Stallone e Rocky: la storia, il mito
Come è cominciato il mito di Rocky? Per chi se l’è perso, per chi lo ha visto al cinema, per chi l’ha riscoperto adesso e per chi lo conoscerà solo in questi giorni al cinema… ecco il lungo comunicato stampa su Le Origini, Il Combattente, Il Nuovo Film, Il Fenomeno.Prodotto da Irwin Winkler e Robert
Come è cominciato il mito di Rocky? Per chi se l’è perso, per chi lo ha visto al cinema, per chi l’ha riscoperto adesso e per chi lo conoscerà solo in questi giorni al cinema… ecco il lungo comunicato stampa su Le Origini, Il Combattente, Il Nuovo Film, Il Fenomeno.
Prodotto da Irwin Winkler e Robert Chartoff, Rocky è stato distribuito dalla United Artists nel 1976, diventando un fenomeno ai botteghini di tutto il mondo e un classico senza tempo. Dotato di un piccolo budget, fu un successo a sorpresa, che emerse dal nulla per sconfiggere pellicole ben più costose in occasione delle cerimonie di assegnazione dei maggiori premi cinematografici. Infatti, venne nominato a ben dieci Academy Awards, vincendo quello prestigioso di miglior film (categoria in cui sconfisse titoli leggendari come Taxi Driver e Quinto potere), assieme al premio per il regista John G. Avildsen e quello per i montatori Richard Halsey e Scott Conrad.
Stallone, che aveva tenuto duro, insistendo che avrebbe venduto lo script soltanto se gli fosse stato permesso di interpretare il protagonista, venne nominato a due Oscar, come migliore attore protagonista e per la migliore sceneggiatura. Il film vedeva anche la presenza di Talia Shire nei panni di Adriana; Burt Young, che interpretava Paulie, fratello di lei e amico di Rocky; Carl Weathers, che era il detentore del titolo Apollo Creed, e Burgess Meredith, nei panni dell’allenatore brontolone di Rocky, Mickey. Anche la Shire, Young e Meredith vennero nominati all’Oscar per le loro interpretazioni come attori non protagonisti, mentre altre candidature arrivarono per il sonoro e per la miglior canzone originale, la memorabile ‘Gonna Fly Now’.
Grazie alle uscite cinematografiche e in home video di altri quattro episodi, il film ha continuato ad attirare nuove generazioni di appassionati. “E’ gratificante vedere come Rocky abbia conquistato così tante persone nel corso degli anni”, ricorda Stallone. “Sono convinto che gli spettatori che ci hanno sostenuto e ci sono stati fedeli saranno felici di vedere questo capitolo finale della vita di Rocky Balboa, perché, a mio avviso, abbiamo ideato una conclusione assolutamente degna del personaggio”.
IL COMBATTENTE
Per Sylvester Stallone, Rocky rappresenta qualcosa di molto importante, tant’è che il pubblico lo riconosce in questo personaggio. Trent’anni dopo l’uscita del primo film, Stallone ha cercato di creare una storia che potesse comunicare queste idee (e in particolare la verità fondamentale che è possibile ottenere qualsiasi cosa se ci si crede abbastanza) a una nuova generazione.
“È un sogno pressoché universale quello di cercare di emergere e di tentare di raggiungere il massimo obiettivo nella vita”, sostiene lo sceneggiatore/regista/interprete di Rocky Balboa. “Magari non avrai il successo sperato, ma almeno hai avuto la possibilità di provarci. Penso che questa sia la peggiore frustrazione della vita di molte persone, il fatto di non aver mai avuto neanche una possibilità”.
Il produttore Charles Winkler sottolinea che Rocky Balboa rappresenta il punto d’arrivo della decennale ricerca di Stallone per trovare un degno finale a questa storia. “Sylvester era un uomo in missione”, sostiene Winkler. “Voleva terminare la vicenda nel modo giusto, con una storia che potesse restituire fiducia a tutti”.
Il produttore William Chartoff aggiunge che “Rocky è sempre stato nei pensieri di Sylvester. Per lui, si trattava di un progetto non ancora concluso, proprio lo stesso atteggiamento che avevano legioni di appassionati di tutto il mondo. Sebbene Rocky Balboa sia in effetti l’ultimo sequel in ordine di tempo, per molti aspetti è l’episodio più simile all’originale”.
“Il primo era un piccolo film, ma scritto come un capolavoro”, afferma Burt Young, che ha interpretato il complesso personaggio di Paulie, miglior amico e cognato di Rocky, per tre decenni e sei pellicole. “Novantotto pagine di poesia di strada. Nessun orpello inutile. Ed era anche veramente romantico. Molte persone non hanno mai apprezzato l’incredibile romanticismo che esprime. Io ero molto eccitato. Probabilmente, si tratta della migliore sceneggiatura che abbia mai letto nella mia vita”.
