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Under the Shadow: recensione in anteprima dell’horror candidato agli Oscar

Viene dall’Iran, ma di produzione inglese, uno degli horror più interessanti del 2016. Film d’esordio per Babak Anvari, Under the Shadow è un horror totalmente calato nel periodo di riferimento, di cui sviscera tanto restando al contempo fedele al genere

pubblicato 15 Novembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:07

L’Iran di fine anni ’80 è ancora segnato dal conflitto con l’Iraq, che va protraendosi senza apparente soluzione. Un Paese che appena dieci anni prima ha conosciuto la Rivoluzione e che ancora fa le spese con quel periodo così tumultuoso. Shideh (Narges Rashidi) è solo una delle tante a doversi confrontare con questa disdicevole situazione: abbandonati gli studi di Medicina per via del suo passato da militante, adesso non le viene più concessa l’opportunità di chiudere quel cerchio a cui tanto tiene. Il marito di Shideh, Iraj (Bobby Naderi), dottore lo è di professione, e un giorno viene spedito in un’area ad alto rischio, costringendolo a lasciare sia la moglie che la figlia, la piccola Dorsa (Avin Manshadi). Under the Shadow parte da queste suggestioni: madre e figlia abbandonate a sé stesse, costrette però a fronteggiare non soltanto la guerra bensì qualcosa di più misterioso e profondo.

Babak Anvari, che ha scritto e diretto il film, dichiara apertamente che la sua è una storia ben radicata nella realtà, la stessa che lui visse in quel periodo. Il suo lavoro d’esordio affonda infatti in un tessuto sociale specifico, fatto di sguardi torvi, sospetti, di persone che sognavano l’Occidente attraverso VHS di contrabbando su cui venivano registrate sessioni d’aerobica. Se nel 1988 Shideh non può prendersi una laurea è perché anni prima, da universitaria, aveva avversato il regime; eppure diventare medico è la sua ambizione da sempre, come si scopre strada facendo nel film. Un film che si sofferma su questi percorsi intergenerazionali, declinati al femminile: storie di madri la cui condotta, le cui aspirazioni si ripercuotono violentemente sulle figlie. Serve perciò un elemento esterno, catalizzatore di questi rapporti rimasti congelati per via di un contesto in cui il tempo sembra essersi fermato.

È bravo Anvari a partire dal “naturale” di una guerra per poi lentamente operare il passaggio al soprannaturale. Under the Shadow è un film che si prende il suo tempo, che procede con passo oserei dire felpato, il tutto per dare modo ai personaggi di venire fuori, così da permettere a noi spettatori di interessarci a loro, empatizzare con le loro paure e frustrazioni. Quando un missile entra nel palazzo in cui a conti fatti sono rinchiuse Shideh e Dorsa, accade qualcosa: un’inspiegabile presenza comincia a muoversi per quegli appartamenti sempre più disastrati. Dorsa è l’unica che sembra vedere qualcosa, addirittura interagire con loro. Chi sono? Cosa vogliono?

Qui Anvari attinge alla mitologia islamica, ripescando i cosiddetti djinn, spiriti del vento. Un’intuizione oltremodo felice, che dà adito ad opportunità che il regista iraniano esplora in lungo e in largo, senza però strafare. Intrappolati in questo edificio da cui madre e figlia potrebbero in ogni momento scappare, come altri inquilini vanno via via facendo, Shideh non intende darla vinta a queste strane presenze. Presenze di cui ella stessa non è convinta, sebbene poco alla volta si ritrovi a doversi arrendere all’evidenza. L’appartamento si trasforma, l’atmosfera che si percepisce muta e a quanto pare è Dorsa il bersaglio designato di questi demoni. Secondo la leggenda, queste entità riescono a non dar tregua alle loro vittime appropriandosi di un oggetto a loro caro: finché riescono a tenerlo lontano dal loro proprietario posso esercitare su quest’ultimo una sorta di possessione. Nel caso in questione si tratta di una bambola, ed è peraltro una variazione interessante sul tema, trattato per lo più da una prospettiva occidentale negli ultimi anni.

Si prenda un dipartimento a caso, insomma, e si capirà perché Under the Shadow rischia di essere una delle opere più significative di quest’annata. Il film non è soltanto scritto molto bene e diretto con criterio, ma può contare anche su un lavoro notevole su altri fronti, dalla scenografia al sonoro, passando per un montaggio molto più complesso rispetto a quanto il ritmo suggerisca. Anvari sa come e quando farci saltare dalla sedia, conosce i codici ma se ne serve per un discorso di respiro più ampio, un po’ dramma sociale iraniano un po’ efficiente horror à la Blumhouse. Ed intanto l’Inghilterra l’ha spedito agli Oscar quale proprio rappresentante per il Miglior Film Straniero.

Under the Shadow è totalmente intriso della cultura che competentemente affresca, interrogandosi sulla sua complessità anziché partire per la tangente. Quello di Anvari è un sogno, anzi un incubo ad occhi aperti, in cui lucidità e irrazionalità si mescolano in maniera accattivante, pregno di spunti per un discorso che potrebbe andare e che va oltre. Alla fine non si è infatti convinti se a lasciare quel velo d’inquietudine sia stata l’ottima gestione degli elementi horror presenti nel film o se la situazione in sé, questo conflittuale ma amorevole rapporto tra Shideh e Dorsa, senz’altro portante, non sia davvero la cosa più riuscita di Under the Shadow.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8.5″ layout=”left”]

Under the Shadow (Iran/Regno Unito, 2016) di Babak Anvari. Con Narges Rashidi, Avin Manshadi, Bobby Naderi, Ray Haratian, Arash Marandi, Sajjad Delafrooz, Bijan Daneshmand, Hamid Djavadan, Nabil Koni, Behi Djanati Atai, Amir Hossein Ranjbar, Soussan Farrokhnia, Aram Ghasemy e Houshang Ranjbar.