Torino 2018, Happy New Year Colin Burstead, recensione: un capodanno coi botti
La suggestiva campagna britannica, una villa sfarzosa, sono il teatro di malumori e incomprensioni mai sopiti che esplodono nel finanche troppo controllato lavoro di Ben Wheatley, gradita deviazione del regista inglese
Colin (Neil Maskell) è preso dai preparativi per la festa di fine anno: a uno pare che l’ansia sia dovuta al desiderio di fare bella figura, mentre la verità è che di lì a qualche ora Colin incontrerà i membri della famiglia Burstead, la qual cosa come minimo non gli va tanto a genio. Non solo. La sorella, Gini (Hayley Squires), gli ha appena comunicato di aver invitato David (Sam Riley), la pecora nera della famiglia – uno che ha messo il padre in un affare pessimo, a tal punto da tagliargli le gambe; che anni addietro ha lasciato moglie e figli piccoli per scappare con un’altra. In realtà ciò però dà più fastidio a tutti è che David, in tutto questo, sia riuscito a proseguire come se niente fosse, come se queste cose non l’avessero mimimamente toccato.
E viene affittata una lussuosa villa, dove alla spicciolata cominciano ad accorrere un po’ tutti. Un “tutti” che lasciamo così, di cui magari si menziona, oltre a quelli già citati, lo zio Bertie (Charles Dance), che ha un annuncio interessante da fare, così come l’attuale compagna di David, l’elegante Hannah (Alexandra Maria Lara), che suo malgrado finisce con l’essere trascinata dentro alla “vera festa”. Quella vera infatti comincia allorché malumori e incomprensioni vengono fuori, e ciascuno ha una parola dolce da rivolgere a qualcun altro. Certo, il peggiore di tutti è David, che sa di essersi inoltrato nella fossa dei leoni, ma che al tempo stesso pare avere intenzioni pacifiche, forse addirittura “buone”, cercando di rimediare a certi suoi errori laddove possibile.
Happy New Year Colin Burstead ha tutta l’aria del Ben Wheatley di passaggio, quello che si concede una pausa dal proprio cinema, magari per rafforzare certi concetti, oppure per aggiustare il tiro (chi può dirlo?). Si è detto che in questo suo lavoro, più piccolino, manca quella violenza che contraddistingue gli altri che ha girato fino ad ora, il che è vero solo in superficie: al contrario, il film è capace di momenti in cui la violenza, consumata o anche solo “preparata”, c’è eccome, sebbene verbale. Non importa fino a che punto venga smorzata da quello humor di fondo, la goffaggine dei personaggi e di certi passaggi (tipo la madre che si sloga la caviglia prima ancora di entrare nella villa, proprio sulla porta d’ingresso): ciò a cui assistiamo, in tal senso, non è una passeggiata.
Un film che non si può così facilmente collocare all’interno di una filmografia, non prima che ne siano seguiti degli altri, proprio al fine di capire fino a che punto si tratti di parentesi oppure del principio di qualcos’altro. D’altronde Wheatley è lì, nell’unico ambiente all’interno del quale un gruppo di persone s’incontrano e scontrano (vedi High Rise e Free Fire), nella dimensione familista, quantunque declinata in maniera diversa rispetto a Kill List e Sightseers, nel suo lavorare dunque per lo più sulle relazioni, a prescindere dal grado di affinità dei suoi personaggi.
In fin dei conti Happy New Year Colin Burstead non è nemmeno quel film che delega gran parte della sua ragion d’essere sulle rivelazioni, sebbene chiaramente ve ne siano, ché in certi contesti è un po’ il modo migliore di far girare le cose. No, direi che Wheatley si mostri più interessato a capire come certe indoli rispondano alla reciproca sollecitazione, come e se sia possibile o anche solo pensabile una sorta di convivenza alla luce di ciò che ciascuno di noi è, ed in che misura questa cosa che siamo si possa incastrare con ciò che è un altro. Un tipo di convivenza differente, non quella dovuta alla prossimità, il condividere degli spazi fisici bensì esistenziali; si dice che gli amici te li scegli mentre i familiari te li ritrovi. Per alcuni la risposta può essere quella di tagliare i ponti e via… ma non sempre è così semplice. Ed allora come contrattare con tutto ciò?
Colin, a cui va il titolo, si trova nella situazione più complessa, ambigua, divisa tra la totale insofferenza verso la propria famiglia ed una sorta d’imperativo morale che lo spinge ad insistere, a coltivare qualcosa in cui con ogni probabilità ha smesso di credere troppo tempo fa. Wheatley peraltro evita pure di buttarla in caciara, tipo lasciare troppo spazio al botta e risposta brillante, coi tempi comici giusti, trasformando la sua in una commedia troppo sofisticata; niente di tutto questo, anzi, questo suo ultimo lavoro mi pare tenda ad essere più di pancia, perciò meglio qualche uscita risaputa, che sa di luogo comune, piuttosto che un luogo comune soltanto ben confezionato.
Il risultato è che a queste dinamiche qui ci si crede, perciò si sorride quando c’è da sorridere e si riflette quando effettivamente non c’è alcunché da ridere. Wheatley, se vogliamo, si limita ad operare per sottrazione, per esempio scremando parte della pesantezza insita in uno scenario del genere, per poi così veicolare con un respiro diverso, un pizzico più leggero, episodi che in realtà sono drammatici, laddove non proprio tragici. Inutile dire che lo aiuti tantissimo un cast meraviglioso, in cui ciascuno è a proprio agio, come se quella fosse una vera famiglia. E non è così assurdo immaginare il regista dare alcune indicazioni, accendere la macchina da presa e lasciar fare a loro, unica condizione quella di restare fedeli all’idea. D’altra parte Wheatley ha curato il montaggio di Happy New Year Colin Burstead, perciò pensarlo lì risistemare quanto raccolto, dopo aver per lo più assistito durante le riprese, a sua volta da (quasi) spettatore.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Happy New Year Colin Burstead (Regno Unito, 2018) di Ben Wheatley. Con Sarah Baxendale, Sudha Bhuchar, Asim Chaudhry, Joe Cole, Charles Dance, Sura Dohnke, Vincent Ebrahim, Peter Ferdinando, Richard Glover e Alexandra Maria Lara. After Hours.