In Rocky Balboa, il personaggio principale, per molti versi è tornato allo stesso tipo di vita che conduceva nel primo film. “E’ ritornato dove si trovava all’inizio, tutto solo, a parte il fatto di aver perso la sua ingenuità”, sostiene Stallone. “E’ molto concreto e ha una certa tranquillità interiore. Porta un peso enorme sulle spalle, ma da esso scaturisce anche una sorta di illuminazione profonda. Sa più cose di prima e cerca di comunicare maggiormente. Non ha più molta voglia di litigare, come avveniva un tempo”.
Ma la sua rete di protezione in questo mondo complesso non c’è più: Adriana se ne è andata prematuramente, a causa del cancro, e Rocky, che non è il tipo da lamentarsi, ha perso l’appoggio su cui ha sempre potuto contare. “Se la cosa più preziosa della tua vita ti venisse sottratta e la tua stabilità fosse scossa, gli anni migliori apparentemente fossero alle tue spalle e ti ritrovassi da solo, ti chiederesti sicuramente ‘ora che faccio?’”, spiega Stallone. “Ha avuto tutta la gloria che voleva, ma sua moglie è morta e il figlio se ne è andato. Tutto quello che riteneva facesse parte del suo sogno più importante non c’è più e ora lui si ritrova solo”.
“Rocky è stato ferito profondamente e prova una rabbia terribile, ma non sa come liberarsene”, sostiene Burt Young. “E’ di questo che parla il film. Di tutti questi personaggi che si ritrovano in stanze vuote, cercando in qualche modo di riempirle”.
Rocky ospita a casa sua Paulie, arrivando anche a preparargli la colazione. “Paulie è un po’ insensibile, ma in fin dei conti adora Rocky”, commenta Stallone. “E’ il suo miglior amico e non potrebbe vivere senza di lui, ma talvolta la familiarità suscita una particolare forma di disprezzo”.
Rocky visita regolarmente la tomba della moglie, inserendola nel giro, che compie regolarmente, dei luoghi che hanno un valore per lui. “Il negozio di animali è stato chiuso”, rivela l’attore. “Rocky si crogiola nel passato sulla pista di pattinaggio, che è stata dimenticata da tutti. Ma lui va lì, in mezzo ai mattoni e ai detriti, memore delle pattinate insieme ad Adriana, fino a quando Paulie lo scuote da questo torpore”.
I tentativi di Rocky di comunicare con Robert, suo figlio, non vengono contraccambiati. “E’ un rapporto emotivo decisamente scarso quello che ha con il figlio, anche se lui rappresenta l’ultimo legame che ha con la moglie”, spiega Stallone. “Il figlio ha lo stesso problema di molti ragazzi che vivono all’ombra di un padre di successo. Non può competere con lui, ma in realtà non dovrebbe neanche provarci. Così, ha scelto di vivere, vestirsi, muoversi e agire esattamente all’opposto di suo padre”.
Milo Ventimiglia interpreta Robert Balboa, Jr. L’attore, che negli ultimi anni ha lavorato soprattutto in televisione, in serie come Una mamma per amica e Heroes, sottolinea che, proprio come nel film originale, all’inizio Rocky è decisamente malandato. “Lui sta cercando di cambiare la situazione, ma ha bisogno di avere le persone che ama al suo fianco”, sostiene il giovane attore. “E loro non sono lì. Questo film ha un profondo legame emotivo con il primo. Entrambi, infatti, raccontano delle storie semplici e umane”.
L’attrice irlandese Geraldine Hughes, autrice e protagonista dell’acclamato dramma teatrale Belfast Blues, è stata scelta da Stallone per interpretare la ‘piccola Marie’, ora donna adulta e madre single, che vive in una strada molto pericolosa di South Philadelphia.
Il personaggio, che in origine era interpretato da Jodie Letitizia, provocò grandi risate da parte del pubblico nel primo film, quando urlò a Rocky “vaffanculo, rompipalle”, dopo che lui l’aveva accompagnata a casa e salvata da un futuro di delinquenza giovanile. La Hughes nota che, nonostante Rocky e Marie siano impegnati in un abbozzo di relazione, è troppo presto per lui per superare la perdita di Adriana. “Sia Adriana che Talia Shire, che ha creato questo ruolo, sono assolutamente insostituibili”, sostiene l’attrice. “Lei rimane una presenza fondamentale nella vita di Rocky anche in questo film”.
