INLAND EMPIRE secondo Alberto
Devo dire che l’idea di farsi mandare le recensioni di INLAND EMPIRE dai lettori è stata accolta molto bene. Ecco il parere di Alberto:Quando si valuta un film di solito la cosa che si tende a tenere maggiormente in considerazione è la trama: se la sceneggiatura è solida, ben costruita e scorrevole molto probabilmente ci
Devo dire che l’idea di farsi mandare le recensioni di INLAND EMPIRE dai lettori è stata accolta molto bene. Ecco il parere di Alberto:
Quando si valuta un film di solito la cosa che si tende a tenere maggiormente in considerazione è la trama: se la sceneggiatura è solida, ben costruita e scorrevole molto probabilmente ci troveremo di fronte ad un buon lavoro, al contrario di fronte ad una sceneggiatura disunita e frammentaria difficilmente il regista riuscirà a proporre allo spettatore un grande film.
Bene, nel valutare la maggior parte dei film di David Lynch la succitata affermazione perde di significato.
La premessa è doverosa, perché questo INLAND EMPIRE (tutto in maiuscolo) può essere considerato la summa artistica dell’opera Lynciana, la massima espressione del cinema inteso alla maniera dell’acclamato cineasta americano. Ossessioni, visioni surreali, sogni realistici, realtà oniriche, spazi angusti e conigli giganti sono tutti elementi ricorrenti nella filmografia del regista che in questo suo ultimo lavoro ritornano e si rincorrono tra loro a ritmo serratissimo con il risultato di lasciare lo spettatore attonito e confuso mentre cerca di trovare un filo logico che possa fargli capire quello che sta succedendo davanti ai sui occhi. Tutto inutile, anche il cinefilo più scaltro e navigato deve arrendersi all’evidente mancanza di un interpretazione completa ed univoca, di un “senso” nell’accezione più comune del termine ed è costretto a lasciarsi trasportare in un viaggio introspettivo lungo tre ore.
Questo è il cinema di Lynch, quello per cui è da anni considerato uno dei grandi della storia di questa arte: il regista non scende a compromessi con lo spettatore ma pretende che sia lo spettatore stesso a compiere lo sforzo mentale di entrare in un altro “universo”, il suo, in cui le regole convenzionali non contano, anzi, vengono sistematicamente sovvertite.
Si è discusso a lungo di come l’uso del digitale avrebbe influito sul personalissimo stile del regista, che per la prima volta abbandonava la pellicola, e l’aggettivo più adatto che mi viene in mente è “magistrale”, notevoli soprattutto le sequenze in handycam, con una generale sgranatura che conferisce al film un’aura se possibile più angosciante e l’eccezionale resa nelle situazioni di scarsa luminosità.
Troppo sperimentale, troppo lungo, troppo compiaciuto: queste sicuramente saranno le critiche più gettonate da parte di quel segmento della critica ostile a Lynch.
Certo, un film così atipico e visionario presta il fianco a questo tipo di considerazioni, ma è prima di tutto necessario riconoscere gli innegabili meriti a chi ha realizzato un’opera che trascende da se stessa e dal suo creatore per collocarsi nell’olimpo dei film di culto, un film sul quale si discuterà per molto tempo e che è già destinato a far sorgere opinioni nettamente contrastanti.