Ride di Valerio Mastandrea, la recensione: appropriazione indebita del dolore altrui nell’Italia di oggi
L’elaborazione del lutto in una società che impone anche la rappresentazione del dolore altrui in Ride, esordio alla regia di Valerio Mastandrea.
25 anni di carriera, 4 David e un Nastro d’Argento vinti, Valerio Mastandrea esordisce dietro la macchina da presa in qualità di regista con Ride, titolo presentato al Torino Film Festival da lui anche co-sceneggiato e co-prodotto. Un’opera prima sull’accettazione della morte e sull’appropriazione indebita del dolore altrui che Mastandrea dipinge con la propria proverbiale cifra stilistica, sempre in bilico tra il surreale e l’humor nero, tra lacrime e sorrisi, in un cinema del sociale che si fa popolare e al tempo stesso d’autore.
Protagonista è Carolina, mamma, moglie, giovane donna ma soprattutto vedova che vive a Nettuno, alle porte di Roma. Suo marito Mauro è morto in fabbrica, in quel luogo di lavoro in cui almeno tre generazioni del posto si sono succedute, con la consapevolezza di poterci rimettere le penne. Al fianco di Carolina, a poche ore da un funerale che è diventato una sorta di reality del dolore con giornalisti in arrivo da tutta Italia, un bambino di 10 anni che agogna l’amore di una compagna di classe, tanto da ‘provare’ potenziali interviste tv con il migliore amico, e figure più o meno vicine che si presentano alla sua porta come se fossero in processione. In lacrime, ad offire guance e apparente sostegno, per la perdita appena vissuta. Eppure Carolina da sette giorni non riesce a piangere. Anzi, ride. Perché non si dispera e non passa le notti insonni, perché la morte dell’amato marito non le ha stravolto la vita, facendola così sentire una persona normale, come tutte le altre che esternano i propri dolori con fare tanto naturale? Poche ore al funerale e Carolina non vuole negare al mondo l’immagine che tutti si aspettano: quella di una moglie disperata.
E’ un film coraggiosamente imperfetto, bizzarro e audace, quello scritto e diretto da Mastandrea, affidatosi alla 31enne compagna Chiara Martegiani per il delicatissimo ruolo da protagonista. L’Italia che Valerio ricostruisce, sul litorale laziale a pochi km da Roma, è quel (Bel?) Paese che vive quotidianamente una guerra in casa propria. Sul luogo di lavoro, con 1029 morti solo nel 2017. Un’opera di denuncia contro quei posti in cui la sicurezza è un optional e quei sindacati che troppo spesso chiudono un occhio, e nei confronti di quella società che agguanta il dolore del prossimo per tramutarlo in emozione collettiva, subdola e ricattatoria.
Mastandrea si concentra sul mancato dolore di Carolina, interpretata da un’algida, lunare e per lunghi tratti poco credibile Martegiani, sull’apparente distacco del piccolo e bravissimo debuttante Arturo Marchetti e dello sdentato amico Mattia Stramazzi, e sui sensi di colpa di Renato Carpentieri, padre dell’ennesimo operaio deceduto, e del fratello di quest’ultimo Stefano Dionisi. Un microcosmo in lutto che guarda al passato, al presente e al futuro, vivendo privatamente un dolore che fatica ad esplicitarsi sotto forma di lacrima.
Mastandrea osa e si fa a tratti ridondante, sfidando l’elaborazione di una perdita a colpi di surrealtà, con una narrazione agrodolce che si divide costantemente tra l’umorismo più (in)appropriato e la sofferenza più candidamente umana. La regia, inizialmente stramba ed essenziale, prende improvvisamente la direzione dell’irreale, grazie ad una pioggia ‘da interni’ che si fa esplicita metafora di un autentico dolore a lungo trattenuto, quasi per inconscio pudore, perché sfacciatamente richiesto.
Piani paralleli di difficile gestione che Mastandrea, tra musica diegetica ed extradiegetica e grazie ad un cast di contorno semplicemente ineccepibile, riesce a tenere faticosamente ma dolcemente in equilibrio. “Io voglio e devo stare male. E’ un mio diritto”, urla mamma Carolina al figlio che le ha coraggiosamente chiesto come mai non abbia versato neanche una lacrima in sette giorni di lutto, da lei ribaltato e quasi rinfacciato a quel marito che se n’è per sempre andato. Al suo posto una sedia vuota, al tavolo della cucina, davanti a quella finestra che illumina una casa che chiede a gran voce di poter soffrire in silenzio, al buio, lontano dai riflettori dei media, lasciando ossigeno e spazio a quei famigliari che gradirebbero poter fare altrettanto, ma con i propri rimorsi, l’immancabile rabbia e l’inevitabile fatica di chi è obbligatoriamente rimasto, a piangere chi non c’è più.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
Ride (Italia, drammatico, 2018) di Valerio Mastandrea; con Chiara Martegiani, Arturo Marchetti, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi, Milena Vukotic, Mattia Stramazzi, Walter Toschi, Giancarlo Porcacchia, Silvia Gallerano, Emanuele Bevilacqua, Milena Mancini, Giordano De Plano, Lino Musella – uscita giovedì 29 novembre 2018.