Ma in Marie, Rocky trova quel legame umano di cui ha disperatamente bisogno. “Marie e Rocky compiono insieme un percorso magnifico nel corso della storia”, rivela la Hughes, “ma non si tratta di una storia romantica. Loro sono completamente soli. Marie si sente invisibile e Rocky si prende il tempo di fermarsi a guardarla, per poi portarla con sé in questa nuova avventura”.
Mentre suo figlio è così distante da lui, Rocky instaura un legame con il figlio adolescente di Marie, Steps (James Francis Kelly III), e alla fine invita entrambi a lavorare da lui nel ristorante. “Comincia a farle da mentore in un certo senso, a proteggerla”, rivela Stallone. “E inizia a mostrare al figlio di lei l’attenzione di cui ha bisogno e così il ragazzo mostra segni di miglioramento. Quindi, in un certo senso, il dolore di Rocky produce anche dei buoni frutti”.
“Steps ci mette un po’ a fidarsi di Rocky e quando lo vede per la prima volta si aspetta il peggio”, rivela Kelly. “Ma rapidamente, capisce che Rocky non è una persona cattiva, anzi è anche simpatico”.
Quando il programma della ESPN ‘Man vs. Machine’ mette a confronto due atleti di epoche diverse in uno scontro al computer, opponendo l’attuale detentore del titolo dei pesi massimi Mason “The Line” Dixon al due volte campione Rocky Balboa, la vita di Rocky subisce una svolta, anche se all’inizio è quasi impercettibile.
Il combattimento al computer e l’interessante risultato che ne consegue, gli danno la forza per richiedere la sua licenza pugilistica, che non può ottenere senza un incontro, con l’idea di impegnarsi soltanto in qualche match locale di poco conto. “Vede Rocky e gli si accende una lampadina in testa”, spiega Stallone.
“Lui pensa di poter fare quello che ama. Ed è meglio fare quello che si ama veramente, piuttosto che sentirsi male per non averlo fatto. Ma questo sforzo provoca una grande rabbia nei suoi confronti, con umiliazioni, pregiudizi e stereotipi sulla sua età. Anche suo figlio ritiene che stia dando una cattiva immagine della famiglia”.
Ci sono tante cose che Rocky vorrebbe comunicare al figlio, ma Robert è cresciuto in modo così diverso dal padre, tanto da ritenerlo una persona assolutamente ridicola. “Rocky vuole che suo figlio sappia che la vita non è tutta rose e fiori”, rivela Stallone. “E’ un luogo duro e sporco, che ti sbatterà a terra, a meno che tu non sia in grado di stare saldamente in piedi. Non si tratta di quanto duro puoi colpire, ma di quanti pugni riesci ad incassare. E questo è Rocky”.
Per interpretare Mason Dixon, Stallone si è rivolto al vero campione dei pesi mediomassimi di quel periodo, Antonio Tarver. “Considerando che avevamo deciso di rimetterci in gioco per l’ultima volta, perché non concludere con un vero pugile, qualcuno che non avesse mai vissuto la magia della finzione cinematografica? Antonio è in grado di combattere realmente e ha portato con sé una grande esperienza, pronto a lanciare una scatenata serie di pugni”.
Nonostante Dixon si sia aggiudicato tutti i suoi incontri, non viene rispettato dalle persone che dovrebbero essere suoi fan. I suoi agenti hanno un’idea perfetta per cambiare le cose: vogliono convincere Rocky a tornare per un incontro valido per il titolo. “A livello tecnico, lui non ha perso la cintura sul ring, considerando che si è ritirato”, commenta A.J. Benza, che interpreta L.C. Luco, il manager di Dixon. “Quindi, in un certo senso, sia lui che Mason Dixon sono i campioni. Loro gli garantiscono che non si farà male, così tutti saranno contenti”.
“Mason non capisce perché il pubblico non sia dalla sua parte”, sostiene Tarver. “E’ soltanto nel momento in cui si trova nel ring con Rocky, in cui deve dare il massimo o essere sconfitto, che comprende che il rispetto si deve guadagnare. Per molti aspetti, lui sta combattendo per la sua stessa vita”.
Sebbene Rocky sia riluttante a mettersi in una situazione in cui potrebbe “essere pestato e imbarazzato”, Marie gli ricorda che questa potrebbe essere un’ottima trovata pubblicitaria per il suo avversario, ma non deve essere lo stesso per lui.
“La mia lotta è con me stesso”, aggiunge Stallone. “Mason è un pugile decisamente superiore, ma gli manca una cosa: non si è mai trovato in difficoltà. Non è mai stato abbandonato in cattive acque e lasciato da solo a sopravvivere. E l’ultimo posto in cui avrebbe pensato di vivere questa situazione, in cui deve compiere un’impresa memorabile per non fallire, è sul ring con un uomo di 58 anni. Per la prima volta nella sua vita, il campione ha bisogno di dimostrare di avere dentro di sé qualcosa rimasta nascosta, ma che ora deve mostrare a tutti”.
