Torino 2018, Ovunque proteggimi, recensione: sopravvivere ai margini
Occhi puntati su quella parte di mondo che non ce la fa, quali che siano i motivi. Ovunque proteggimi comincia molto bene per poi purtroppo ridimensionarsi strada facendo
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Alessandro (Alessandro Gazale) ha appena portato a termine l’ennesimo concerto e, insieme al fidato amico Gavino, si avvia verso casa. La notte però è ancora lunga, perciò Alessandro, dopo avere peraltro avuto un diverbio con l’amico di una vita, decide di fermarsi un altro po’, ovviamente per bere. Le prime sequenze di Ovunque proteggimi sono calamitanti, con quest’uomo che gioca, beve, balla, lancia occhiate e parla. Parla sempre Alessandro, anche quando non dice nulla. Finché la ragazzina da cui si è fatto accalappiare in discoteca non lo convince a proseguire la serata altrove; servono duecento euro però. Nessun problema, la mamma a casa i soldi li avrà senza’altro: al diniego del genitore Alessandro sbrocca, distrugge tutto e la polizia se lo viene a prendere.
È vero, come ci viene detto, che questa è solo una delle tante storie, simili ma diverse, alle quali si può assistere in lungo e in largo, in Italia come altrove. Alessandro non è più un giovanotto, gli anta, ad occhio, superati da un bel pezzo, vive alla giornata, avendo oramai smesso di raccogliere i cocci di un’esistenza fin lì fallimentare, se non in assoluto, senz’altro per gli standard. E sono i cosiddetti standard a fregare i protagonisti del film di Bonifacio Angius, quella normalità che li esclude, loro outcast, costretti perciò non tanto a vivere bensì a sopravvivere ai margini.
Echi di neorealismo, che eppure Ovunque proteggimi nega, rifiuta, come un tratto ricevuto di cui non ci si riesce a sbarazzare anche volendo. E qui emerge l’elemento rispetto al quale Angius si distingue da quasi tutti gli altri registi italiani, ossia l’abilità nei dialoghi, organici, vivi, perciò credibili, non soltanto quando strappano un sorriso. Alessandro e Francesca (Francesca Niedda), la donna che il cantante conosce in ospedale, parlano come noi, al netto, come accennato, della loro condizione di confine nella quale vivono, che di conseguenza li porta a vedere le cose in maniera diversa.
Un lavoro di prospettive, dunque, ma non solo, dato che noi guardiamo come loro guardano, ed è probabilmente questo l’aspetto più interessante di Ovunque proteggimi. Frenati, riescono a vivere a pieno il presente solo nella misura in cui non si danno obiettivi, alcuna meta, siano essi a breve o a lungo termine; allora si entra in confusione, troppe cose da processare, questi due si trovano fuori dal proprio elemento. Insieme sembrano due ragazzini troppo cresciuti che vanno trascinandosi nell’ambito di una cornice che li vede sconfitti in partenza, inadatti, eppure, di colpo, decidono di provarci, non senza trasmettere una certa tenerezza. Il figlio di Francesca, Antonio, le è stato sottratto dai servizi sociali, tenuto in una struttura che si trova a due ore di macchina, Cagliari per la precisione. In maniera improvvisata i due partono, senza sapere alcunché se non l’indirizzo; per il resto, non hanno idea né di cosa faranno arrivati lì né come lo faranno.
On the road Ovunque proteggimi cede, perdendo consistenza. La piega è più evidente nella misura in cui promette, e non poco, nella sopra evocata prima parte, che introduce una vicenda a più ampio respiro, qualcosa di più grande seppure intimo al contempo. E c’è qua e là qualche scampolo di vita, frammenti opachi di una verità che, alla fine, resta tuttavia irrimediabilmente preclusa al film. Certo, non aiuta “quel” finale, che però nonostante tutto sembra al tempo stesso l’unico epilogo possibile rispetto allo sviluppo sin lì maturato, al che in discussione c’è da mettere appunto pure gli eventi che là ci hanno condotto. D’altra parte, che si approdasse da quelle parti era una traiettoria preventivabile alla luce della presenza di Antonio, il bimbetto che da un certo punto in avanti diventa catalizzatore dell’azione, accentrando su di sé pure troppo, inevitabilmente sviando l’attenzione da altre implicazioni inerenti ad Alessandro e Francesca, i cui profili restano come incastrati, compressi, ed allora pure la curiosità nei loro confronti non può che risentirne.
Al netto di tutto, quegli ultimi minuti riescono comunque a stonare, una chiusa forzata, quasi “insincera” se si considera che la portata di Ovunque proteggimi, per quanto “trattenuta” dai limiti sopra espressi, sia comunque altra, e che Angius pare sapere il fatto suo a tal punto che quel finale sembra proprio non appartenergli (di certo si addice relativamente al film, malgrado, come detto, ahimè troppi siano gli indizi che conducono verso quel territorio). Sottoporre un discorso sensato allorché ci si vuole soffermare su chi è invischiato in certe forme di emarginazione oggi non è affatto semplice, e ad Angius va riconosciuto intanto l’essersi preso il rischio, al quale però non segue l’opportuna incisività. In un primo momento riesce ad essere diretto, a restituirci queste persone senza ingombranti filtri aggiuntivi, à la Virzì de La pazza gioia per intenderci, facendo sì che le sfumature emergano da sole, senza alcuna apologia o esaltazione. Finché, poco alla volta, non si tratta più seguire Alessandro e Francesca, ma di portarli da qualche parte; un intervento di troppo che finisce col fare la differenza.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
Ovunque proteggimi (Italia, 2018) di Bonifacio Angius. Con Alessandro Gazale, Francesca Niedda, Antonio Angius, Gavino Ruda, Teresa Soro, Mario Olivieri ed Anna Ferruzzo. Festa Mobile. Nelle nostre sale da giovedì 29 novembre 2018.