Venezia 2016: The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, recensione in anteprima
Una post-apocalittica love story cannibale in concorso a Venezia. Attese e delusioni per il nuovo film di Ana Lily Amirpour, regista dell’acclamato Girl Walks Home Alone At Night.
Fantascientifico cannibal western dispotico che frulla i genere più disparati nel soleggiato e sterminato deserto del Texas, The Bad Batch parte meravigliosamente a razzo per poi sciogliersi rapidamente come neve al sole. Protagonista Samantha, bionda mozzafiato bandita dagli Stati Uniti d’America, marchiata con un numero di riconoscimento dietro l’orecchio e gettata nel deserto. Qui, munita solo e soltanto di una brocca d’acqua, dovrà a provare a sopravvivere tra bande di palestrati cannibali che cacciano umani per divorarli e gli eccessi psichedelici di una comunità guidata da un santone che sogna la nascita di una nuova era ingravidando ogni giovane a disposizione.
Tarantino, Rodriguez, Miller, Leone, Lynch, Jodorowsky. C’è di tutto e di più in The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, a cui Vice e la Annapurna hanno affidato 8 milioni di dollari e un cast di primo livello formato da Suki Waterhouse, Jason Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey e Giovanni Ribisi per riuscire a confermarsi dopo il folgorante debutto con A Girl Walks Home Alone At Night. Carte più che in regola per dar vita a qualcosa di esplosivo, eppure la regista iraniana ha anestetizzato la propria post-apocalittica love story cannibale, bruciando potenzialità e trovate visive con una sceneggiatura di una povertà ingiustificata. Dialoghi ridotti all’osso, personaggi a malapena accennati e metafore a stelle e strisce forzatamente marcate tra ‘american dream’ e rifiuti sociali da gettare nel gabinetto del mondo. Questi reietti sono stati infatti banditi perché considerati ‘inaccettabili’, in un’America da ricostruire pezzo dopo pezzo (c’è un puzzle di una bandiera a stelle e strisce che parla da se’) partendo dalle sue stesse fondamenta.
Visivamente ricercato, volutamente splatter e sfacciatamente pop (Momoa ascolta Boy George prima di sventrare una prigioniera e cucinarla), The Bad Batch esaurisce quasi immediatamente ritmo e fascino, affondando inevitabilmente in un arido deserto di noia. Due ore maldestramente tirate per i capelli in cui l’azione procede al rallentatore, finendo così per cestinare persino il ricchissimo cast a disposizione.
Se Jim Carey non dice una battuta (e non è un’esagerazione), Keanu Reeves e Giovanni Ribisi indossano gli abiti di due folgorati che non hanno capo ne’ coda, mentre Jason Momoa, ex Conan qui trasformato in un gigantesco cubano ritrattista pronto a tutto per salvare l’amata figlia, concede il minimo sindacale a fan e detrattori. Protagonista indiscussa la bellissima Suki Waterhouse, ex di Bradley Cooper diventata eroina action senza gamba nè braccio, mentre davvero nulla si può dire sulla straordinaria colonna sonora, ancora una volta nei minimi particolari studiata dalla Amirpour. Stilisticamente eccellente, The Bad Batch paga esageratamente le pecche di uno script che sembrerebbe quasi essersi fermato al curioso e disturbante soggetto iniziale, in costante bilico tra vita e morte, sopravvivenza e abbandono, odio e amore, prigionia e libertà. Una fiaba romantica dal taglio pulp che regala momenti di grande cinema, lisergico ed esteticamente ricercato. Ma con il contagocce, in uno sconfinato deserto di vuoto citazionista.
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
The Bad Batch (Usa, horror, western, sci-fi) di Ana Lily Amirpour; con Suki Waterhouse, Jason Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey, Giovanni Ribisi.