Per Rocky, la lotta è per coloro che ha amato nella sua vita, Adriana, Robert, Marie, Steps e Paulie e per tutti quelli che hanno creduto in questo sogno. “L’unica cosa a cui devi dare ascolto è il tuo cuore”, rivela Stallone.
Per l’attore, il ritorno alla storia dello Stallone Italiano gli ha offerto l’opportunità di comunicare ad un’intera generazione il messaggio: quando vuoi qualcosa con tutte le tue forze, nessuno puoi chiederti di rinunciarci. “Detto questo, ovviamente bisogna essere realistici”, rivela l’attore. “Non potrai fare qualcosa di impossibile a livello fisico, ma se soltanto ci credi, puoi andare ben oltre le aspettative della gente nei tuoi confronti. Si tratta di impegnarsi con se stessi e di essere leali con quelli che ti circondano e che ami”.
La leggenda continua.
IL FILM
Tornando a girare nei quartieri meridionali di Philadelphia (oltre che in alcune location di Las Vegas e Los Angeles necessarie per la storia), Stallone voleva mostrare il mondo di Rocky per come è realmente, non in una versione patinata tipicamente hollywoodiana, ma facendo vedere una realtà decisamente dura. “Questo film voleva essere il più realistico possibile”, ha detto a se stesso Stallone, come ricorda il coproduttore Guy Reidel. “Di conseguenza, neanche un’inquadratura del film è stata effettuata in un teatro di posa”, sottolinea Reidel . “E’ stato girato interamente in luoghi reali, un aspetto che ha aggiunto tutta una nuova serie di sfide alla realizzazione”.
Con delle risorse limitate e solo cinque settimane per le riprese, Stallone ha utilizzato uno stile registico molto parsimonioso e poco elaborato, che a suo avviso si sposava bene con i principi fondamentali del film. “Nessun carrello, molta macchina a mano, niente gru e in generale nessuna inquadratura troppo complicata”, rivela l’attore e regista.
Stallone ha lavorato assieme al direttore della fotografia Clark Mathis per infondere al film lo stile povero che cercava e che rifletteva i personaggi del film.
“Ho cercato di mantenerlo molto fedele alle personalità dei personaggi”, rivela Stallone. “Alcune scene sono frenetiche e confuse. Invece, quando ho girato le sequenze con Dixon, tutto era molto luminoso e sterile, non c’era nessun significato drammatico nella luce. Volevo mostrare che la sua vita non ha colore, ombre o atmosfera, almeno fino al combattimento”.
La prima cosa in programma, e anche la sfida più impegnativa, è stato girare l’importante incontro per il titolo tra Rocky e Mason ‘The Line’ Dixon, che doveva essere un evento eccitante in stile Las Vegas.
Stallone aveva appena terminato un regime di allenamento molto duro ed era in ottima forma, una condizione che avrebbe perso man mano che le riprese fossero andate avanti, considerando che gli obblighi come regista e interprete avrebbero consumato il suo tempo per allenarsi. Di conseguenza, le scene di combattimento avrebbero dovuto essere girate per prime. “Il pugilato è un’esperienza senza eguali”, commenta lui. “Richiede una gamma di abilità che implicano anni di apprendimento”.
Con la data di inizio delle riprese all’orizzonte, i realizzatori hanno iniziato a cercare un luogo adatto per il pugilato. Ma ogni palazzetto adeguato era pieno di impegni e non poteva ospitare una troupe cinematografica.
Stallone sapeva che la HBO aveva in programma un incontro da trasmettere in pay-per-view, quello tra Bernard Hopkins e Germaine Taylor a Las Vegas. Essendo un realizzatore indipendente nel profondo del suo cuore, Stallone ha avuto l’idea di sfruttare quell’evento e utilizzare una folla che la produzione avrebbe avuto difficoltà a procurarsi, se avesse dovuto pagare le comparse. Ma l’incontro era in programma due settimane prima dell’inizio delle riprese. Sempre pieno di risorse, la soluzione di Stallone è stata semplicemente di anticipare di due settimane l’avvio delle riprese.
“Non c’è nulla di impossibile quando c’è di mezzo Stallone”, fa notare Burt Young. “Non ho mai visto un essere umano in grado di fare così tanti lavori contemporaneamente. Quando ha un’idea, la mette in pratica rapidamente. Non pensa mai che ci sia qualcosa di impossibile. E’ così che è fatto ed è di questo che parla il film”.
