceneggiature.
Prodotto ancora da Macdonald, con 28 giorni dopo Boyle ritorna alla grande e dirige un bellissimo horror dalle tinte fantascientifiche che cita a piene mani la trilogia sugli zombi di Romero. E dopo l'”addio” di McGregor, trova in Cillian Murphy il suo secondo attore-feticcio. Molto più psicologico che pieno d’azione, girato benissimo e scritto senza sbavature, 28 giorni dopo, girato in digitale, presenta almeno una sequenza storica (il prologo in cui Murphy si aggira per una Londra vuota e spettrale) e si presenta, probabilmente, come seguito ideale de La notte dei morti viventi, mostrandoci ciò di cosa sono capaci di fare i militari.
La parentesi di questa seconda parte del percorso di Danny è Millions, un piccolo film sul valore dei soldi che presenta alcune analogie con la prima pellicola del regista. Come in Piccoli omicidi fra amici abbiamo una valigia piena di soldi, abbiamo dei cattivi che tentano di riprendersela e in una sequenza abbiamo una soffitta che nasconde chissà cosa (notare comunque che Boyle ce l’ha con le case, e soprattutto con gli angoli nascosti ed imprevedibili). Cambia lo sceneggiatore (Frank Cottrell Boyce, che ha un cammeo come insegnante) e cambiano i produttori (Graham Broadbent, Andrew Hauptman, Damian Jones), ma la pellicola è piccola e bella, con due piccoli protagonisti bravissimi e con le solite sequenze grottesche (il piccolo Damian che parla coi santi, che però non sono proprio ortodossi e fumano erba) che nel colorato contesto funzionano molto bene.
Con Sunshine ritorna il nuovo “cast”, con Alex Garland alla sceneggiatura, Andrew Macdonald che produce e Cillian Murphy come protagonista. Ma nonostante la critica si sia divisa, parlando anche troppo inopportunamente di pecche che non si riscontrano, Boyle continua a tratteggiare la sua parabola. Che se a metà percorso era discedente, da quando ha incontrato il magnifico Murphy è in netta salita. Ma con il prossimo Porno, dal romanzo di Welsh, sequel di Trainspotting, Boyle ritroverà il suo primo attore-feticcio, ossia Ewan McGregor. Un ritorno alle origini o un nuovo tassello di un percorso che, globalmente, non è niente male?
– Di seguito uno dei molti monologhi da ricordare di Trainspotting, in italiano: