Venezia 2016: Brimstone, recensione in anteprima
Un sadico western con una muta eroina. Brutale, sporco e cattivo, è Brimstone.
La 73esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia guarda al western grazie ad una programmazione che quest’oggi ha preso vita con Brimstone dell’olandese Martin Koolhoven, in attesa di The Bad Batch e de I Magnifici Sette di Fuqua, che chiuderà il Festival dopo aver aperto Toronto.
Un’epopea dalla spaventosa violenza, quella sceneggiata e diretta da Koolhoven, con una ritrovata Dakota Fanning negli abiti di una ‘muta’ eroina costretta a scappare dalla sadica furia di suo padre, folle predicatore interpretato da uno spaventoso, scavato e marchiato in volto Guy Pearce. Siamo nelle terre selvagge del vecchio West americano, anche se la pellicola è stata girata e prodotta in Europa, con la giovane Liz madre e moglie apparentemente serena, fino a quando un volto del passato tornerà a tormentarla.
Prende così vita un epico duello in cui la Fanning e Pearce giocano al gatto e al topo, tra resistenza e sopravvivenza, sete di vendetta e perdono. Suddiviso in quattro capitoli ‘biblici’ (Apocalisse, Esodo, Genesi e Castigo), Brimstone va a ritroso nel tempo dopo averci presentato i due protagonisti senza svelare nulla di loro, del passato che li riguarda. Anzi, alimentando curiosità nei confronti di entrambi. Chi è Liz, perché non parla, come mai il figlio più grande non la chiama mamma e soprattutto per quale motivo questo diabolico predicatore la conosce e ce l’ha con lei, tanto da inseguirla ovunque vada e martoriarla con l’unico obiettivo di farla soffrire.
Capitolo dopo capitolo Koolhoven svela le proprie carte, delineando i lineamenti di una donna combattiva, una sopravvissuta e non una vittima, che non ha alcuna intenzione di cedere alla prepotenza maschile di quei tempi, tanto da voler sopravvivere senza se e senza ma all’incredibile quantità di orrore incontrata nel corso della propria esistenza. Crudo fino all’eccesso e con una straniante violenza che di fatto perseguita la Fanning, Brimstone nasce sulle orme di un sacrificio, di una vita mai nata, e prosegue con sanguinoso furore nelle due ore successive.
Brutale, sporco e cattivo, l’orrorifico western di Koolhoven perde lentamente presa con lo spettatore a causa di un’esagerata lunghezza e di una seconda parte che più volte barcolla sotto i colpi dell’eccesso. Alimentato da una visione radicale della Fede e della figura di Dio, tema quasi portante di questa Mostra del Cinema di Venezia, il titolo di Koolhoven conquista dal punto di vista visivo, per poi sciogliersi nella scrittura. Dal 3° capitolo in poi, ovvero da quando subentrano i ‘gameofthronesiani’ Carice Van Houten e Kit Harington (occhio ad un suo ridicolo ingresso in scena), Koolhoven perde il senso della misura, dando vita al proprio Inferno in Terra con compiaciuto e gratuito sadismo.
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
Brimstone (western, 2016) di Martin Koolhoven; con Dakota Fanning, Guy Pearce, Emilia Jones, Kit Harington, Carice Van Houten