La produzione ha iniziato quindi le trattative con la HBO e il Mandalay Bay Resort and Casino, dove si dovevano svolgere le riprese, per assicurarsi il vantaggio di un combattimento in un luogo reale. Ma mentre la produzione aveva bisogno di un periodo di nove giorni, il Mandalay Bay poteva offrirne ai realizzatori solo sei.
Mentre i produttori cercavano un modo di sistemare le cose, Stallone si è concentrato sul casting. “Non volevo che sullo schermo fosse pieno di gente che abbiamo già visto in decine di altri film”, spiega il regista. “Si perde il senso della realtà quando si utilizzano dei volti troppo familiari”.
Per interpretare Mason “The Line” Dixon, Stallone ha scelto la star della boxe Antonio Tarver, il campione dei pesi mediomassimi. Impegnato nelle prove già cinque settimane prima dell’inizio delle riprese, il mancino Tarver ha avuto bisogno di prendere circa 10 chili per passare dalla condizione di peso mediomassimo a quella di peso massimo.
All’inizio del periodo di prove, Tarver ha dovuto adeguarsi alle esigenze cinematografiche, che sono agli antipodi di quelle del pugilato, da lui accettate per tutta la vita. “Il combattimento reale non era il problema di Tarver”, spiega il coproduttore Guy Reidel. “Quest’uomo può vantare più di 30 k.o. nella sua carriera. Ma ha dovuto imparare la coreografia necessaria per ogni pugno, per essere certo che fosse adeguato alle esigenze drammatiche di un particolare momento. E, ovviamente, quando eravamo nella fase avanzata delle prove, Sly, a causa dei numerosi ruoli che ricopriva, non aveva molto tempo, dovendo incontrare lo scenografo, il direttore della fotografia, gli addetti ai costumi, il montatore o i responsabili dello studio”.
Alla fine, l’esperienza di Stallone nel creare la serie di Rocky ha agevolato enormemente questo processo sia per il cast che per la troupe, considerando che lui aveva ben chiaro il valore drammatico presente in ogni secondo di combattimento. Chi sta vincendo in quel momento? A che punto si trova Rocky nel suo percorso fisico ed emotivo? “Ogni secondo del film ha una vibrazione emotiva che deve essere in sintonia con il movimento fisico”, sostiene Tarver. “E’ questo che dà vita al loro combattimento”.
“Noi giravamo proprio in mezzo ad un evento trasmesso in diretta, durante le vere operazioni di peso e le conferenze stampa”, spiega Stallone. “Riprendevamo alcuni spezzoni delle trasmissioni della HBO e successivamente ci affrettavamo con il nostro cast e la troupe per sfruttare i set. A dir poco, è stata un grande sfida”.
Quando è arrivato il momento delle operazioni di peso, Stallone ha messo in mostra il risultato del suo intensivo periodo di allenamento per la prima volta. “Tutti erano stupiti”, ricorda Winkler. “Era in gran forma. Era favoloso. In quel momento, sapevamo tutti che se avessimo fatto bene il nostro lavoro, il film avrebbe funzionato perfettamente”.
Nel Rocky del 1976, Stallone colpiva veramente le carcasse di animali, che erano utilizzate come sacco d’allenamento. In questo film, non voleva che il combattimento sembrasse simulato, né aveva intenzione di utilizzare gli angoli o gli effetti tipici di un incontro dei pesi massimi, e quindi ha lavorato con i coreografi e con Antonio Tarver per rendere il combattimento il più realistico possibile, ma senza che loro dovessero uscirne distrutti, considerando che erano dei veri colpi quelli che colpivano i loro muscoli. “E’ una sequenza di 25 minuti a sé stante”, spiega il regista. “Abbiamo sistemato le cineprese in quattro punti differenti e le abbiamo lasciate in funzione. Così, lo spettatore ha la sensazione di trovarsi veramente lì. La cosa più difficile è stato far entrare Antonio nello spirito giusto e convincerlo a colpirmi, perché lui si sentiva a disagio a farlo. Ma ha funzionato”. Stallone aggiunge poi con un sorriso che “lui non ha cercato di uccidermi. I suoi pugni facevano male ma non erano mortali”.
Per dare ancora maggiore autenticità alla storia, i produttori hanno ingaggiato i veri commentatori Jim Lampley, Larry Merchant e Max Kellerman per interpretare se stessi, mentre Michael Buffer si è calato nei panni dello speaker sul ring per l’incontro Dixon-Balboa, promosso con lo slogan ‘The Rage Against The Age’ (letteralmente, ‘La rabbia contro gli anni’). Il pugile Mike Tyson interpreta se stesso nel film, in maniera simile a quanto fatto da Joe Frazier durante l’incontro valido per il titolo di Rocky.
Il momento più emozionante dell’intera produzione, per tutti quelli coinvolti, ha avuto luogo quando la HBO ha concesso alla produzione di sfruttare il pubblico venuto ad assistere all’incontro tra Hopkins e Taylor, permettendo a Rocky di entrare nel palazzetto esaurito in ogni ordine di posti, camminare lungo il passaggio in mezzo al pubblico e salire sul ring con sei cineprese che inquadravano la scena. Quando ha alzato le braccia, 14.000 autentici appassionati di pugilato hanno cominciato ad urlare “Rocky! Rocky! Rocky!” in maniera esaltata e che non avrebbe potuto essere replicata da comparse pagate.
“Urlavano più forte per Rocky di quanto abbiano fatto durante l’incontro principale”, ricorda Chartoff. Aggiunge Winkler, “E’ stato il momento più bello di tutto lo spettacolo. Era impossibile non avere la pelle d’oca”.
Il realismo era una componente fondamentale per le scene di combattimento, così Stallone ha scelto di girarle con delle cineprese ad alta definizione. “Volevo che i dialoghi esprimessero delle sensazioni, ma che il combattimento apparisse proprio come si aspettano gli appassionati di sport, ossia brillante, coraggioso e spumeggiante”, sottolinea Stallone.
Essendo l’incontro Balboa-Dixon, da ogni punto di vista, un combattimento della HBO, Stallone voleva offrire agli appassionati di questi eventi un’esperienza differente da qualsiasi altra. “Sono cresciuto vedendo film sulla boxe e avevo quest’idea preconcetta che dovessero essere ripresi con dei movimenti di macchina molto raffinati”, sostiene Chartoff.
Ma Stallone voleva che il combattimento presente in Rocky Balboa andasse oltre. “Questo non è un film girato in alta definizione, né in 35 mm”, aggiunge David Winkler. “E’ un misto, uno dei pochi film a fare una cosa del genere. Il risultato è che le immagini sono proprio come dovrebbero essere, violente e feroci. Quando vediamo questi due pugili che si colpiscono, non c’è traccia di finzione hollywoodiana”.
“Sly è il tipo di persona che ha perfezionato le riprese di pugilato in quello che ora viene percepita come il sistema classico”, sostiene Charles Winkler. “Ha padroneggiato la materia nei primi cinque film. E adesso ha voltato le spalle al suo stile e ha detto che voleva qualcosa di diverso. Lui ha successo perché inventa sempre cose nuove”.
Dopo una settimana passata a Las Vegas, la produzione è tornata a Los Angeles per 16 giorni di riprese che integrassero le scene da girare a Philadelphia. La più importante e impegnativa delle location di Los Angeles è stata quella di Bro Pack Meats a Pico Rivera, che rappresenta il luogo di lavoro di Paulie negli ultimi trent’anni.
Essendo una struttura ancora in funzione, la fabbrica non poteva essere chiusa per agevolare il compito della produzione. “Come nel nostro caso, anche loro avevano un programma di lavoro e noi abbiamo dovuto adeguarci”, spiega Stallone. “E’ un ambiente molto riparato e delicato, soprattutto per quanto riguarda la temperatura. Dovevamo seguire le loro regole, ma fortunatamente ci hanno aiutato molto e tutto ha funzionato al meglio. Ma è stata sicuramente una delle location più impegnative”.
Mentre i realizzatori lavoravano al Bro Pack Meats, il set è stato visitato dal governatore della California Arnold Schwarzenegger, un tempo principale rivale di Stallone nei film d’azione, che ha conferito all’attore e regista un certificato che lo ringraziava per il sostegno fornito all’industria cinematografica californiana. Più tardi, le due società, quella che si occupava della produzione di carne e quella cinematografica che stava realizzando il film, hanno deciso congiuntamente di donare circa 150 chili di manzo di prima qualità alla Los Angeles Food Bank.
Infine, si è arrivati al cuore del territorio di Rocky, a Philadelphia, in Pennsylvania. L’impegno principale della produzione è stato di utilizzare tutti i luoghi importanti apparsi nel primo film, come il negozio di animali, la chiesa, la pista di pattinaggio e così via. Per fortuna, la maggior parte di questi luoghi era ancora esistente.
A Philadelphia, Stallone voleva che Rocky si allenasse nelle condizioni dure ed estreme causate dal freddo, per poter quindi sfruttare i vantaggi delle nuvolette di vapore causate dal respiro caldo contrapposto all’aria fredda. Ma il tempo, almeno inizialmente, non voleva collaborare. Chi poteva immaginare che a gennaio ci fosse il sole a Philadelphia?
Un’altra situazione inattesa nel girare nella Città dell’Amore Fraterno era il grande affetto che gli abitanti nutrono ancora per Rocky e Stallone, due eroi di proporzioni mitiche a Philadelphia, un fattore che alla fine ha ispirato non soltanto il regista, ma l’intera produzione. Delle folle entusiaste attendevano la troupe ad ogni angolo. Gli appassionati al Mercato Italiano erano particolarmente evidenti a causa delle numerose entrate. Ma dovunque la produzione si recasse per girare, i fan erano quasi sempre molto rispettosi e cooperativi. “Cos’altro potevamo aspettarci per il ritorno di Rocky a Philadelphia?”, commenta il produttore Kevin King. “Ci ha scaldato veramente il cuore vedere questa manifestazione d’amore. Sono sicuro che Sly abbia provato la stessa sensazione”.
Stallone sostiene che “si è trattato di un’esperienza straordinaria, perché loro non urlavano il nome di Sylvester Stallone, ma intonavano una successione di ‘Rocky! Rocky! Sei grande!’ Non facevano distinzione tra le due figure”.
Le altre location utilizzate in questa storica città sono: il vecchio cimitero di Laurel Hill, la fabbrica di Tasty Cake, il Cira Centre, un ufficio moderno dietro alla Penn Station, il quartiere di Kensington e il municipio.
Il produttore Guy Reidel rivela che “il nostro scenografo Franco Carbone ha fatto numerose ricerche e poi una fase importante è stata mostrare a Sly fotografie, video e siti Internet. Non era una situazione ideale, ma in questo caso ha funzionato grazie all’occhio attento di Sly e alla sua conoscenza di ogni aspetto del progetto”.
Spostandosi nella città, la produzione ha ospitato una grande varietà di visitatori importanti sul set, dal celebre giocatore di football e candidato alla carica di governatore Lynn Swann all’ex campione dei pesi mediomassimi Matthew Said Muhammad. Particolarmente interessante, sia a Philadelphia che a Las Vegas, è stato il numero di persone provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa che sostenevano di essere arrivati in città con l’obiettivo di vedere Rocky.
Anche trent’anni più tardi, il momento più coinvolgente è stato quando Rocky è salito di corsa lungo l’enorme scalinata del Philadelphia Museum of Art, che si trova di fronte all’imponente grattacielo della città. E’ il momento più celebre e amato di tutta la serie di Rocky. Non passa un giorno – o probabilmente neanche un’ora – in cui gli abitanti e i turisti non facciano la stessa corsa alzando le braccia in trionfo e ascoltando il leggendario motivo di Bill Conti nella loro testa. “Quella corsa è un concentrato dell’esistenza di Rocky”, sostiene David Winkler.
Il giorno in cui la produzione doveva girare la sequenza in cui Rocky corre sulle scale con il suo cane Punchy, la sceneggiatura prevedeva che nevicasse, ma in realtà stava cadendo soltanto qualche sparuto fiocco… fino a quando dal cielo è cominciato a nevicare copiosamente. La produzione allora ha iniziato le riprese.
“Così, ho salito le scale di corsa con Punchy, e quando abbiamo finito ha smesso di nevicare”, ricorda Stallone. “L’ultima corsa sulle scale si è svolta in questa tempesta bianca e abbiamo girato dall’inizio alla fine in questo scroscio. E’ stato un momento molto emozionante per me. Pensavo che quando avrei terminato il montaggio tutto sarebbe finito. E’ come un viaggio durato trent’anni, tutto quello che ho fatto nella mia vita, tutto quello che ho ottenuto e che è importante per me, è arrivato alla sua conclusione. E guardavo la città, il sole che tramontava e ho pensato ‘almeno ce l’hai fatta. Sei arrivato qui. Hai terminato nella neve e sulle scale di Philadelphia. E’ perfetto, ti ringrazio Signore’. E poi è finita”.
IL FENOMENO
Le origini della storia di Rocky sono ben documentate. Sylvester Stallone era un attore e sceneggiatore in difficoltà quando vide l’incontro tra Chuck Wepner e Muhammed Ali, un combattimento in cui il pugile locale Wepner riuscì quasi ad arrivare alla distanza con il grande Ali. Stallone, senza lavoro e sul lastrico, rimase talmente impressionato da questa performance miracolosa che si mise a scrivere Rocky.
Stallone si identificò così tanto con la sceneggiatura che si rifiutò di venderla se non fosse stato scelto per interpretare il protagonista. Gli studios volevano le grandi star dell’epoca, come Burt Reynolds, Ryan O’Neal o James Caan, e non consideravano minimamente l’idea di investire su un attore sconosciuto con un nome improbabile. Sfidando l’opinione comune e il buon senso, Stallone tenne duro ed oggi è praticamente impossibile immaginare un altro attore in questo ruolo.
Qualcuno l’ha definito il miglior film sul pugilato mai realizzato, ma quello che pone su un altro livello Rocky agli occhi della critica e del pubblico, è il fatto di parlare di persone reali, che si trovano ad affrontare situazioni disperate quotidiane e che vogliono ottenere qualcosa di meglio dalla vita. Anche mettendo da parte il pugilato, la storia ha un impatto pressoché universale, perché, come scrisse Roger Ebert, “vuole coinvolgerci ad un livello elementare, talvolta selvaggio. Parla dell’eroismo e del fatto di sfruttare le potenzialità che hai, dare il massimo ed essere fedele alla tua ragazza. Non solo sembra stereotipato, ma anche sdolcinato, mentre in realtà non lo è assolutamente, perché effettivamente funziona su questo livello. Ci conquista dal punto di vista emotivo, ci coinvolge e scopriamo, magari con un po’ di sorpresa dopo essere rimasti indifferenti a così tanti film, che questa volta siamo interessati”.
Stallone, proprio come Rocky, ha osato sognare nonostante le probabilità sfavorevoli ed è balzato immediatamente dall’oscurità alla notorietà mondiale. La sceneggiatura, la regia e le interpretazioni di Rocky, tutte straordinarie, hanno spinto il pubblico a fare il tifo per ogni personaggio, non solo per quello che doveva entrare sul ring. E’ proprio quello spirito che collega il primo film a questo, che è l’ultimo.
Rocky II, uscito nel 1979, vedeva Stallone tornare nel ruolo del protagonista, assieme a Talia Shire, Burt Young, Carl Weathers e Burgess Meredith. Rocky e il campione Apollo Creed sono impegnati in un incontro di rivincita, mentre sia Rocky che sua moglie Adriana combattono per la propria vita in forme diverse. Particolarmente memorabile è l’incontro di boxe che rappresenta il climax del film, diretto da Sylvester Stallone, che, molto semplicemente, conosce Rocky meglio di chiunque altro al mondo.
Rocky III, che arrivò nelle sale nel 1982, vede ancora protagonisti Sylvester Stallone, Talia Shire, Burt Young, Burgess Meredith e Carl Weathers, con l’aggiunta di Mr. T. Una nuova svolta all’interno di questa formula vincente è l’idea di far allenare lo Stallone Italiano, che è stato detronizzato da un pugile odioso, dal suo ex nemico Apollo Creed. Ammorbidito dal successo, Rocky deve scavare dentro di sé per trovare le motivazioni che gli consentano di restare in vetta. Stallone si occupò anche della regia di questo capitolo della serie, che comprendeva la popolare canzone, nominata agli Oscar, ‘Eye of the Tiger’.
Rocky IV, uscito nel 1985, era interpretato da Sylvester Stallone, Dolph Lundgren, Carl Weathers, Talia Shire, Burt Young, Brigitte Nielsen, Michael Pataki e James Brown, sempre per la regia di Stallone. Questa volta, Rocky vendica la morte di un amico e combatte per l’orgoglio americano contro un campione russo sovrumano, andando in Siberia per allenarsi come il suo avversario.
Rocky V, del 1990, vede il ritorno del regista vincitore dell’Oscar John G. Avildsen. Il film è interpretato da Sylvester Stallone, Talia Shire, Burt Young, Sage Stallone, Burgess Meredith, Tommy Morrison e Richard Gant. Lo Stallone Italiano torna al suo vecchio quartiere di Philadelphia e allena un giovane e promettente pugile, che si rivelerà un ingrato. Nonostante le possibilità siano nettamente a suo sfavore e le sue forze stiano diminuendo, Rocky mette tutto in gioco in un altro incontro.
Rocky Balboa, il sesto della serie, ha per protagonisti Sylvester Stallone, Burt Young, Antonio Tarver, Geraldine Hughes, Milo Ventimiglia, Tony Burton ed è il quarto film della serie diretto dallo stesso Stallone.
L’unico protagonista che è stato presente durante l’intero arco di questa storia assieme a Rocky è Paulie, interpretato da Burt Young, che ha ottenuto una candidatura all’Oscar quando ha incarnato il ruolo per la prima volta. Un altro partecipante a tutti i sei round di questa serie di grande successo è l’ex pugile Tony Burton, che iniziò come l’uomo all’angolo di Apollo Creed, prima di spostarsi a quello di Rocky. Il personaggio di Marie, interpretato da ragazzina da Jodie Letitizia, riappare in questo episodio da donna adulta ed è interpretato da Geraldine Hughes. Infine, tutti gli appassionati di curiosità cinematografiche saranno felici di sapere che Cuff e Link, le due tartarughe che probabilmente all’inizio del primo episodio erano le migliori amiche di Rocky, sono ritornate per riprendere i loro ruoli in questo film.